Un nuovo caffè a Gaza si propone come luogo di incontro con un messaggio: “abbiamo una casa e ci ritorneremo”.
Fonte: english version
Ahmed Dremly – 13 gennaio 2022
Immagine di copertina: abitanti di Gaza all’ “Handl Hon” (Photo by: Suhail Nassar)
Ragheed e Rana Moharm, insieme alla loro giovane figlia Tulip di otto anni, hanno deciso di aprire nella Striscia di Gaza un piccolo salone culturale e un caffè chiamato “Handl Hon”, che significa “rimarremo qui”.
Ragheed, 35 anni, è uno dei profughi palestinesi che hanno ancora fiducia nel ritorno alle terre della sua famiglia a Jaffa, occupata da Israele nel 1948.
Si è impegnato a rimanere a Gaza anche se tutti i suoi parenti sono in Europa.
“Ho ricevuto molti inviti dai miei parenti in Europa, Brasile, Emirati Arabi Uniti e Svezia, ma ho scelto di rimanere a Gaza”, mi ha detto Ragheed. “Anche con la vita dura causata dalla cattiva situazione economica e del PTSD (Post Traumatic Stress Disorder) delle guerre, è ancora la nostra Palestina”.
Ragheed dice di non amare la Palestina più dei palestinesi che vivono all’estero, è solo che coloro che se ne sono andati non potrebbero vivere in mezzo alle guerre e alle restrizioni israeliane. Invece di fuggire alla pressione che implica il vivere nella Striscia di Gaza, sotto l’assedio soffocante di Israele, preferisce rimanere.
Ragheed ha lavorato come receptionist in un hotel di Gaza per più di 15 anni. A settembre 2020 ha lasciato il lavoro per mancanza di ospiti, a causa dell’emergenza Covid-19.
Ragheed ha aperto “Handl Hon” in via Wehda, nel centro di Gaza, il 15 novembre, la stessa data del giorno dell’indipendenza palestinese. “Ho scelto di aprire il caffè quel giorno perché significa molto per me e per tutti i palestinesi”, ha detto.
Il piccolo caffè è pieno di dettagli. Le pareti del caffè sono adorne di foto di molti autori e artisti palestinesi come Edward Said e Mahmoud Darwish. Ci sono libri e romanzi di scrittori arabi e stranieri, dando agli avventori la possibilità di leggere. Oltre alla musica classica sempre in onda, ci sono anche strumenti musicali come un oud e un violino, nel caso qualcuno degli ospiti volesse suonare.
Il bar serve deliziose bevande a base di caffè caldo e freddo a prezzi ragionevoli, alla portata di tutta la popolazione di Gaza.
Il piccolo salotto culturale è sempre pieno di musicisti, attori, scrittori, fotografi e abitanti di Gaza giovani e meno giovani che si rilassano bevendo un caffè, chiacchierando, leggendo libri, o che lavorano sul proprio laptop, suonano o cantano canzoni tradizionali.
“Come traduttrice freelance, trovo Handl Hon il miglior caffè per fuggire al rumore di casa mia”, mi ha detto sorridendo Basma, 24 anni, una dei clienti del caffè. “Lavoro sul mio laptop mentre bevo un buonissimo cappuccino preparato da Ragheed.”
“Ascoltando Fairouz, mi godo sempre la mia tazza di tè mattutina con Ragheed “, mi ha detto Yehia, 30 anni, suonatore di Oud
Rana, la moglie di Ragheed, è un funzionario amministrativo in un’organizzazione musicale a Gaza. Dopo il lavoro, termina la sua giornata al bar.
“Anche con la possibilità di una vita migliore fuori dalla Palestina, sono sempre stata d’accordo con Ragheed nel rimanere qui”, mi ha detto Rana.
“Come io e Ragheed abbiamo costruito Handl Hon con le nostre mani, così costruiremo la nostra casa a Jaffa”, ha aggiunto Rana.
Il padre di Ragheed era di Jaffa e gli raccontava sempre di Jaffa, Haifa, Lod, Tiberiade, Ramla, Tiba e degli altri paesi e villaggi palestinesi occupati.
“Ezz, mio padre, mi parlava della coltivazione delle arance a Jaffa, che era famosa in tutto il mondo per l’esportazione di agrumi attraverso il suo porto “, mi ha detto Ragheed.
Mi ha mostrato molte foto dell’album fotografico di suo padre: il porto di Giaffa, gli autobus palestinesi che si spostavano liberamente tra le città palestinesi e il treno di Gaza, che collegava la Striscia con l’Egitto
“Ezz mi ha regalato il suo speciale album fotografico. Mi ha anche dato il titolo di proprietà terriera; gli ho promesso di tenerlo fino a quando ritorneremo.
Quando i palestinesi furono costretti a lasciare le loro terre nel 1948 presumevano che sarebbero tornati. Quindi, molti palestinesi presero solo le chiavi delle loro case e i documenti del titolo fondiario, temendo che sarebbero stati rubati.
I palestinesi non presumevano che l’occupazione intendesse rubare la loro terra per sempre.
Il sogno di tornare è sempre nella mente dei palestinesi. “Per me, “Handl Hon” non è solo un nome, ma un messaggio”, ha detto Ragheed quando gli ho chiesto del nome. Ha aggiunto: “è un messaggio alla mia piccola Tulip, sul fatto che abbiamo una casa e ci torneremo”.
La maggior parte dei palestinesi spera di pregare a Gerusalemme, celebrare a Betlemme, mangiare knafeh a Nablus, sedersi sulla spiaggia ad Akka, raccogliere olive a Nablus e guardare le fabbriche di vetro a Hebron.
La maggior parte dei palestinesi spera di dormire senza pensare che potrebbero essere un bersaglio o che le loro case possano venire rubate in qualsiasi momento senza motivo.
Tutti i rifugiati palestinesi hanno nostalgia della propria casa e della propria terra. Trasmettono la loro nostalgia ai loro figli, e i loro figli la trasmetteranno ai loro.
Ragheed non solo vuole che la sua piccola Tulip cresca con la consapevolezza di appartenere alla Palestina, ma che tutti i palestinesi lo facciano.
Ragheed lo riassume mentre guarda la foto di suo padre: “Mio padre era il passato”, poi si mette una mano sul petto e dice: “Io sono il presente”, poi mette la mano sulla testa della sua bambina e dice: “e lei è il futuro”.
Ahmed Dremly è uno scrittore e traduttore creativo della Striscia di Gaza.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org