Letteratura della Resistenza e “pedagogia degli oppressi” nella Palestina colonizzata

Seguendo l’appello di Edward Said, Haidar Eid usa la letteratura per “de-orientalizzare l’oriente” a Gaza.

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Di Haidar Eid – 23 novembre 2021

Immagine di copertina: Mohsin Hamid (Foto: Ed Kashi via mohsinhamid.com)

Questo semestre, insegnerò due romanzi e alcuni racconti scritti da brillanti e critici “orientali” e africani seguendo il consiglio di Edward Said di utilizzare il suo lavoro sull’orientalismo in modo da poter poi produrre nostri nuovi studi che “illumineranno  l’esperienza storica degli arabi e di altri”, inclusi i musulmani, in “una generosa modalità di abilitazione”, come lo espone del suo capolavoro: Orientalismo. Mi sono reso conto che l’esplorazione delle sfaccettate riflessioni di queste opere letterarie con i miei studenti palestinesi, che vivono tutta la loro vita nella Gaza assediata, potrebbe essere un modo per discutere le fonti da cui alla fine sorgono le differenze est-ovest come strategia per aver compreso ciò che Said etichetta come “scontro di inciviltà”. Ma ho in mente anche le teorie di Paulo Freire sulla pedagogia degli oppressi. I testi a cui mi riferisco qui sono scritti dai nostri Ghassan Kanafani, Ousmane Semebene, Nureddin Farrah, Ngugi Wa Thiong’o e Mohsin Hamid.

Ho pensato che poiché è principalmente il fondamentalismo cristiano americano, insito nel più alto livello del potere militare e governativo degli Stati Uniti, e il sionismo ashkenazita che si percepiscono sotto l’attacco “dell’Islam” e dell’essenzialmente “Oriente antisemita”, potrebbe essere utile perseguire testi letterari che presentano accostamenti non conflittuali delle due tradizioni, o “l’altra” storia, quella orientale-musulmana. E la maggior parte dei miei studenti rientra in questa categoria.

Questo approccio mi sembra in linea con lo spirito del lavoro di una vita di Edward Said. Said ha cercato di dimostrare che quello che Samuel Huntington chiamava “uno scontro di civiltà” era in realtà uno “scontro di inciviltà”. In una serie di libri distinti per la loro inclusività, Said presenta un’analisi profonda e sfumata di questo conflitto, seguendo la convinzione di Vico che la cultura umana, poiché è fatta dall’uomo, può essere positivamente modellata dagli sforzi umani. Oltre all’Orientalismo, penso a Covering Islam (Scoprendo l’Islam), The Question of Palestine (La Questione Palestinese), Culture and Imperialism (Cultura e Imperialismo), Reflections on Exile (Riflessioni nell’Esilio), Representations of the Intellectual (Rappresentazioni dell’Intellettuale), The World (Il Mondo), The Text and The Critical (Il Testo e la Critica) e Out of Place (Fuori Posto). La preoccupazione di Said nasce dal fatto che, da orientale cresciuto in Egitto, Palestina e Libano, tutti soggetti al dominio dell’Occidente colonizzatore, ha ritenuto importante definire l’impatto degli Stati Uniti, dove in seguito ha ricevuto la sua educazione e che aveva avuto un effetto così profondo nella sua vita e in quella di tutti gli altri orientali esattamente come il narratore/protagonista musulmano de: Il Fondamentalista Riluttante, di Mohsin Hamid.

Da qui la scelta del testo di Mohsin da insegnare ai miei studenti palestinesi, cioè sia il testo che l’atto di analizzarlo sono un tentativo di de-orientalizzare l’oriente, per così dire. Come dice Said nell’Introduzione, scrive dal punto di vista di un arabo-palestinese con una forte preoccupazione ed empatia per la regione. Questa identificazione è evidente da affermazioni come questa: “L’orientalismo è scritto da una storia estremamente concreta di perdita personale e disgregrazione nazionale”, ricordando che il riprovevole commento profondamente orientalista di Golda Meier sul fatto che “non esiste un popolo palestinese” era stato fatto solo pochi anni prima di scrivere il libro.

Il protagonista di Hamid, come Said, soffre del clima islamofobo che domina gli Stati Uniti, dove lavora per una multinazionale dopo gli attentati dell’11 settembre, e di quella che si può definire essenzialmente una nascente supremazia bianca americana che risale all’inizio “dell’America moderna”. Il defunto Primo Ministro israeliano Ariel Sharon ha colto quel momento per sfogare tutta quell’ira orientalista, islamofoba, sionista sulla Cisgiordania e su Gaza, che sono diventate entrambe il laboratorio di prova, prima dell’Afghanistan e dell’Iraq, per ciò che dovrebbe essere fatto agli “anti-americani” con la barba e l’hijabi, musulmani dalla pelle scura. I miei studenti lo capiscono, essendo la vittima di tutti i crimini commessi in nome della “missione di civiltà”.

Mentre l’attuale fase disastrosa del colonialismo anglo-americano sprofonda ancora di più nel caos e nell’anarchia, causando indicibili sofferenze nei mondi arabo e musulmano e altrove, diventano più urgenti una riflessione ponderata e un’attenta analisi. I titoli quotidiani rivelano sempre più chiaramente non solo l’incapacità dei politici, diplomatici e leader militari americani di comprendere il Medio Oriente e il mondo musulmano, ma anche la loro incapacità di adottare le misure più semplici per compensare questo fallimento.

Mentre insegnavo ai miei studenti palestinesi, mi viene in mente ciò che Said ha chiesto in modo così eloquente in Culture and Imperialism (Cultura e Imperialismo), vale a dire “la possibilità di una visione più generosa e pluralistica del mondo”. C’è un urgente bisogno di libri, corsi e conferenze che incoraggino questo approccio. Ed è proprio per questo che l’insegnamento delle opere letterarie di Ghassan Kanfani è di fondamentale importanza poiché si inserisce nel contesto della decolonizzazione della mente palestinese; dopotutto Kanafani era l’autore di Resistance Literaure (Letteratura della Resistenza).

Haidar Eid è professore associato di letteratura postcoloniale e postmoderna presso l’Università al-Aqsa di Gaza. Ha scritto molto sul conflitto arabo-israeliano, inclusi articoli pubblicati su Znet, Electronic Intifada, Palestine Chronicle e Open Democracy. Ha pubblicato articoli su studi e letteratura culturali in numerose riviste, tra cui Nebula, Journal of American Studies in Turkey, Cultural Logic e Journal of Comparative Literature.

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org