L’unica speranza per la lotta palestinese è liberarla dalla sua narrativa machista

Spetta alle donne palestinesi combattere l’enfasi esagerata della loro società sui valori e sui simboli dell’eroismo maschile, che stanno condannando la battaglia contro l’occupazione israeliana a un tragico vicolo cieco.

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Di Rajaa Natura – 17 ottobre 2021 

Immagine di copertina:  Manifestazione di sostegno ai sei palestinesi evasi da Gilboa. Ramallha settembre 21  [Reuters/Ammar Awad]

La stampa arabo-palestinese ha sfoderato ogni possibile superlativo per descrivere Zubeidi: combattente per la libertà, drago di Palestina, pantera nera, leggenda, eroe della Seconda Intifada. Zubeidi, in quanto uomo palestinese, ha superato la prova nazionale a cui è stato sottoposto: l’eloquio dominante palestinese ha lodato lui in particolare e la mascolinità palestinese in generale come eroica.

Il problema è che la sua mascolinità, come quella di molti uomini palestinesi, è direttamente proporzionale alla violenza della mascolinità dell’occupante israeliano. Le percosse, gli arresti, le torture e le incarcerazioni subite sono riti di passaggio per l’eroica mascolinità nazionale palestinese. Questo è ciò che la società palestinese si aspetta da un uomo che sta vivendo una trasformazione da ragazzo normale a eroe. La mascolinità ordinaria e mortale significa sconfitta, che è qualcosa che il centro interno palestinese rifiuta di comprendere.

La richiesta è di un contrappeso che sia “uguale” alla mascolinità israeliana occupante. Ogni giorno, l’occupazione crea una forma di mascolinità palestinese simile a un manifesto o a una sconfitta; restringe lo spazio in cui opera, canalizza e detta le sue risposte sociali e politiche.

È pretenzioso e fuorviante affermare che la mascolinità palestinese, che è regolarmente alimentata e gonfiata dalla passionalità palestinese, è equivalente in potenza fisica e simbolica alla mascolinità israeliana occupante solo perché è in grado di reagire ad essa. Questa reattività in realtà non altera effettivamente l’equilibrio del potere e quindi il suo rifugio finale è la replica ripetitiva del modello eroico, nel tentativo di dare vita alla narrativa palestinese che lentamente sbiadisce.

La fuga di Zubeidi è una risposta combattiva tra una serie di possibili reazioni all’oppressione politico-maschile israeliana. Non è l’ultima e unica risposta, quindi non può essere descritta come una completa vittoria nazionale palestinese sull’occupazione, come è stato il tema dominante nel dibattito della comunità.

In generale, la fuga di Zubeidi e l’eroismo maschile palestinese non dovrebbero diventare l’unico significante di ciò che significa essere palestinesi, o della causa palestinese. Non ha sconfitto l’occupazione né la sconfiggerà presto. La sua fuga non ha “minato la sicurezza di Israele e degli israeliani”.

Questo è un discorso vuoto, storicamente errato e distruttivo che lascia intendere in modo nostalgico che solo l’eroismo maschile palestinese può trionfare. Di fatto, nessun eroismo maschile palestinese ha posto fine all’occupazione, alterato il dibattito politico sull’occupazione o offerto prove o strumenti alternativi alle generazioni più giovani, a parte la glorificazione del sacrificio e del martirio.

Mentre il corpo femminile palestinese è percepito come qualcosa di vergognoso, gli uomini espongono i propri corpi percossi e torturati in pubblico e ai media perché i segni di tortura sono motivo di orgoglio e indice di machismo. Gli uomini palestinesi controllano la narrazione attraverso i loro corpi e poi la preservano e la impongono: Al loro rilascio, l’umiliazione, l’incarcerazione e la tortura che hanno subito nelle carceri israeliane sono sfruttate per l’accesso al potere, a posizioni chiave e all’influenza politica.

La storia di Marwan Barghouti, imprigionato in Israele dal 2004 (per coinvolgimento in attentati durante la Seconda Intifada) è un classico esempio di sfruttamento della persecuzione, dell’incarcerazione e dell’ergastolo che garantisce potere e influenza politica. L’uomo continua a operare come leader nazionale dall’interno delle mura della prigione; è stato coinvolto nell’attuazione degli “Accordi del Cairo” volti al raggiungimento dell’unità nazionale palestinese, e nella riorganizzazione delle fila di Fatah. Lo scorso anno si è anche proposto come candidato alla presidenza dell’Autorità Palestinese.

I successi politici di Barghouti non superano quelli delle attiviste e deputate Khalida Jarrar o Hanan Ashrawi, ma è ancora acclamato come il prossimo leader politico grazie a quella leva di cui sopra.

L’attivista palestinese Zakaria Zubeidi, nel 2007. Le donne palestinesi non hanno accesso all’eroismo maschile palestinese come il suo. Credito: Miki Kratsman

Escluso dalla questione 

La dinamica che ho descritto non si applica affatto alle donne palestinesi. La violenza fisica che l’occupazione usa contro di loro non serve come rito di passaggio a una femminilità nazional-eroica palestinese. Non c’è “traccia” di eroismo femminile palestinese. Le donne palestinesi sono completamente escluse da questo contesto eroico e dalle ricompense sociopolitiche che ne derivano, principalmente perché gli uomini palestinesi sono i responsabili, secondo l’attuale narrativa, della lotta e dell’onore e della protezione delle donne palestinesi, quindi l’eroismo delle donne non è necessario.

La creazione di un precedente di eroismo femminile palestinese significherebbe sconvolgere l’equilibrio narrativo delle forze sulla base del genere, e renderlo accessibile alla femminilità palestinese esclusa.

Anche se lo volessero, le donne palestinesi non hanno accesso a quell’eroismo palestinese perché implica il contatto fisico che è religiosamente, moralmente e nazionalmente proibito con uomini estranei, in questo caso i soldati dell’occupazione.

Le prigioniere palestinesi non cercheranno mai di fuggire perché avranno sempre la vergogna e la paura delle sanzioni sociali che pendono sulla loro testa dopo aver ottenuto la libertà se sono state picchiate e torturate. Inoltre, essere liberate dal carcere non sarà per loro motivo di orgoglio o un mezzo per raggiungere la mobilità sociopolitica.

Il ruolo del corpo delle donne

Pertanto, il corpo femminile palestinese è stato relegato nel tradizionale ruolo di grembo materno in cui ci si aspetta che le donne palestinesi fungano da “testimoni” della violenza che l’occupazione commette contro uomini e bambini palestinesi.

Per la maggior parte, le donne palestinesi sono documentate dai media e riflesse nella narrazione quasi esclusivamente come un cuscinetto tra bambini e soldati, urlando alle truppe e allontanandone i loro figli ; agiscono da madri di tutti i bambini e di tutti gli uomini palestinesi. E poiché non possono raccontare la storia di ciò che è stato fatto sui loro corpi, raccontano l’unica storia legittima: quella di uomini palestinesi che vengono picchiati, torturati e uccisi.

Alle donne è permesso  impegnarsi in lutti e perdite perché queste sono cose che si adattano al loro ruolo religioso, morale e di genere nella loro società. L’eroismo femminile è escluso. La narrazione che viene raccontata non deve includere la paura e l’ansia femminili all’ombra dell’occupazione.

Attualmente, ci sono 40 donne palestinesi incarcerate nelle prigioni israeliane. Per il pubblico sono anonime, prive di nomi o storie. L’unica il cui nome compare di tanto in tanto sulla stampa palestinese e araba è Israa al-Jaabis. Sta scontando 11 anni per un atto che insiste di non aver commesso (aver fatto esplodere una bombola di gas nel suo veicolo al posto di blocco vicino all’insediamento di Ma’aleh Adumim).

Jaabis non è diventata un simbolo dell’eroismo femminile palestinese perché la sua negazione dell’atto di cui è accusata e la sua richiesta di cure mediche sono percepite come una negoziazione con le forze di occupazione e un allontanamento dalla causa nazionale palestinese.

Non è compito delle donne palestinesi oggi adottare l’eroismo maschile nazionale palestinese, pubblicizzarlo e sostenerlo o difenderlo come ha fatto la precedente generazione di donne. Il loro compito è decifrarlo e criticarlo, combatterlo e sconfiggerlo politicamente e in termini di coscienza collettiva. Rifiutarsi di continuare ad accettarlo. Questo rifiuto sarà probabilmente accolto con violenza, con accuse di tradimento e disprezzo da parte della maggior parte degli uomini palestinesi, ma deve nascere un altro tipo di femminilità palestinese.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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