La presenza cristiana palestinese a Gerusalemme è minacciata a causa della discriminazione istituzionalizzata, degli attacchi dei gruppi radicali israeliani e dei tentativi sistematici delle organizzazioni di coloni di impossessarsi delle proprietà della chiesa nella Città Vecchia.
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Di Alessandra Bajec – 13 gennaio 2022
I cristiani palestinesi a Gerusalemme, nella Cisgiordania occupata e in Israele rischiano di scomparire di fronte ai tentativi sistematici di espulsione dalla Città Vecchia e da altre parti della Terra Santa.
Come ogni anno a Natale, i patriarchi cristiani e i capi delle Chiese hanno messo in guardia sul destino delle loro comunità nella regione.
In una campagna lanciata prima delle festività, a metà dicembre, i capi della chiesa di Gerusalemme hanno rilasciato una dichiarazione congiunta affermando che “i cristiani sono diventati l’obiettivo di attacchi frequenti e sostenuti da parte di gruppi estremisti radicali” alludendo ai coloni israeliani di estrema destra che mirano a “ridurre” la presenza cristiana.
Questi gruppi, denuncia il comunicato, “usano spesso subdole trattative e tattiche intimidatorie per sfrattare i residenti dalle loro case” e continuano ad acquisire proprietà strategiche nel quartiere cristiano, nella Città Vecchia, causando una riduzione della comunità cristiana.
La dichiarazione ha continuato descrivendo “innumerevoli incidenti” di aggressioni fisiche e verbali contro sacerdoti e altro clero, e attacchi alle chiese cristiane. Ha anche denunciato atti di vandalismo e profanazione di luoghi santi e proprietà della chiesa, e le continue intimidazioni nei confronti dei cristiani locali mentre praticano il loro culto e svolgono la loro vita quotidiana.
L’arcivescovo britannico di Canterbury Justin Welby in un tweet ha definito la dichiarazione della diocesi di Gerusalemme “senza precedenti”, e ha scritto un articolo con l’arcivescovo anglicano di Gerusalemme Hosam Naoum pubblicato sul Sunday Times, che delinea le pressioni che hanno portato a un esodo della comunità cristiana.
Hanno ricordato che un secolo fa c’erano circa 73.000 cristiani palestinesi in Terra Santa che rappresentavano almeno il 10% della popolazione totale e il 20% di quella di Gerusalemme, mentre nel 2019 nella Città Vecchia si contavano solo 2.000 cristiani, appena il 2% della popolazione.
“L’estremismo religioso è in aumento, ci sono sentimenti ostili all’interno della comunità ebraica verso i cristiani palestinesi”, ha detto Omar Haramy, direttore di Sabeel Jerusalem, un’organizzazione teologica popolare palestinese per la liberazione dei cristiani,
Gruppi locali ebraici con ideologie estremiste hanno compiuto per anni attacchi contro istituzioni cristiane a Gerusalemme e in altri luoghi. La Chiesa ortodossa rumena a Gerusalemme è stata vandalizzata durante la Quaresima nel marzo dello scorso anno.
Era la quarta volta che il luogo sacro veniva attaccato in appena un mese. Durante l’Avvento nel dicembre 2020, un vandalo ha dato fuoco alla Chiesa di Tutte le Nazioni nel Giardino dei Getsemani a Gerusalemme Est, il quarto attacco contro la chiesa.
Gli attacchi contro i siti cristiani sono in genere perpetrati da gruppi come Lehava e movimenti di “Price Tag” (Prezzo da Pagare), estremisti israeliani che agiscono come rappresaglia per qualsiasi politica vista come una minaccia al movimento dei coloni nei Territori Palestinesi Occupati.
Gli incidenti violenti sono in aumento a Gerusalemme, con almeno 24 attacchi alle chiese negli ultimi sei anni, secondo un rapporto pubblicato dall’ICOHS. C’è stato anche un numero crescente di segnalazioni di sacerdoti e fedeli locali che sono stati insultati, sputati o aggrediti.
Lo scorso maggio, tre coloni hanno aggredito e picchiato alcuni sacerdoti del Patriarcato armeno ortodosso mentre si recavano alla Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme per pregare.
I membri delle diverse chiese della città sono regolarmente molestati dalle forze di sicurezza israeliane e subiscono restrizioni. Alla fine di aprile dello scorso anno, la polizia israeliana ha eretto barricate intorno alla Chiesa del Santo Sepolcro impedendo ai cristiani ortodossi di accedere al luogo santo.
Nel 2018, il parlamento israeliano ha introdotto un disegno di legge fiscale che consentirebbe al comune di Gerusalemme di modificare un’esenzione dall’imposta religiosa, con conseguente pesante tassazione sulle proprietà commerciali di proprietà della chiesa. I capi religiosi cristiani locali si sono lamentati, affermando che si trattava di una mossa per indebolire la presenza cristiana a Gerusalemme, e hanno chiuso al pubblico la Chiesa del Santo Sepolcro in segno di protesta per tre giorni.
Inoltre, ci sono stati tentativi da parte di organizzazioni di coloni per ottenere il controllo di proprietà della chiesa vicino alla Porta di Jaffa, l’ingresso principale dei quartieri cristiano e armeno. L’organizzazione sionista Ateret Cohanim lavora per popolare la Città Vecchia e altri quartieri di Gerusalemme Est con residenti ebrei, acquistando immobili da proprietari non ebrei.
La chiesa greco-ortodossa possiede circa un terzo della terra nella Città Vecchia e luoghi chiave intorno a Gerusalemme.
“I capi della Chiesa sono molto preoccupati per questo sviluppo. Lo vedono come un modo per minare la presenza cristiana a Gerusalemme e interrompere i pellegrinaggi”, ha detto Dorien Vanden Boer, responsabile politico per Israele e Palestina presso la Cooperazione Internazionale per lo Sviluppo e la Solidarietà, CIDSE, una rete di organizzazioni cattoliche per la giustizia sociale.
Gli estremisti ebrei, con il sostegno delle autorità israeliane, stanno adottando misure e prendendo provvedimenti per cambiare l’identità e il carattere dei quartieri cristiani della Città Vecchia.
“Il governo israeliano e il comune di Gerusalemme hanno incoraggiato visite regolari e altre attività con pellegrini ebrei nell’area con l’intento di cambiarne il carattere demografico”, afferma il direttore di Sabeel Jerusalem Omar Haramy, attivista cristiano palestinese di lunga data e sostenitore della pace e della giustizia.
Ha specificato che le comunità cristiane a Gerusalemme Est sono influenzate negativamente dall’occupazione militare israeliana e dall’annessione illegale soprattutto in due modi che ne accelerano la fuga.
Primo, i gerosolimitani palestinesi pagano a caro prezzo la legge sul ricongiungimento familiare, che vieta ai cittadini palestinesi di Israele che sposano palestinesi della Cisgiordania o di Gaza di vivere all’interno di Israele, inclusa Gerusalemme Est, annessa illegalmente nel 1967.
Devono o trasferirsi nei territori occupati e perdere il loro documento di residenza a Gerusalemme o rimanere separati dai loro coniugi e mantenere il loro status di residenza, una misura israeliana volta a preservare una maggioranza ebraica rispetto ai palestinesi.
I cristiani, in quanto minoranza, sono particolarmente colpiti da questa legge in quanto devono scegliere i loro coniugi all’interno delle comunità più piccole.
Secondo, in quanto popolazione altamente istruita, i cristiani palestinesi lottano con servizi educativi inadeguati, poiché il governo israeliano ha continuamente ridotto i fondi per le scuole cristiane, con conseguente aumento delle tasse universitarie.
Le scuole ecclesiastiche, che un tempo fornivano istruzione gratuita ai gerosolimitani palestinesi e sostituivano la mancanza di assistenza ai palestinesi da parte del comune di Gerusalemme in molte aree, hanno visto un aumento della tassazione. Di conseguenza, molti cristiani si sono trasferiti fuori città per continuare la loro istruzione nelle scuole cristiane nella Cisgiordania occupata.
La mancanza di alloggi per i cristiani che vivono a Gerusalemme è un altro fattore che porta all’emigrazione dei cristiani. Inoltre, ai palestinesi di Gerusalemme vengono negati i permessi di costruzione per nuove case o l’ampliamento delle loro proprietà nella Città Vecchia e a Gerusalemme Est.
Secondo Omar Haramy, i cristiani gerosolimitani che sono finanziariamente gravati e privati dei servizi essenziali hanno un maggiore incentivo a vivere nella Cisgiordania occupata, dove possono accedere a opportunità di lavoro attraverso le reti cristiane e sentirsi più integrati nella società palestinese.
Una recente ricerca condotta dal Centro Palestinese di Ricerca Politica e Statistica mostra che i cristiani costituiscono meno dell’1% della popolazione in Palestina. Recenti sondaggi stimano che dei 162.000 cristiani palestinesi residenti in Israele e Palestina nel 2020, la maggioranza vive all’interno di Israele (esclusa Gerusalemme Est) con i restanti 52.000 distribuiti in tutta Gerusalemme Est (10.000), Cisgiordania (40.000) e nella Striscia di Gaza (2.000).
Haramy ha aggiunto che i sionisti cristiani svolgono un ruolo dannoso nel diffondere la convinzione che Dio abbia donato la Terra Santa al popolo ebraico, compreso il tentativo di convincere la comunità cristiana palestinese dell’idea che è dovere di ogni cristiano sostenere lo Stato di Israele, e che tale sostegno comporterebbe un’accelerazione della seconda venuta di Gesù Cristo.
“Quelle persone cercano di infiltrarsi, dividere e indebolire la comunità cristiana, per i propri scopi mentre si nascondono dietro la religione”, ha detto. “Alimentando la paura e l’ignoranza”.
Citando un appello lanciato da Kairos Palestina nel 2020, Vanden Boer ha sottolineato come l’appello a cristiani, chiese e istituzioni ecumeniche abbia sfidato l’uso improprio della Bibbia attraverso la teologia cristiana sionista, che legittima “il diritto di un popolo a negare i diritti umani di un altro”.
Ma le azioni discriminatorie nei confronti dei cristiani di Gerusalemme non possono essere isolate dalle politiche di occupazione israeliane in corso contro le comunità musulmane e cristiane nei territori palestinesi. L’adozione da parte di Israele della Legge sullo Stato-Nazione nel 2018 ha legalizzato questa discriminazione istituzionale.
“Lo sforzo sistematico per espellere la comunità cristiana deve essere inquadrato nella più ampia politica israeliana di espropriazione nei confronti del popolo palestinese in generale”, ha sottolineato il responsabile politico del CIDSE.
Le autorità israeliane non adottano misure per proteggere le popolazioni locali non ebraiche, consentendo di fatto a gruppi estremisti israeliani di assaltare luoghi sacri e membri della chiesa.
Ha chiarito che la violenza dei coloni, pienamente supportata dallo stato israeliano, ha lo stesso obiettivo di espellere tutti gli abitanti nativi palestinesi dalle loro terre, impossessarsi delle loro case e continuare l’espansione degli insediamenti.
Alessandra Bajec è una giornalista indipendente attualmente residente a Tunisi.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org