I palestinesi della Siria si trovano all’intersezione delle due più grandi crisi moderne di rifugiati della regione. Come comunità, ora sono due volte rifugiati e la loro situazione attuale rimane instabile e non protetta. Più di 70 anni dopo il suo inizio, la Nakba continua a ripetersi in forme diverse.
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Anne Irfan – 5 novembre 2021
A partire dal 2021, sono stati conteggiati 5,6 milioni di rifugiati palestinesi e 6,6 milioni di rifugiati siriani in tutto il mondo, con entrambe le popolazioni in crescita poiché le cause dei loro spostamenti rimangono irrisolte.
Queste cifre non raccontano tutta la storia. Sono limitate a quei rifugiati di ogni nazionalità che si sono registrati presso l’ONU (UNHCR per i siriani e UNRWA per i palestinesi). Si stima, ad esempio, che il numero reale di rifugiati palestinesi nel mondo sia di circa 8 milioni, il che significa che quasi un terzo potrebbe essere escluso dalle statistiche spesso citate dall’UNRWA.
C’è un altro gruppo le cui esperienze di spostamento sono taciute anche all’interno di queste figure. A causa della guerra civile, circa 120.000 palestinesi sono fuggiti dalla Siria, quasi 1 su 4 della popolazione palestinese siriana prima del 2011. Poiché questo gruppo era già registrato presso l’UNRWA prima del 2011, le loro esperienze di due volte rifugiati sono di solito nascoste nelle statistiche ufficiali. La loro condizione è fondamentale per comprendere lo sfollamento nel moderno Medio Oriente e, probabilmente, anche al di là di esso.
Sin dalla Nakba in Siria c’era stata una significativa popolazione palestinese, quando fino a 100.000 rifugiati provenienti dalla Palestina settentrionale vi si stabilirono. Con la Nakba avvenuta appena due anni dopo che la Siria aveva ottenuto formalmente l’indipendenza dal governo del mandato francese, la crisi dei rifugiati palestinesi è stata virtualmente contemporanea alla storia moderna della Siria. La difficile situazione dei palestinesi è similmente intrecciata con la crisi in corso in Siria.
Prima del 2011, la Siria veniva regolarmente descritta come lo stato arabo ospitante più accogliente per i rifugiati palestinesi. In base alla legge n. 260, approvata nel 1956, i rifugiati palestinesi in Siria hanno mantenuto la propria nazionalità pur raggiungendo uno status quasi paritario con i cittadini siriani in termini di diritti sociali ed economici. Potevano accedere a programmi e servizi pubblici, possedere terreni e proprietà (con la limitazione e l’approvazione del Ministero degli Interni siriano), investire denaro e stabilire le proprie attività. Pur rimanendo apolidi e senza passaporto, i residenti palestinesi in Siria avevano diritto a documenti di viaggio che consentivano loro di uscire e rientrare nel Paese senza bisogno di visto. La loro situazione era in netto contrasto con quella dei loro omologhi nel vicino Libano, dove ai palestinesi è sempre stato negato l’accesso ai servizi statali, il divieto di possedere terreni e il divieto di esercitare molteplici professioni.
C’erano, ovviamente, limitazioni allo status quasi paritario dei palestinesi nella Siria prebellica. In quanto non cittadini, era loro negato il diritto di ricoprire cariche politiche o votare, anche se quest’ultimo divieto significava ben poco sotto il regime di Assad. Come tutti i residenti in Siria, anche i Palestinesi hanno sofferto sotto la sua repressione. Hanno anche sperimentato, in media, un impoverimento e una insicurezza socio-economica maggiori rispetto ai cittadini siriani. Allo stesso tempo, la loro relativa integrazione nella società siriana ha fatto sì che la povertà palestinese e i tassi di disoccupazione fossero costantemente più bassi nella Siria ante 2011 rispetto al Libano o alla Giordania.
Dal 2011 la situazione dei palestinesi siriani è stata capovolta. Precedentemente forti di mezzo milione, il loro numero è stato gravemente impoverito dall’esodo su larga scala dopo anni di intensi combattimenti. Yarmouk, un campo informale e quartiere de facto di Damasco che un tempo ospitava la comunità palestinese più popolosa della Siria, venne ripetutamente assediato sia dal regime di Assad che da Daesh. Le morti e le fughe risultanti causarono la riduzione della popolazione da 160.000 a poche dozzine di famiglie. A partire dal 10 settembre di quest’anno, tuttavia, il governo ha permesso il ritorno “incondizionato” dei residenti del campo per rimuovere le macerie dalle loro case e far posto alla ricostruzione delle infrastrutture (acqua, elettricità, ecc.) I residenti sono tenuti ad acquisire un modulo di autorizzazione che permette loro di entrare e uscire dal campo.
La devastazione non si è limitata a Yarmouk. Dall’inizio del conflitto siriano, 280.000 palestinesi – più della metà della popolazione palestinese del paese – sono stati sfollati interni. L’UNRWA riferisce che oltre il 95% dei palestinesi rimasti in Siria ha bisogno di aiuti per soddisfare i propri bisogni primari.
Coloro che sono fuggiti dal paese affrontano seri problemi. Nonostante abbiano sofferto della stessa guerra dei loro vicini siriani, i rifugiati palestinesi dalla Siria sono spesso trascurati quando si tratta di aiuti e diritti di soccorso. In quanto non siriani, non sono stati in grado di accedere regolarmente ai programmi di soccorso designati per la crisi del Paese. La maggior parte degli aiuti internazionali è stata organizzata tramite l’UNHCR, trascurando i rifugiati palestinesi registrati presso l’UNRWA.
La Giordania ha chiuso le sue porte ai palestinesi che attraversavano la Siria nel 2013, pur continuando ad accettare cittadini siriani in fuga dalla stessa guerra. I palestinesi che da allora sono entrati in Giordania rischiano la deportazione verso la guerra da cui sono fuggiti. I palestinesi sono anche esclusi dai campi profughi istituiti per i rifugiati siriani in Giordania.
Mentre alcuni palestinesi reagirono al divieto giordano cercando rifugio in Libano, questa opzione non è durata a lungo. Nel 2014, il Libano seguì l’esempio della Giordania, negando in particolare l’ingresso ai rifugiati palestinesi dalla Siria. Di conseguenza, un numero sempre maggiore di palestinesi è stato costretto a cercare rifugio al di fuori dei campi operativi dell’UNRWA, dove rischia l’esclusione dal mandato dell’UNHCR e la conseguente mancanza di sostegno e protezione. In Egitto, ad esempio, il governo vieta ai palestinesi di registrarsi presso l’UNHCR, lasciandoli senza protezione o servizi da parte di qualsiasi organismo delle Nazioni Unite. Nel frattempo, i palestinesi in Turchia hanno faticato ad accedere ai servizi, poiché il governo non consente all’UNHCR di determinare lo status di rifugiato nel paese.
Queste esclusioni hanno portato alcuni rifugiati palestinesi dalla Siria a cercare rifugio più lontano. Sebbene le cifre esatte siano sconosciute, si stima che negli ultimi anni dalla Siria oltre 60.000 palestinesi siano fuggiti in Europa, anche attraverso pericolose traversate in barca sul Mediterraneo. Le stesse esclusioni che li hanno afflitti in Medio Oriente le hanno però trovate in Europa, dove i programmi di reinsediamento si sono in gran parte concentrati sui rifugiati siriani, a volte operando tramite l’UNHCR e negando ancora una volta gli stessi diritti ai rifugiati palestinesi dalla Siria.
L’esclusione di fondo dei palestinesi sta alla radice di queste esperienze. In quanto apolidi, sono distintamente svantaggiati, privi di protezione statale in un sistema internazionale che si basa su di esso. Le vulnerabilità risultanti possono essere osservate nell’esclusione dei rifugiati palestinesi in fuga dalla Siria nell’ultimo decennio. Pertanto, mentre il conflitto siriano è la causa immediata del loro secondo sfollamento, non va dimenticato il contesto sottostante alla loro espropriazione originaria. Certamente, esso è stato costantemente ricordato ai rifugiati palestinesi dalla Siria nella loro ricerca di sicurezza, poiché i governi di tutto il mondo hanno adottato politiche che evidenziano la loro distinzione dai cittadini siriani.
Nell’ultimo decennio un piccolo numero di rifugiati palestinesi dalla Siria ha cercato di tornare nella stessa Palestina. Alcuni hanno viaggiato direttamente in barca a Gaza, mentre altri sono fuggiti prima dalla Siria in Egitto, e poi sono stati deportati a Gaza dal governo egiziano. Sebbene le informazioni siano scarse, si stima che più di 200 famiglie palestinesi dalla Siria siano ora arrivate nella Striscia di Gaza. La loro nazionalità non li pone più in minoranza, ma loro, come tutti gli altri, devono fare i conti con il blocco in corso, l’impoverimento e la costante minaccia degli attacchi aerei israeliani.
I palestinesi della Siria si trovano all’intersezione delle due più grandi crisi moderne di rifugiati della regione. Come comunità, ora sono due volte rifugiati e la loro situazione attuale rimane instabile e non protetta. Più di 70 anni dopo il suo inizio, la Nakba continua a ripetersi in forme diverse.
Anne Irfan è una storica del Medio Oriente moderno, specializzata nella storia dei rifugiati palestinesi. È docente di Interdisciplinary Race, Gender and Postcolonial Studies presso l’University College London. Il suo lavoro può essere trovato nel Journal of Refugee Studies, Journal of Palestine Studies, Forced Migration Review e Jerusalem Quarterly. Il suo libro, Rifugio e resistenza: i rifugiati palestinesi e il regime delle Nazioni Unite, 1948-82, uscirà con la Columbia University Press.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org