ll docente dell’Università di Bristol David Miller è stato licenziato a seguito della campagna diffamatoria della lobby israeliana nonostante le indagini ufficiali non abbiano trovato prove di antisemitismo.
Fonte: english version
Di Jonathan Cook – 7 ottobre 2021
Immagine di copertina: David Miller (Photo via supportmiller.org)
La lobby pro-Israele britannica ha conseguito un altro importante risultato la scorsa settimana dopo che una prolungata campagna di intimidazioni ha alla fine spinto una grande università del Regno Unito a licenziare uno dei suoi docenti.
L’Università di Bristol ha licenziato David Miller, professore di sociologia politica, anche se un’indagine ufficiale aveva concluso che le accuse di antisemitismo contro di lui erano infondate.
La ricerca di Miller, uno dei principali studiosi sulla propaganda, aveva tracciato le reti di influenza nel Regno Unito in relazione all’islamofobia, reti che includevano i gruppi di lobby pro-Israele che hanno fatto pressioni per farlo licenziare.
La decisione rischia di essere un duro colpo per le libertà accademiche nel Regno Unito, già sotto la crescente minaccia degli sforzi per mettere a tacere le critiche nei confronti di Israele sulla scia dei rapporti delle associazioni per i diritti umani israeliane e internazionali che lo descrivono come uno Stato di apartheid.
L’Università Bristol ha affrontato una campagna simile quattro anni fa contro un’altra professoressa, Rebecca Gould, anni dopo un suo articolo su come Israele ha usato la memoria dell’Olocausto per “mascherare i suoi crimini” contro i palestinesi. Nonostante le richieste di licenziarla, Gould è sopravvissuta, forse in parte perché ebrea.
Lobby incoraggiata
Ma da quell’attacco, una lobby pro-Israele sempre più incoraggiata e i gruppi che cercano di proteggere Israele dalle critiche hanno avuto un crescente successo nel fondere la critica a Israele con l’antisemitismo.
La lobby è stata resa più forte dal successo della sua campagna durata anni per diffamare il precedente leader del Partito Laburista di opposizione britannico, Jeremy Corbyn, un vero sostenitore dei diritti dei palestinesi. Sostenevano che avesse trasformato il Partito in un covo di antisemitismo. Corbyn si è dimesso l’anno scorso.
Le affermazioni infondate di un “balzo dell’antisemitismo” sotto Corbyn sono state amplificate dai media di proprietà dei miliardari e dalla burocrazia della destra laburista, entrambi desiderosi che il socialista Corbyn se ne andasse.
A conferma della continua ingerenza della lobby nel dibattito politico del Regno Unito su Israele e l’antisemitismo, il successore di Corbyn, Keir Starmer, ha epurato il Partito dai sostenitori di Corbyn, compresi gli ebrei, diffamandoli come antisemiti.
Alla conferenza del Partito Laburista del mese scorso, tuttavia, Starmer ha subito un contraccolpo. I delegati hanno votato a favore di una mozione che dichiara Israele uno Stato di apartheid. La mozione chiedeva anche sanzioni contro gli insediamenti illegali di Israele in terra palestinese e la fine della vendita di armi del Regno Unito a Israele.
Fomentare l’islamofobia
Con il licenziamento di Miller da parte dell’Università di Bristol, il campo di battaglia principale sembra spostarsi nel mondo accademico, dove si teme che l’idea di Israele come Stato di apartheid possa prendere piede. La lobby ha fragorosamente festeggiato il licenziamento del professore, presumibilmente nella speranza che venga inviato un messaggio chiaro ad altri accademici per frenare le loro critiche pubbliche nei confronti di Israele.
La campagna contro Miller è iniziata più di due anni fa, dopo che il professore aveva pubblicato una ricerca sui “cinque pilastri dell’islamofobia” nella società britannica. Un diagramma illustrava i legami organizzativi tra i gruppi di lobby pro-Israele nel Regno Unito e un insieme di quelle che Israele chiama “istituzioni nazionali” nel fomentare l’islamofobia.
Miller stava portando alla luce l’influenza di questa rete di istituzioni transnazionali che, secondo Israele, rappresentano una “nazione ebraica” globale la cui patria è Israele.
(Paradossalmente, la convinzione sionista che gli ebrei formino un unico popolo che ha bisogno di organizzarsi a livello globale attraverso una complessa rete di istituzioni transnazionali e locali per scongiurare l’antisemitismo rispecchia perfettamente le idee antisemite secondo cui gli ebrei fanno parte di una cospirazione globale.)
Le cosiddette “istituzioni nazionali” come il Fondo Nazionale Ebraico, l’Organizzazione Sionista Mondiale e l’Agenzia Ebraica godono tutte di un’autorità quasi statale in Israele, mentre creano organizzazioni locali affiliate nella maggior parte dei principali paesi occidentali.
Ad esempio, il Fondo Nazionale Ebraico supervisiona le politiche razziste di assegnazione della terra che privilegiano gli ebrei rispetto ai palestinesi per conto dello Stato israeliano, pur avendo filiali attive in Europa e Nord America. E l’Organizzazione Sionista Mondiale, che ha una dozzina di organizzazioni affiliate che operano in tutto il mondo, gestisce operazioni a condizioni di mercato per lo Stato israeliano di insediamento degli ebrei in terra palestinese nei territori occupati.
Il lavoro di Miller ha mostrato come queste agenzie, agendo efficacemente come braccio armato dello Stato israeliano, abbiano profondi legami istituzionali e di finanziamento con i gruppi sionisti del Regno Unito, gli stessi gruppi che hanno spinto per la ridefinizione dell’antisemitismo in modi progettati per mettere a tacere le critiche a Israele e che hanno portato alla campagna contro Corbyn.
La sua ricerca suggeriva che la promozione dell’islamofobia da parte della lobby avesse avuto un ruolo in quelle campagne.
L’antisemitismo ridefinito
La paura dei musulmani e dell’Islam ha a lungo sostenuto una narrativa faziosa secondo cui Israele sta con l’occidente giudaico-cristiano contro una presunta barbarie e contro il terrorismo islamico. I palestinesi, nonostante una percentuale significativa sia cristiana, sono stati presentati come dalla parte sbagliata di quella presunta divisione di civiltà.
Sostenuta dai media istituzionali, l’Unione degli Studenti Ebrei inizialmente sosteneva che una conferenza di Miller sull’islamofobia avesse “intimidito e messo imbarazzo” due anonimi studenti dell’Università di Bristol.
Ma lungi dal rappresentare tutti gli studenti ebrei, l’Unione degli Studenti è un organismo dichiaratamente sionista, affiliato attraverso l’Unione Mondiale degli Studenti Ebrei all’Organizzazione Mondiale Sionista, “l’istituzione nazionale” il cui ruolo include la direzione della costruzione da parte di Israele di insediamenti ebraici illegali sulla terra palestinese occupata.
L’Unione degli Studenti Ebrei ha anche svolto un ruolo fondamentale nello spingere per l’adozione di una nuova definizione di antisemitismo nelle università che, lungi dal proteggere gli studenti ebrei dall’odio, è, come vedremo, progettata per proteggere Israele dalle critiche.
Miller è stato scagionato dalle accuse iniziali della lobby, ma ciò è servito solo a intensificare la campagna contro di lui. All’inizio di quest’anno è stato sottoposto a un’indagine di verifica da parte dell’Università di Bristol.
In risposta, circa 200 studiosi, comprese figure di spicco come Noam Chomsky e Judith Butler, entrambi ebrei, hanno presentato una petizione all’Università. La loro lettera ha evidenziato gli “sforzi inesorabili e concertati per diffamare pubblicamente” Miller.
Il professore, hanno aggiunto, è “noto a livello internazionale per aver rivelato il ruolo che attori potenti e reti coordinate e dotate di ampie risorse svolgono nel manipolare e dirigere i dibattiti pubblici, inclusi quelli sul razzismo”.
Il licenziamento di Miller segue il successo della lobby nel fare pressione sulle principali istituzioni, tra cui l’Università di Bristol, affinché adottino una nuova controversa definizione di antisemitismo promossa dall’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto (IHRA).
Di una serie di 11 presunti esempi di antisemitismo posti dall’IHRA, sette si riferiscono a Israele.
Anche l’autore principale della definizione, un avvocato ebreo, Kenneth Stern, ha esortato le istituzioni pubbliche a non adottarla, avvertendo che è stata “armata” per fermare il dibattito su Israele. I suoi avvertimenti sono caduti nel vuoto.
Il Partito Conservatore al governo si è unito alla campagna di pressione, celebrando il mese scorso il risultato secondo il quale il numero di università britanniche che hanno adottato la definizione IHRA è aumentato del 160% nell’ultimo anno, da 30 a 80.
Ciò può essere in parte spiegato dal fatto che il governo ha minacciato il de-finanziamento di tutte le università che si rifiutano di aderire.
Paradossalmente, mentre il governo di Boris Johnson ha cercato di mettere a tacere le critiche a Israele, ha anche chiesto la fine di ciò che chiama “cancellazione della cultura” nelle università, principalmente tentativi da parte degli studenti di negare una piattaforma a oratori razzisti e transfobici.
La campagna contro Miller ha ottenuto il sostegno di un gran numero di politici di tutti i partiti, persino dell’unico legislatore dei Verdi, Caroline Lucas. Più di 100 membri del Parlamento hanno scritto all’Università di Bristol a marzo, facendo eco alle affermazioni dei gruppi di lobby secondo cui il professore stava “incitando all’odio contro gli studenti ebrei”.
Scagionato dalle accuse di antisemitismo e licenziato comunque
Stranamente, quando l’Università di Bristol ha avviato la sua seconda indagine a marzo, un ministro del governo ha annunciato: “È responsabilità dell’Università di Bristol determinare se le osservazioni del professor Miller costituiscono o meno una legittima libertà di parola”.
In una dichiarazione sul licenziamento di Miller la scorsa settimana, l’Università ha ammesso che l’avvocato nominato non aveva trovato nulla di “illegale” nei commenti di Miller.
Infatti, ha detto Miller, la dichiarazione dell’Università era di per sé fuorviante. Il rapporto del loro avvocato citava: “hanno appurato che i miei commenti non erano antisemiti e che non violavano in alcun modo la Legge sull’Equità (Equality Act)”.
Nonostante l’avvocato fosse a favore di Miller, l’Università lo ha licenziato comunque. Ha detto che aveva “il dovere di prendersi cura di tutti gli studenti e della più ampia comunità universitaria” e che Miller non era riuscito a “soddisfare gli standard di comportamento che ci aspettiamo dal nostro personale docente”.
Questo sembrava essere l’equivalente addolcito dell’Università di: “screditare il partito”, la giustificazione del Partito Laburista britannico per sospendere ed espellere membri quando si è rivelato impossibile trovare effettivamente prove contro di loro per sostenere affermazioni di antisemitismo.
Miller ha detto che farà ricorso, utilizzando le procedure interne dell’Università o deferendo il caso a un tribunale del lavoro.
L’Università di Bristol potrebbe avere problemi a difendere le sue azioni. La sua dichiarazione pone più domande che risposte.
L’Università non ha anche un dovere di diligenza nei confronti dello stesso Miller, se nulla di ciò che ha fatto è stato ritenuto illegale o antisemita?
E poiché l’Università ammette che “i membri della nostra comunità hanno punti di vista molto diversi tra loro” sulle questioni al centro dell’indagine, non ha anche il dovere di prendersi cura degli studenti palestinesi, arabi, musulmani e di sinistra?
L’Università ha inviato un chiaro messaggio, che le loro preoccupazioni sull’islamofobia e su come viene promossa nel Regno Unito sono una priorità molto bassa e che anche gli accademici che parlano in solidarietà con loro rischiano di perdere il lavoro.
E come è possibile far quadrare l’affermazione dell’Università che è impegnata a preservare “i principi essenziali della libertà accademica” quando ha così palesemente ceduto ad una campagna di intimidazione senza fondamento?
Il licenziamento di Miller rende quasi impossibile per qualsiasi altro accademico prendere in considerazione una ricerca sull’islamofobia o un esame del ruolo di un’importante lobby britannica, lasciando questi campi effettivamente interdetti.
Arrecare offesa
La ricerca di Miller ha dimostrato di avere un valore predittivo, uno dei parametri per misurare la plausibilità della sua tesi.
Le stesse reti di influenza che ha identificato nel tentativo di mettere a tacere le critiche a Israele si sono rapidamente dedicate a sbandierare la loro vittoria contro Miller sui social media, assicurandosi che altri accademici ricevessero il messaggio.
ACT.IL, che se operasse per conto della Russia piuttosto che di Israele sarebbe descritta come una fabbrica di troll, ha radunato i suoi proseliti per denunciare Miller online di “sputare antisemitismo”.
Il caso è stato travisato in modo simile dai media britannici, che hanno guidato la campagna contro Miller, così come avevano fatto contro Corbyn.
Un rapporto del presunto liberale The Guardian ha descritto il caso di Miller come la divisione “dell’Università tra il personale e gli studenti che lo hanno accusato di sputare epiteti antisemiti nelle lezioni e online, e coloro che temevano che le sanzioni avrebbero stroncato la ricerca “.
Il presupposto del Guardian e di altri era che Miller avesse davvero “sputato epiteti antisemiti” e che l’unica domanda era se licenziarlo fosse un prezzo troppo alto, dato il pericolo che avrebbe potuto stroncare la ricerca.
Al Guardian o ad altri media non è mai venuto in mente che alcuni membri del personale e degli studenti, così come il Consiglio Reale (Queen’s Counsel) che indagava sul caso, non credessero effettivamente che Miller avesse “sputato epiteti antisemiti”.
In verità, la ricerca di Miller e le sue dichiarazioni sulla lobby e l’islamofobia sono apparse antisemite solo in un nuovo senso altamente politicizzato del termine, coltivato dalla lobby israeliana, che criticare Israele e i suoi lobbisti è offensivo.
Ma questo è inevitabile quando la ricerca sfida i presupposti popolari o mette in discussione i sistemi di potere. Le università o supportano la ricerca accademica e dove conduce, oppure no.
Miller ha osservato che il successo della lobby la incoraggerebbe a “raddoppiare gli sforzi” per fare campagna per il licenziamento di altri accademici.
Nonostante la sua dichiarazione subdola, l’Università di Bristol ha dimostrato di non avere assolutamente alcuna dedizione per la libertà accademica. Il pericolo ora è che anche altre università britanniche sosterranno questo principio.
Jonathan Cook è vincitore del Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri includono “Israele e lo Scontro di Civiltà: Iraq, Iran e il Piano per Ricostruire il Medio Oriente” (Pluto Press) e “Palestina Scomparsa: Gli Esperimenti di Israele Nella Disperazione Umana” (Zed Books).
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org