L’inno del sionismo: il pericolo in agguato nei versi di “Gerusalemme d’oro”

Se la moschea di Al-Aqsa dovesse essere distrutta, la scintilla sarà innescata da un colono fanatico, ma sono decenni di indottrinamento sionista e politiche israeliane che saranno responsabili della distruzione.

Fonte: english version 

Di Miko Peled – 31 agosto 2021

Foto di copertina: Il Duomo della Roccia all’alba. Foto | Joiseyshowaa | Flickr CC

GERUSALEMME — Il rischio che Israele distrugga la moschea di Al-Aqsa e il Duomo della Roccia e le sostituisca con un cosiddetto tempio ebraico è reale e presente. Costruire un tempio al posto della moschea e della cupola dorata che oggi abbelliscono Gerusalemme è da sempre un’aspirazione sionista, espressa in canzoni, racconti e, nell’ultimo decennio, provocazioni che potrebbero provocare la scintilla di cui i sionisti hanno bisogno per radere al suolo l’Haram Al Sharif (Il Monte del Tempio).

Un esempio di propaganda sionista che rivendica l’Haram Al-Sharf è l’iconica canzone ebraica “Gerusalemme d’Oro”. Scritta dalla poetessa nazionale israeliana Néomi Shemer, è spesso presentata come una semplice canzone che esprime il desiderio del popolo ebraico per la sua capitale storica perduta. Tuttavia, non è difficile vedere che la canzone, il suo autore e le persone che hanno commissionato la canzone avevano un progetto politico molto chiaro.

La canzone inizia con i seguenti versi:

“Aria di montagna limpida come il vino

E il profumo dei pini

Viene trasportato nel vento della sera

Con il suono delle campane

E nel sonno dell’albero e della pietra

Intrappolato nel suo sogno

La città vuota 

E nel suo cuore un Muro

Gerusalemme d’oro

E bronzo e luce

A tutte le tue canzoni

io sono un violino…”

L’immagine di Gerusalemme come una città disabitata, esclusa e isolata, una città infestata con nient’altro che un passato, riflette un’idea romanzata condivisa da evangelici protestanti e sionisti sognatori, ma non è una vera rappresentazione della Gerusalemme del 1967. La canzone continua con i seguenti versi:

“Come si sono prosciugati i pozzi d’acqua

La piazza della città è vuota

E nessuno sale al Monte del Tempio

Nella Città Vecchia

E non un’anima scende nel Mar Morto

Passando per Gerico.”

La città di Gerusalemme fu divisa nel 1948 tra i nuovi stati di Giordania e Israele, ed entrambe le parti erano popolate. La parte occidentale è stata sottoposta a una campagna di pulizia etnica che l’ha svuotata della sua popolazione palestinese nativa e insediata da immigrati sionisti rendendola una città israeliana per soli ebrei. Il lato orientale di Gerusalemme, compresa la Città Vecchia, rimase in mani arabe e passò sotto il dominio giordano.

I mercati della Città Vecchia erano gremiti di gente; i fedeli sull’Haram Al-Sharif pregavano; e i pozzi d’acqua non erano prosciugati. Solo per Néomi Shemer, che all’epoca era la poetessa e cantautrice nazionale israeliana, Gerusalemme Est, e in particolare la Città Vecchia, era vuota perché, come ha detto lei, “un mondo senza ebrei è vuoto.”

Leggendo i versi della sua canzone si potrebbe quasi dimenticare che la Città Vecchia di Gerusalemme, a cui si riferiva Néomi Shemer, è stata in realtà una città araba e prevalentemente musulmana per oltre 1.500 anni. La città comprendeva anche, tra molte altre minoranze, una piccola e impoverita comunità di ebrei.

Naomi Shemer fotografata nel luglio 2004. Foto | Flash90

Un legame familiare

Ad essere sincero, devo confessare che Néomi Shemer era un’amica intima della mia famiglia. Sua madre, Rivka Sapir, e mia nonna Sarah vennero entrambe in Palestina come giovani pioniere sioniste nella prima metà del ventesimo secolo. Anche se si sono stabilite in zone diverse del paese, Rivka nell’insediamento settentrionale di “Kvutzat Kinneret”, un insediamento sulle rive del lago Tabariya, e mia nonna Sarah a Gerusalemme, sono rimaste grandi amiche per oltre cinquant’anni. Neomi Shemer e mio padre sono cresciuti assieme, anche se mio padre era più grande di lei, e le due famiglie sono state vicine per decenni.

Neomi Shemer aveva certamente una profonda ammirazione per i giovani uomini sionisti di quella generazione, uomini che, come mio padre, avevano dedicato la loro vita al braccio armato del progetto coloniale sionista, e di fatto hanno creato la macchina militare conosciuta come l’esercito israeliano, o IDF.

Determinati a “completare la conquista”

Negli anni ’60, mio ​​padre e la sua generazione di ufficiali erano tutti generali ed erano diventati oggetto di un’enorme ammirazione nazionale all’interno del giovane Stato sionista. La loro intenzione, anzi la loro ambizione di “completare” le conquiste del 1948 prendendo la Cisgiordania e Gerusalemme Est, non era un segreto. Neomi Shemer, come tanti altri israeliani, condivideva quell’ambizione, di un Israele che si estendesse dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.

Fu solo nel maggio del 1967 che arrivò l’opportunità di realizzare l’ambizione di prendere il resto della Palestina. I servizi segreti israeliani hanno chiarito che gli eserciti arabi non potevano competere con le Forze di Difesa Israeliane e, con questa consapevolezza, hanno iniziato a fare campagne per ottenere il sostegno popolare per completare la loro ambizione di conquista.

Una campagna brillante

La campagna si è svolta in diverse fasi. Una aveva a che fare con il perpetuare la menzogna che gli eserciti arabi fossero pronti ad attaccare e che lo “Stato ebraico” fosse sotto una minaccia esistenziale. Questo argomento è stato usato per fare pressione sul governo israeliano, che a quel tempo era riluttante a iniziare un’altra guerra, per dare il via libera all’attacco preventivo.

L’altro fronte era più visionario e comprendeva la canzone “Yerushalayim Shel Zahav,” o “Gerusalemme d’Oro”. Solo Néomi Shemer avrebbe potuto scrivere questa canzone. Sapeva suonare sugli accordi dei sentimenti nazionali più di qualsiasi altro cantautore, e infatti era lei incaricata del compito. Il sindaco di Gerusalemme all’epoca era l’ambizioso Teddy Kolek, che senza dubbio poteva già assaporare di avere sotto il suo controllo la magnifica Città Vecchia di Gerusalemme. Aveva commissionato la canzone poche settimane prima della guerra.

Con il suo passato, la sua capacità di romanticizzare il sionismo e le conquiste del sionismo, e le sue profonde e personali connessioni con i generali dell’IDF, che si stavano consumando per iniziare una guerra, Néomi Shemer era sicura di adempiere il compito. E infatti lo ha fatto.

Il 19° anniversario dell’indipendenza di Israele si tenne il 9 maggio di quell’anno. La consueta parata militare nel Giorno dell’Indipendenza si svolse in una versione più modesta, poiché i militari si stavano già preparando per la guerra. La canzone “Gerusalemme d’Oro” è stata eseguita per la prima volta da Shuli Natan, una giovane cantante fino a quel momento sconosciuta e scelta personalmente da Shemer. Fu un incredibile successo e, da un giorno all’altro, la canzone divenne famosa in tutto il paese.

Il Monte del Tempio

Il 4 giugno, dopo due accesi incontri tra i vertici dell’IDF e il Primo Ministro Levi Eshkol, è stato dato il via libera per condurre un attacco preventivo contro l’Egitto. Il mandato del governo era di attaccare solo l’Egitto. Tuttavia, ci sono prove che indicano che la popolarità della canzone aveva dato impulso alla richiesta popolare per Israele di prendere la Città Vecchia di Gerusalemme. Ciò significava aprire un fronte di guerra orientale e prendere l’intera Cisgiordania dalla Giordania. I generali furono fin troppo felici di farlo, e lo fecero senza aspettare l’approvazione del governo.

La conquista della Città Vecchia è stata resa tanto più drammatica dal momento che la canzone era diventata popolare, al punto da essere costantemente trasmessa alla radio israeliana e in ogni casa. Io stesso ricordo la canzone trasmessa prima e durante la guerra, quando mio padre trascorreva giorni e notti al quartier generale dell’IDF e mio fratello maggiore, un giovane ufficiale all’epoca, sul fronte egiziano. Poi è arrivato il famoso annuncio del colonnello Mordechai Gur, comandante della Brigata di paracadutisti dell’IDF che ha preso la Città Vecchia:

“Non sono un uomo religioso, ma sto toccando le pietre del Kotel (il Muro del Pianto), sto toccando le pietre del Kotel con le mie mani!”

Più tardi, il colonnello Gur fece quella che divenne la dichiarazione più iconica della guerra: “Har Habayit Beydeynu!” o “Il Monte del Tempio è Nostro!”

Subito dopo la guerra, e una volta che la parte orientale di Gerusalemme, compresa la Città Vecchia, fu conquistata dall’esercito israeliano, Néomi Shemer andò in tournée per esibirsi di fronte alle truppe vittoriose che erano ancora al fronte. A quel punto ha aggiunto le seguenti strofe alla canzone:

Siamo tornati ai pozzi d’acqua

Al mercato e alla piazza della città

Uno Shofar risuona sul Monte del Tempio

Nella Città Vecchia

E ancora una volta scendiamo nel Mar Morto

Passando per Gerico”

Néomi Shemer esegue la sua canzone più famosa, “Yerushalayim Shel Zahav”, o Gerusalemme d’Oro

Critica

Dopo la guerra ci furono alcune critiche alla canzone per la sua implicazione che non c’erano persone nella Città Vecchia prima che Israele l’avesse occupata. Tuttavia, proprio come i sionisti non vedevano i palestinesi come persone nel 1948, Nemoni Shemer non li considerava nel 1967. In un’intervista rilasciata in risposta alle critiche, disse: “La gente mi critica perché dico che non c’era nessuno quando era pieno di arabi”, e poi ha aggiunto: “Questo mi ha fatto molto arrabbiare. Per me un posto senza ebrei è vuoto”.

Un simbolo nazionale

Si dice che quando un conflitto è politico è risolvibile, ma se diventa religioso allora è molto più pericoloso perché ciascuna parte crede che Dio sia dalla sua parte. Nel caso di Gerusalemme, e in particolare dell’Haram Al-Sharif, è vero il contrario. I sionisti sono stati in grado di creare un desiderio tra gli israeliani non religiosi di vedere un tempio “ebraico” costruito al posto della gloriosa Moschea di Al-Aqsa e del Duomo della Roccia, come aspirazione nazionale.

È come se Israele non sarà completo fino a quando un tempio ebraico, il tempio del Re Davide, non sarà di nuovo lì al posto della moschea di Al-Aqsa. Ripensando alla mia infanzia, posso ricordare innumerevoli canti popolari in cui la costruzione del tempio è menzionata e ripetuta come un desiderio, come un’aspirazione nazionale di tutti gli ebrei, religiosi e non, compresi quelli come me che sono stati cresciuti in modo del tutto laico.

La tranquillità può essere pericolosa

In un video in ebraico uscito nel 2019, una delle amate personalità pubbliche nazionali di Israele, Yehoram Ga’on, che ha fatto carriera come cantante e attore, parla di questo desiderio. Parla “dell’ingiustizia” di negare agli ebrei l’accesso al Monte del Tempio, “il luogo più sacro per gli ebrei”. In questo video, si riferisce specificamente al fatto che nel “Giorno di Gerusalemme” di quell’anno il Monte del Tempio sarà chiuso agli ebrei perché è caduto l’ultimo giorno del mese sacro musulmano del Ramadan.

Ga’on afferma che il governo, o il “regno”, come lo chiama lui, preferisce la “tranquillità” piuttosto che consentire agli ebrei di accedere a ciò che è loro di diritto. “Questa è una chiara vittoria del calendario islamico sul calendario ebraico”, dice, il che significa che, poiché le date delle loro festività si sono scontrate con le nostre, abbiamo ceduto per motivi di “tranquillità”. Ha spiegato:

“Il regno non vuole mobilitare l’esercito, la polizia e la polizia di frontiera per affrontare la folla che grida “Con il sangue e lo spirito libereremo la Palestina”, perché il regno vuole la tranquillità. Tutto quello che abbiamo chiesto è che anche noi possiamo entrare nel Monte: è chiedere troppo?”

Ga’on ha poi continuato dicendo che questo desiderio di tranquillità significa che gli ebrei devono cedere e rinunciare ai propri diritti, alle proprie credenze, alla propria esistenza, e che questa è una profanazione della memoria di coloro che hanno dato la vita in  battaglia. Il video è costellato di immagini di “violenza” palestinese, che contraddice la presunzione di “tranquillità”, e propone che, anche con questa eclatante ingiustizia nei confronti degli ebrei, Israele non ha la tranquillità che desidera perché gli arabi pretendono sempre di più.

L’innocenza della sua proposta potrebbe far credere che in effetti gli ebrei israeliani fossero quelli che vivevano sotto occupazione; che agli ebrei israeliani vengono negati i diritti; che sono loro che stanno lottando per sopravvivere in un regime oppressivo e di apartheid che vuole sbarazzarsi di loro. Ascoltando il suo ragionamento, la sua voce calma e il suo linguaggio pacato, si potrebbe quasi essere convinti che agli ebrei di Gerusalemme sia stato fatto un terribile torto.

La capacità di escludere il contesto da ogni argomento è una tattica che i propagandisti sionisti hanno usato per molti decenni. Oscurano quasi un intero secolo di pulizia etnica, violenza, politiche razziste, un regime di apartheid e uno sforzo concertato per liberare la Palestina dal suo popolo e dai suoi emblemi.

Millecinquecento anni di storia, millecinquecento anni di culto e il mantenimento di quella che è una delle strutture più meravigliose conosciute dall’umanità non hanno senso agli occhi dei sionisti. Ad esempio, Al-Aqsa e le strutture che la circondano sono più antiche e per molti versi più belle e sicuramente più significative del Taj Mahal. Ora immaginate che qualcuno arrivi affermando che il Taj Mahal è costruito sulle fondamenta di un antico tempio e deve essere distrutto.

Che si tratti di Neomi Shemer o Yehoram Ga’on, entrambi icone culturali sioniste, il messaggio è lo stesso: solo gli ebrei contano. Se guardiamo alla breve storia di Israele, possiamo vedere chiaramente che il ruolo degli estremisti è sempre stato fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi sionisti. Se non fosse per i fanatici coloni sionisti, non ci sarebbero stati insediamenti in Cisgiordania e nessuno Stato di Israele. Il movimento sionista è sempre stato un passo avanti, indottrinando, sostenendo e finanziando i coloni fanatici che poi hanno preso il controllo della situazione e agito di conseguenza.

Se la moschea di Al-Aqsa dovesse essere distrutta, la scintilla sarà innescata da un colono fanatico, ma sono decenni di indottrinamento sionista e politiche israeliane che saranno responsabili della distruzione. E tutto ciò che resterà da fare al resto del mondo sarà guardare le ceneri con vergogna.

Miko Peled è uno scrittore e attivista per i diritti umani, nato a Gerusalemme. E’ autore di ”The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine,” e “Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five.”

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org