Costantemente sull’orlo del collasso: come i palestinesi sono diventati un fattore nella politica israeliana

Per la prima volta in molti anni, Israele si trova in una posizione in cui non è più l’unico partito che sta plasmando gli eventi o determinando i risultati nel paese. I palestinesi stanno finalmente diventando un fattore nella politica israeliana e, attraverso la loro resistenza popolare, possono mobilitarsi per fare pressione su Israele come è avvenuto negli ultimi anni.

Fonte: english version

Ramzy Baroud – 18 maggio 2022

In Israele, la coalizione di governo del primo ministro di destra Naftali Bennett è sull’orlo del collasso, il che non sorprende. La politica israeliana, dopo tutto, è tra le più litigiose al mondo, e questa particolare coalizione è nata dal desiderio ossessivo di detronizzare l’ex leader di Israele, Benjamin Netanyahu.

Mentre Netanyahu è stato espulso con successo nel giugno 2021, la coalizione di Bennett è stata lasciata a fare i conti con la dolorosa realtà che le sue strane componenti politiche hanno ben poco in comune.

Il 6 aprile, il deputato israeliano Ildit Salman ha abbandonato la coalizione, lasciando Bennett e i suoi alleati temporanei a litigare per il fatto che la loro coalizione alla Knesset (il parlamento israeliano) non ha più la maggioranza. Ora che il conteggio alla Knesset è di 60-60, una singola defezione potrebbe potenzialmente rimandare gli israeliani alla cabina elettorale, cosa che è stata abbastanza abituale di recente.

Due attuali alleati di Bennett, Abir Kara e Bir Orbach, sono possibili disertori. Anche Ayelet Shaked, del partito  Bayit Yehudi (casa ebraica), collega di vecchia data di Bennett potrebbe alla fine tradirlo, una volta che la sua nave della coalizione inizierà ad affondare. Ed è quello che sta succedendo.

Sia Bennett che Shaked hanno lasciato il “Bayit Yehudi”  nel 2018 per formare il partito  Yamina. Sebbene quest’ultimo abbia vinto solo sette seggi alle elezioni del marzo 2021, il partito di estrema destra ha dimostrato di essere il partito più influente, il che ha permesso la formazione della coalizione anti-Netanyahu. L’unica alternativa a questa coalizione attuale sarebbe stata un governo in cui Netanyahu e Bennett si sarebbero alternati alla carica di primo ministro. Sebbene Bennett sia un protetto di Netanyahu, l’attuale primo ministro sapeva fin troppo bene che il suo ex capo non è affidabile.

Invece, Bennett ha deciso di unirsi ad una coalizione mista di disperati politici, ognuno dei quali si è unito a un governo improbabile semplicemente per non avere altra opzione. Ad esempio, Yesh Atid (17 seggi) e Kahol Lavan (8 seggi), un tempo parte della coalizione di centrodestra blu e bianca, hanno tradito la loro base politica unendosi all’estrema destra Yamina e, di conseguenza, lasciando dietro di sé il partito Telem di Moshe Yalon , che ora non ha rappresentanza alla Knesset.

Lo stesso si può dire del partito  Labor (7 seggi) e Meretz (6 seggi) che, in precedenza, erano la spina dorsale dell’establishment politico israeliano: nel 1992 avevano 56 seggi in totale. Perdendo la fiducia nella propria base politica, hanno deciso di unirsi alla loro presunta nemesi ideologica, invece di sopportare il meticoloso processo di ridare vita a un campo morente.

La parte accattivante della storia è la Lista Araba Unita di Mansour Abbas, che è giustamente percepito come traditore della  sua base araba in Israele e del suo stesso popolo palestinese ovunque. Mentre l’esercito israeliano sta reprimendo le comunità palestinesi in tutta la Palestina storica, inclusa la Moschea di Al-Aqsa e il Naqab – la base di Mansour Abbas – questa strana creatura politica rimane impegnata con Bennett, sebbene nervosa per le possibilità future, in particolare per il fatto che gli attacchi israeliani contro i palestinesi si stanno trasformando sempre più in  una guerra di religione.

Di conseguenza, è difficile immaginare che il governo di Bennett possa realisticamente sopravvivere fino al 2025. In effetti, è piuttosto raro nella politica israeliana che una coalizione di governo abbia portato a termine l’intero mandato di quattro anni. Tuttavia, la storica instabilità politica di Israele sta peggiorando. Di fatto, il governo di Bennett è il risultato di un processo politico agonizzante che ha visto gli elettori israeliani esprimere il proprio voto in quattro diverse elezioni generali in soli due anni.

Forse, ciò che tiene unita la coalizione di Bennett, anche se in modo precario, è l’immagine minacciosa di Netanyahu, l’attuale leader dell’opposizione, che osserva sinistramente dai corridoi della Knesset mentre aspetta l’occasione giusta per balzare all’improvviso. Alcuni analisti israeliani sostengono addirittura che la defezione di MK Salman sia stata in gran parte istigata dagli abusi e dalle intimidazioni che ha ricevuto dal partito Likud di Netanyahu, che la vedeva come una traditrice del loro programma di destra.

Indipendentemente dal destino del governo di Bennett, la crisi politica di Israele continuerà all’infinito, e ci sono ragioni per questo.

Sebbene la destra israeliana abbia dominato la politica del paese per molti anni, specialmente dal 1996, rimane litigiosa e opportunista. La costante necessità di alimentare l’insaziabile appetito del potente collegio elettorale di destra del paese continua a spingere i partiti di destra israeliani ancora più a destra. Sono semplicemente uniti attorno a valori come la supremazia razziale e religiosa degli ebrei israeliani, il loro odio per palestinesi e arabi, il desiderio di espandere gli insediamenti ebraici illegali e il rifiuto di qualsiasi soluzione mediata che fornisca ai palestinesi i loro diritti umani fondamentali .

La sinistra in Israele, francamente, non è affatto una sinistra. È riconosciuta come tale, in gran parte a causa della sua eredità del “processo di pace”, che è morto con l’assassinio del ministro del lavoro Yitzhak Rabin, nel 1995. Significativamente, Rabin non era un pacifista ma uno dei leader più militanti e violenti di Israele. Tuttavia, l’errata associazione, che collega qualsiasi leader israeliano al “processo di pace”, ha automaticamente classificato quell’individuo come “di sinistra”. Secondo l’analista israeliano Oz Aruch, questo valeva anche per Ariel Sharon. Il nome del famigerato primo ministro israeliano e generale dell’esercito è associato al massacro di Sabra e Shatila, insieme ad altri episodi orribili.

Senza una vera ideologia e senza un ‘processo di pace’, o anche il desiderio di impegnarsi in una, la sinistra israeliana è diventata irrilevante.

Lo stesso vale per il centro che, per definizione, è il campo politico che occupa lo spazio tra la destra e la sinistra. Con la destra in costante ridefinizione e la sinistra senza una solida base ideologica, il centro israeliano si è dimostrato ugualmente senza speranza. L’esito delle elezioni dell’aprile 2019, quando la coalizione di centro “Blue and White” ha ottenuto 35 seggi, avrebbe dovuto essere un momento di svolta per il centro politico israeliano. Questo alla fine è culminato in un nulla di fatto che  e alla fine ha portato al collasso della stessa coalizione.

Mentre questo avviene in Israele, il corpo politico palestinese si è lentamente rianimato. Sebbene i partiti arabi palestinesi in Israele rimangano divisi e i gruppi palestinesi nei territori occupati debbano ancora trovare un terreno comune, le comunità palestinesi, in particolare le generazioni più giovani, hanno articolato un nuovo discorso politico. Con una leadership  proveniente dalla società civile, stanno coordinando le loro azioni da Gerusalemme occupata a Gaza, al Naqab in Cisgiordania e alle comunità palestinesi nello stesso Israele.

Per la prima volta in molti anni, Israele si trova in una posizione in cui non è più l’unico partito che sta plasmando gli eventi o determinando i risultati nel paese. Pertanto, l’instabilità politica israeliana peggiorerà. Al contrario, i palestinesi stanno finalmente diventando un fattore nella politica israeliana e, attraverso la loro resistenza popolare, possono mobilitarsi per fare pressione su Israele come è avvenuto negli ultimi anni.

Israele si trova ora di fronte al dilemma di ignorare questo nuovo fattore palestinese, a proprio rischio e pericolo, o di accettare il fatto inevitabile che non potrà mai godere della stabilità mentre i palestinesi rimangono occupati, confinati e oppressi.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La nostra visione per la liberazione: leader palestinesi coinvolti e intellettuali parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA).

traduzione di: Nicole Santini -Invictapalestina.org