Alle origini del manga: il sorprendente legame tra l’arte grafica giapponese e l’Islam

Con le sue radici spirituali, si spera che questa forma di animazione popolare possa aiutare a far conoscere  l’Islam a una nuova generazione di giapponesi.

Fonte: english version

Di Yakoob Ahmed – 26 aprile 2022

Immagine di copertina: La popolarità del manga offre un enorme potenziale per la diffusione di nuove idee (MEE/Illustration)

Quando si pensa al Giappone, non si pensa alla storica presenza dell’Islam. Sebbene l’Islam  sia stato presente  in altre zone dell’Asia orientale, fino a tempi recenti i contatti culturali tra i musulmani e il paese sono stati limitati.

Tuttavia, con l’aumento della migrazione musulmana in Giappone e la curiosità suscitata dalla copertura mediatica dell’Islam, la questione di questa religione nella società e nella tradizione giapponese è diventata più pertinente.

Le stime indicano il numero di musulmani in Giappone, sia convertiti che migranti, in circa 230.000, numero che dovrebbe aumentare nei prossimi decenni, rendendo potenzialmente l’Islam una parte consolidata del panorama culturale giapponese nel prossimo futuro.

Dalla gente comune, l’Islam è tuttavia comunemente considerato estraneo alla storia e alla cultura giapponese

Secondo l’accademico giapponese Dr Naoki Yamamoto , ridurre questa distanza dalla cultura islamica potrebbe non essere un compito così arduo come si potrebbe immaginare; egli afferma che molti degli insegnamenti dell’Islam possono essere trovati nelle esistenti tradizioni culturali giapponesi, in particolare nei manga.

Attualmente docente presso l’Università Marmara di Istanbul, Yamamoto sta lavorando a un progetto intitolato ”Introduzione al sufismo attraverso i concetti chiave dei manga”, in cui sostiene che i manga, e gli anime in particolare, possono essere un ponte per aiutare molti giapponesi, in particolare le giovani generazioni, a comprendere gli insegnamenti islamici.

La parola manga è un termine collettivo, riferito alla tradizione giapponese di fumetti, animazioni e graphic novel.

Sebbene le sue forme attuali si siano sviluppate nel XIX secolo, le sue origini risalgono a molto prima, in un contesto fortemente influenzato da idee religiose.

La storia del manga

La tradizione del manga risale al 12° secolo, quando i monaci buddisti crearono le pergamene Emaki, o testi illustrati, che trattavano di questioni come la spiritualità e la politica, a volte in forma narrativa. Questi rotoli  furono trovati in edifici come i luoghi di culto.

Nel 18° secolo l’artista giapponese della xilografia Katsushika Hokusai, rese popolare il termine “manga”, che deriva dalla fusione delle parole man, che significa “stravagante”, e ga che significa “immagini”.

Ma il lavoro di Hokusai era tutt’altro che stravagante: l’artista è famoso per la stampa intitolata “La grande onda di Kanagawa”, uno dei dipinti più riconoscibili al mondo.

Ha anche prodotto migliaia di immagini di manga in una raccolta di 15 volumi chiamata Hokusai Manga, che  venne pubblicata per la prima volta nel 1814 e conteneva principalmente vignette non correlate tra loro.

“Great Wave of Kanagawa” di Hokusai

Nel 19° secolo, quando durante il periodo Meiji il Giappone si aprì al resto del mondo, la sua influenza artistica si fece strada anche in Europa, e le sue forme artistiche ispirarono pittori europei come Van Gogh, Monet e Manet, in una tendenza nota come Japonisme.

Anche il mondo ottomano si unì a quella tendenza, con artisti che crearono le proprie versioni ottomane del Japonisme.

Il mondo musulmano non era estraneo alla tradizione della narrazione illustrata e nel mondo persiano, che includeva gli ottomani, l’Iran e l’India Mughal, c’era una lunga tradizione di miniature, che nel 13° secolo fiorì sotto il patrocinio mongolo ilkhanide.

Una scena del “Babarnama”, sul sultano Mughal Babur del XVI secolo, in stile miniatura persiano

Durante il periodo della Pax-Mongolica, in Medio Oriente e Asia centrale la narrazione illustrata fu resa popolare dai mongoli convertiti all’Islam e in Estremo Oriente dai mongoli che si erano convertiti al buddismo.

Mentre in Estremo Oriente queste forme continuarono a svilupparsi, in alcuni circoli conservatori della società musulmana furono invece criticate per le loro raffigurazioni delle sembianze umane, portando alla loro attuale raarità.

Per secoli la narrazione visiva fu tuttavia comune nella tradizione sufi, così come in Giappone, per trasmettere  insegnamenti religiosi ed educare nuove popolazioni ai precetti religiosi.

Per i giovani giapponesi il manga è quindi un collaudato gateway per diventare più istruiti sulla loro società in evoluzione e sugli sviluppi nel resto del mondo.

Radici spirituali

Secondo Jolyon Baraka Thomas, esperto di manga e autore del libro “Drawing on Tradition: Manga, Anime, and Religion in Contemporary Japan”, le religioni tradizionali del Giappone, il buddismo, lo shintoismo e persino il confucianesimo, hanno ispirato le concezioni giapponesi in una serie di questioni come la vita e la morte, la moralità e la cosmologia.

Le idee associate a tali concetti, tuttavia, non sono viste in termini esplicitamente religiosi, ma come concetti di ” giapponesità di buon senso ” o joshiki.

I lavori del regista animatore dello Studio Ghibli, Hayao Miyazaki sono stati spesso descritti come  incorporanti elementi “shintoisti” e mentre il regista rifiuta questa affermazione, i suoi lavori includono rappresentazioni di divinità, come il gigantesco spirito simile a un coniglio chiamato Totoro ne “Il mio vicino Totoro” (Tonari no Totoro, 1988).

Questo può essere visto anche nelle opere del regista e artista manga giapponese Makoto Shinkai, ad esempio nel suo film del 2016 “Your Name” (Kimi no Na wa), in cui aggira la religione formale e attinge direttamente a un regno spirituale illusorio. Sia Miyazaki che Makoto non rappresentano la religione, ma la “giapponesità”.

Mentre il suo creatore rifiuta qualsiasi associazione, i fan di “My Neighboor Totoro” hanno identificato in esso temi shintoisti (Studio Ghibli)

I valori islamici potrebbero essere introdotti allo stesso modo? Yamamoto crede di sì.

L’accademico ha scoperto che tali forme di espressione possono essere utilizzate negli anime e nei manga per trasmettere idee sufi, in quanto espressione di concetti familiari ai giapponesi..

Le sue idee non sono mere ipotesi speculative, come hanno dimostrato le opere del famoso esperto di sufismo, il professor Toshihiko Izutsu. I valori condivisi tra l’Islam, in particolare il sufismo, il taoismo e lo shintoismo sono numerosi.

Nato nel 1914, Izutsu era un buddista zen praticante e studioso dell’Islam, che produsse una traduzione giapponese del Corano e scrisse delle somiglianze tra le tradizioni religiose islamiche e giapponesi nel sufismo e nel taoismo: uno studio comparativo dei concetti filosofici chiave, pubblicato nel 1984.

Yamamoto  ha scoperto  che la popolarità dei personaggi manga “Naruto” di Naruto Shippuden o “Tanjiro” di Demon Slayer non è semplicemente dovuta al genere ninja-manga (Naruto) o samurai-manga (Demon Slayer), ma anche agli insegnamenti spirituali in essi presenti.

Una caratteristica fondamentale all’interno del genere Shonen Manga, a cui appartengono Naruto e Demon Slayer, è quella di rappresentare i principali protagonisti in un viaggio morale di scoperta e di evoluzione, in cui sono guidati da insegnanti e saggi e, di conseguenza, trovano un significato oltre il semplice mondo materiale.

Quel rifiuto implicito del materiale ha una controparte nel sufismo, che allo stesso modo incoraggia un allontanamento dal “mondano” verso l’interiorità.

Un’altra somiglianza con la tradizione sufi è la relazione “maestro e studente”. In un’intervista, Yamamoto attinge alla somiglianza tra tali relazioni che si trovano nei generi manga e la storia coranica di Musa e Khidr; uno studente, che inizia in una posizione di ignoranza, dovrebbe dedurre la verità dal suo insegnante anche quando le azioni di quest’ultimo potrebbero non avere senso per loro.

Sia l’Islam che la tradizione Shonen Manga condividono anche temi comuni come lo “spirito di lavoro” (noto come sayr-u suluk in arabo), la “guida” (irshad in arabo) e il “pentimento” (tawba).

Per Yamamoto le idee ci sono già, hanno solo bisogno di essere tradotte.

L’Islam fa parte della storia giapponese

Mentre l’Islam continua a essere descritto come non giapponese dai media giapponesi, c’è stato un momento nel 19° e all’inizio del 20° secolo in cui alcune élite giapponesi si interessarono all’Islam, cosa che è in gran parte ignoto all’immaginario collettivo giapponese contemporaneo.

Durante il 19° secolo, sia il Giappone Meiji che gli Ottomani avrebbero osservato i reciproci tentativi di riforma per salvare i loro imperi, e così facendo avrebbero esaminato le reciproche culture e tradizioni. Dopo il periodo dello Shogunato Tokugawa, in cui il Giappone rimase isolato dall’esterno, l’apertura al mondo del periodo Meiji espose il Giappone all’Islam.

Tra il 1880 e il 1881, uomini d’affari giapponesi che speravano di vendere il tè ai mercati musulmani si recarono nell’Iran di Qajar e nell’Istanbul ottomana,  provando interesse per la religione dei loro ospiti. Uno di questi uomini, Torajiro Yamada, risiedeva a Istanbul e insegnava giapponese alle élite musulmane. Yamada avrebbe inviato in Giappone  le sue illustrazioni dell’Istanbul ottomana durante il suo soggiorno.

Tale era l’interesse per l’Islam che un articolo scritto nel 1893 su un giornale giapponese titolava “L’Islam sta arrivando in Giappone”.

Nel 1891, monaci buddisti visitarono Istanbul per saperne di più sull’Islam e mercanti musulmani provenienti dall’India e dal mondo malese si diressero in Giappone.

Il giornalista giapponese Shotaro Noda è probabilmente il primo caso noto di un suddito giapponese che si convertì all’Islam durante il suo soggiorno a Istanbul nel 1891.

Anche i militari Takeyoshi Ohara e Mitsutaro Yamaoka si convertirono all’Islam dopo la guerra russo-giapponese del 1904-1905, tuttavia le loro conversioni sono spesso inquadrate come tentativi di propaganda per corteggiare i musulmani nell’Asia centrale controllata dalla Russia.

Shotaro Noda, qui raffigurato nel 1891, è stato uno dei primi sudditi giapponesi a convertirsi all’Islam

Durante il periodo tra le due guerre, anche lo studioso Nur Muhammad Ippei Tanaka e il mercante Ahmad Bunpachiro Ariga  divennero musulmani. Alcuni criticarono la validità di queste conversioni, altri consideravano l’Islam come una credenza che poteva essere accolta come parte delle tradizioni giapponesi.

Tanaka, che aveva imparato il cinese e studiato il confucianesimo, disse che il suo percorso verso l’Islam era avvenuto attraverso il “confucianesimo islamico”. In seguito avrebbe delineato somiglianze tra l’Islam e lo shintoismo.

Ariga era interessato a quello che considerava “l’Islam giapponese”, ovvero una visione sincretica tra panasiatismo e Islam. Sia per Tanaka che per Ariga, affinché l’Islam prosperasse in Giappone era necessario  che i loro compatrioti lo comprendessero attraverso l’uso delle tradizioni e delle forme giapponesi.

Le idee del dottor Yamamoto riflettono in molti aspetti il modo in cui i giapponesi convertiti all’Islam  considerano l’Islam: una tradizione che può far parte del panorama giapponese; l’Islam non deve essere temuto,  bensì compreso. Gli insegnamenti islamici non devono necessariamente inimicarsi le tradizioni e le usanze giapponesi.

Il genere manga può diventare un mezzo efficace nel trasmettere le tradizioni dell’Islam, dato che la trasmissione delle tradizioni spirituali è fortemente radicata nella sua cultura storica.

Mentre alcuni potrebbero trovare strano l’uso dell’intrattenimento come veicolo di insegnamento, per molti in Giappone sono proprio le sfumature fornite dalla forma del mezzo visivo e la sua sensazione di familiarità, che possono aiutare a normalizzare gli insegnamenti dell’Islam all’interno della società giapponese tradizionale.

Con sempre più giovani giapponesi musulmani previsti nel prossimo decennio, la narrazione nella popolare forma manga potrebbe essere un modo indigeno giapponese  attraverso il quale l’Islam e i musulmani potranno essere accettati.

Traduzione di Grazia Parolari  “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org