Che ruolo gioca Israele nel colpo di stato in Sudan?

L’esercito sudanese ha riposto grandi speranze nelle crescenti relazioni con Israele come mezzo per cementare la sua recente presa di potere.

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Jihad Mashamoun – 3 novembre 2021

Immagine di copertina: Persone si radunano con le loro auto dopo aver recitato la preghiera del venerdì per organizzare una manifestazione a sostegno dei palestinesi, protestare contro gli attacchi israeliani alla Striscia di Gaza e contro l’accordo di normalizzazione con Israele a Khartoum, in Sudan, il 21 2021. [Getty]

Dalla firma dell’accordo di transizione nel luglio 2019 in Sudan, sia il tenente generale Abdel Fattah al-Burhan delle forze armate sudanesi (SAF), sia il tenente generale Mohamed Hamdan Dagalo (noto come “Hemedti”), comandante del Rapid Support Forces, hanno capito che avevano bisogno del sostegno internazionale, vale a dire degli Stati Uniti, per governare il Sudan.

Uno dei maggiori successi delle proteste popolari scoppiate il 30 giugno 2019 è stata la pressione sugli Stati Uniti per costringere a loro volta l’esercito sudanese a negoziare e accettare un accordo di transizione con le Forze per la libertà e il cambiamento (FFC), una coalizione di civili e gruppi ribelli.

In seguito a questo intervento degli Stati Uniti, l’esercito sudanese si rese conto che per avere qualche speranza di governare il Sudan durante il periodo di transizione o post-transizione, il sostegno degli Stati Uniti era cruciale.

Per raggiungere questo obiettivo, sia Burhan che Hemedti contattarono Israele per fare pressione a loro nome con l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

 “In seguito a questo intervento degli Stati Uniti, l’esercito sudanese si rese conto che per avere qualche speranza di governare il Sudan durante il periodo di transizione o post-transizione, il sostegno degli Stati Uniti era fondamentale”

L’agenda venne messa in moto quando Burhan incontrò l’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel febbraio 2020, con l’intenzione di ottenere il sostegno israeliano per esercitare pressioni sugli Stati Uniti  affinchè cancellasse il Sudan dalla lista americana degli stati che sponsorizzavano il terrorismo (STTL). La presenza del Sudan in questa lista impediva alla sua economia martoriata, con un debito di 60 miliardi di dollari, di accedere a nuovi prestiti dalla Banca Mondiale e dal FMI, oltre che scoraggiare le imprese internazionali dall’investire nel paese.

All’epoca la segretezza dell’incontro aumentò le tensioni tra i militari sudanesi e le loro controparti civili nel governo guidato dal primo ministro Abdalla Hamdok e dal suo gabinetto, che vedevano l’incontro come una interferenza del loro mandato riguardo alla politica estera del Sudan.

Dopo essere tornato in Sudan, Burhan spiegò di aver taciuto l’iniziativa al primo ministro Hamdok e al governo civile per salvaguardare la sicurezza del paese.

Ma alla fine, la corsa sia del generale Burhan che del generale Hemedti a rimuovere il nome del Sudan dall’STTL non fu motivata a favorire il benessere economico del Sudan, ma dal desiderio personale di ottenere l’immunità per la loro partecipazione al genocidio del Darfur nel 2003 e per qualsiasi accusa riguardante il loro ruolo nel disperdere con la violenza le proteste del 3 giugno 2019.

Inoltre, Burhan sta progettando una presidenza post-transizione che si basa sul sostegno degli islamisti, che costituivano la base del rovesciato regime di Bashir. Questi sostenitori, che ammontano a circa 500.000 in tutto il Sudan, dominano anche le forze armate sudanesi (SAF) e il loro complesso militare-industriale, come il General Intelligence Service (GIS), e hanno i loro imperi commerciali.

Da parte sua, Hemedti ha utilizzato Junaid, il suo conglomerato di aziende guidato da Abdel Rahman Dagalo, suo fratello e secondo in comando all’interno della RSF, per sostenere le sue ambizioni.

Con il suo ritorno a Khartoum, Burhan  continuò a promuovere i rapporti commerciali con Israele in competizione con i suoi omologhi civili e i loro alleati nella FFC, che stavano a loro volta prendendo in considerazione l’uso del lobbismo di Israele a Washington per accelerare la rimozione del Sudan dall’STTL.

Il blocco civile era interessato a utilizzare Israele per esercitare pressioni su Washington considerando che l’ex amministrazione statunitense guidata da Trump non aveva alcuna politica nei confronti del Sudan e il paese aveva bisogno di incrementare il settore agricolo per avviare la crescita economica e sperava nella prospettiva di utilizzare le competenze israeliane del settore.

Questo spiega perché la maggior parte dei partiti FFC rilasciò dichiarazioni che sostenevano una soluzione a due stati per porre fine al conflitto israelo-palestinese, piuttosto di una che chiedeva a Israele di dare pari cittadinanza, diritti sociali e politici a tutti nella Palestina storica.

Il processo di rimozione del Sudan dall’STTL fu ulteriormente complicato dalle richieste dell’amministrazione Trump affinché il Sudan, come primo passo, normalizzasse immediatamente le sue relazioni con Israele.

In risposta, il primo ministro Abdalla Hamdok spiegò all’allora segretario di Stato americano Mike Pompeo che non aveva il mandato per farlo e che le due questioni – normalizzazione con Israele e rimozione del Sudan dall’STTL – avrebbero dovuto avvenire separatamente. La risposta di Hamdok era sostenuta dal fatto che non c’era l’approvazione popolare nel normalizzare i legami con Israele.

Tuttavia, l’amministrazione Trump continuò a insistere affinché il Sudan normalizzasse i legami con Israele aggiungendo che avrebbe dovuto pagare un risarcimento per l’attacco alla USS Cole nel 2001.

Alla fine, il governo di Hamdok raggiunse un accordo sulla USS Cole e diede l’approvazione tattica alla firma degli accordi di Abraham; questa via di mezzo diplomatica di Hamdok fu il risultato del peggioramento della situazione economica che molti in Sudan sospettano che Burhan e Hemedti potrebbero avere incoraggiato o progettato per estromettere il governo di transizione.

Con l’amministrazione Trump che dava al Sudan la percezione che Israele avesse una potente influenza a Washington, l’esercito sudanese ha cercato di dominare le relazioni del Sudan con Israele, e ora sta facendo pressione sull’attuale amministrazione Biden perché l’esercito sudanese venga considerato un partner affidabile per aiutare a mantenere la stabilità e la sicurezza in Sudan, Africa e Medio Oriente.

L’esercito sudanese crede che questa tattica funzionerà perché l’amministrazione Biden ha abbracciato gli accordi arabo-israeliani dell’amministrazione Trump, oltre al fatto che anche la sua amministrazione non ha una politica nei confronti del Sudan, né il Sudan è una priorità nella sua agenda.

Tutto ciò ha incoraggiato i militari a inviare sia il tenente generale Abdel Rahman Dagalo che il tenente generale Mirghani Idriss, capo delle industrie dei sistemi di difesa del Sudan, a promuovere le relazioni dell’esercito con Israele.

 “Un governo militare è meno problematico per Israele di un consiglio legislativo sudanese dominato da ideologie e interessi in competizione che potrebbero respingere un accordo”

La visita della delegazione militare in Israele prima del recente colpo di stato militare in Sudan è un chiaro segnale del fatto che Burhan crede di poter usare quella relazione per ottenere il sostegno degli Stati Uniti e che intende consolidare tale convinzione visitando ufficialmente Washington per normalizzare i legami del Sudan con Israele nel prossimo futuro.

È altamente probabile che Israele sosterrà il governo militare in Sudan. Un governo militare è meno problematico per Israele rispetto a un consiglio legislativo sudanese dominato da ideologie e interessi in competizione che potrebbero rifiutare un accordo. Tuttavia, il colpo di stato mette in difficoltà l’amministrazione Biden.

Non solo questo colpo di stato militare mina la capacità del Sudan di costruire istituzioni che salvaguardino la propria transizione e democrazia, ma manda anche in fumo l’impegno dell’amministrazione Biden nei confronti della democrazia, del multilateralismo e dei diritti umani.

 

Jihad Mashamoun è un ricercatore sudanese e un analista politico delle questioni sudanesi. È autore e coautore di numerosi articoli sulle rivolte e sugli affari sudanesi.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org