La sovranità alimentare come via di liberazione e giustizia

Mentre l’assedio israeliano di Gaza entra nel suo 15° anno, la sovranità alimentare, la giustizia climatica e l’autosufficienza sono diventate questioni centrali nella più ampia lotta per la giustizia e la liberazione dei palestinesi.

Fonte: english version
Di Adalah Jiustice Project e American Friends Service Commitee – 20 maggio 2022

Immagine di copertina: La fattoria Om Sleiman a Bil’in in Cisgiordania (Foto: Om Sleiman Farm/Facebook)

Mentre il prossimo giugnoil brutale assedio di Gaza da parte di Israele entra nel suo 15° anno, in una recente conversazione pubblica ospitata dal Progetto Giustizia di Adalah, il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele (Adalah Justice Project – AJP) e dal Comitato del Servizio degli Amici Americani (American Friends Service Committee – AFSC), gli attivisti per la sovranità alimentare e il clima Mohammed AbuJayyab e Asmaa Abu Mezied hanno sottolineato la centralità dello spazio agricolo nella costruzione di resistenza, autonomia e comunità nella più ampia lotta per la giustizia e la liberazione palestinese. “Per parlare in particolare dell’agricoltura a Gaza, la prima cosa che mi viene in mente sono le sfide sistematiche che devono affrontare gli agricoltori di Gaza”, relative ai cambiamenti climatici e alle preoccupazioni quotidiane di produzione, resa e prezzi di mercato”, afferma Abu Mezeid, uno specialista dello sviluppo economico e dell’inclusione sociale. “Approfondendo, si può capire quanto siano politiche e politicizzate queste sfide”.

Organizzarsi attorno alla giustizia climatica, all’agricoltura e all’autosufficienza è spesso depoliticizzato e, in particolare a Gaza, è poco compreso e relegato sulla scena della sicurezza alimentare umanitaria. E mentre le discussioni sulla sicurezza alimentare si sono in gran parte rivolte a una scienza matematica incentrata esclusivamente sui numeri, come le calorie a cui le persone hanno accesso, il contenuto di nutrienti del cibo disponibile, ecc., la sovranità alimentare offre un approccio più collettivo e trasformativo.

AbuJayyab, agricoltore e attivista palestinese per la sovranità alimentare, descrive la sovranità alimentare come un processo di “scoperta personale” che va oltre la semplice struttura della sicurezza alimentare. “La sovranità alimentare riguarda davvero la scelta nel ciclo di produzione e consumo del cibo, di alimenti che sono rilevanti dal punto di vista ecologico, culturale ed economico”, ha continuato AbuJayyab.

Attualmente a Gaza, le colture da reddito come fragole e fiori sono preminenti a causa della necessità di reddito all’interno di un sistema commerciale contorto, soggetto a modifiche secondo i capricci di Israele, nonché della mancanza di terra disponibile per colture alimentari più sostenibili. Questa dipendenza dalle colture da reddito, tuttavia, ha portato a una maggiore dipendenza dall’importazione di prodotti alimentari utilizzati nella vita quotidiana, importazioni che sono anche soggette a variazioni da Israele.

Quanto erano radicalmente diversi i raccolti nella Palestina prima del 1948 rispetto alla Palestina di oggi? “Solo un singolo raccolto (grano) era cinque volte più grande della quantità di terra disponibile per le persone nella Striscia di Gaza”, afferma AbuJayyab.

Israele ostacola anche il lavoro delle cooperative, spazi critici per la sovranità alimentare e la liberazione palestinese, attraverso barriere imposte al commercio e alla vendita di beni al di fuori di Gaza. Abu Mezeid ha condiviso l’esempio del pomodoro. “Molti agricoltori coltivano pomodori da commerciare con la Cisgiordania o altri luoghi. Ora gli israeliani mettono restrizioni alla vendita di pomodori, a cui bisogna togliere il gambo. Ciò riduce della metà la durata di conservazione del pomodoro. E se quei pomodori rimangono fermi al valico per un paio di giorni, si subiscono enormi perdite”.

L’entità della distruzione e del degrado dei raccolti attuata nell’ambito del progetto sionista israeliano è solo ulteriormente aggravata dagli effetti dell’assedio in corso di Gaza, ritenuto illegale dal diritto internazionale. “La Striscia di Gaza è un’area geografica molto piccola. L’area totale della Striscia di Gaza è di 225 chilometri quadrati, equivalente all’area totale della città metropolitana di Detroit. Ma immaginate l’area metropolitana di Detroit come un’area isolata dai suoi dintorni, quindi senza  accesso a ulteriore terra oltre i confini di questa area bloccata”, ha affermato Jehad Abusalim, Associato di Istruzione e Politica (Education and Policy Associate) presso il Programma di Attivismo per la Palestina dell’AFSC a Chicago e dottorando al programma congiunto di Storia e Studi Ebraici e Giudaici presso l’Università New York.

AbuJayyab sottolinea anche la distribuzione estremamente diseguale della popolazione all’interno dell’area, in particolare nei campi profughi. L’accesso ad appezzamenti di terra e risorse tra le aree dei campi profughi e il resto o tra il Nord e il Sud di Gaza può variare ampiamente, favorendo la discordia, un risultato intenzionale dell’occupazione israeliana. Le ONG che si occupano di sicurezza alimentare e agricoltura a Gaza intensificano spesso questa stratificazione sociale concentrandosi su aree più coltivabili e sviluppate nel Nord che sono più facili da rendere sostenibili, ampliando così il divario.

Abu Mezeid e AbuJayyab sottolineano entrambi la complicità delle organizzazioni umanitarie nel mantenere lo status quo attraverso la loro riluttanza a riconoscere le radici politiche della crisi economica, umanitaria ed ecologica in corso a Gaza e in Palestina in modo più ampio.

L’agricoltura come resistenza

La decimazione dell’agricoltura a Gaza funziona anche come  strumento dell’occupazione per separare e indebolire i palestinesi e la causa della liberazione, economicamente, mentalmente e fisicamente. Ciò ha portato a un cambiamento fondamentale nel rapporto dei palestinesi con la terra e l’agricoltura.

“Negli ultimi decenni, c’è stato un enorme accentuazione del divario e distacco che i palestinesi a Gaza hanno nei confronti della terra. Ed è molto naturale se si guarda al tipo di processi sistematici che l’occupazione ha messo in atto per garantire che questo distacco e divario si allarghi ogni giorno di più”, ha affermato Abu Mezeid. “In passato l’agricoltura era parte dell’identità, non era  di per sé un atto di generazione di reddito. Era un atto di costruzione della coesione sociale. Era un atto di unione e anche l’avere un’identità nazionale. Ma ora l’agricoltura è stata ridotta al solo lavoro che si può fare per avere un reddito e anche l’occupazione ha sistematicamente reso non sostenibile quel reddito proveniente dall’agricoltura. Ed è per questo che stiamo vedendo molti giovani abbandonare il settore agricolo”.

“Il fellahin (contadini) palestinese e la terra sono le fondamenta della nostra società. Come spiega Mohammed Abu Jayyab, un ragazzo è più di un contadino. La radice araba di “fellah” significa l’atto del divenire. Ogni stagione, torniamo di nuovo ad essere quello che siamo. Il legame palestinese con la terra è essenziale, infatti, è la nostra essenza. I sionisti lo sapevano”, ha affermato Sandra Tamari, Direttrice Esecutiva del Progetto Giustizia di Adalah. “La devastazione ambientale che l’impresa sionista sta conducendo sui palestinesi non è una nota marginale nel progetto coloniale, ma piuttosto una caratteristica fondamentale”.

“Se guardiamo alla generazione passata come quella dei miei nonni, per loro vendere la terra per vivere non era nemmeno ipotizzabile. Era una cosa a cui nessuno avrebbe potuto nemmeno pensare. Ma ora il crollo politico ed economico di Gaza sta spingendo le persone al punto di vendere un  pezzo di terra perché non hanno da mangiare”, ha continuato Abu Mezeid. “E questo sta infondendo in molte persone un senso di colpa. In che modo si può scegliere tra la sopravvivenza e la sensazione di aver tradito la propria identità, la propria partecipazione nazionale palestinese?”

Abu Mezeid indica anche la decimazione degli spazi verdi a Gaza come parte della strategia di Israele per separare i palestinesi e prevenire l’organizzazione della comunità. “Non vediamo più le aree verdi che vedevamo, non vediamo più gli alberi che adornavano le strade, pieni di ricordi, che erano anche spazi in cui nascondersi quando i palestinesi combattevano contro l’occupazione ed erano quindi  un simbolo della loro esistenza “.

Il futuro dell’agricoltura a Gaza

“Il quadro è molto desolante”, ha detto Abu Mezeid parlando dello stato dell’agricoltura sostenibile a Gaza tra 30 anni.

Gli effetti del cambiamento climatico a Gaza, comprese le ondate di caldo estremo, la siccità e l’elevata salinità dell’acqua, offrono uno scorcio di un futuro apocalittico per l’area di 225 chilometri quadrati che ospita più di due milioni di palestinesi se non viene intrapresa un’azione immediata.

“È importante capire in che modo il cambiamento climatico sta colpendo i palestinesi a Gaza. Quello che stiamo vedendo sono impatti diversi quando si tratta di cambiamenti climatici”, che vanno dall’aumento delle malattie della pelle agli alti tassi di deterioramento degli alimenti alla mancanza di vitalità delle colture da cui la popolazione dipende per vivere, ha affermato Abu Mezeid. Tutti questi effetti sono aggravati dal collasso del sistema sanitario all’interno di Gaza e dall’impossibilità di cercare cure o risorse altrove a causa del blocco israeliano.

Nonostante i devastanti effetti umani ed ecologici dell’occupazione israeliana della Palestina e del blocco illegale di Gaza in particolare, le principali organizzazioni ambientaliste, come lo storico Sierra Club con 120 anni di attività, sono state complici del falso ambientalismo del regime di Apartheid israeliano.

A marzo, il Sierra Club ha fatto marcia indietro sul suo impegno a favore di una coalizione di organizzazioni palestinesi, native, afro ed ebraiche per porre fine alle sue escursioni naturalistiche nell’Apartheid Israeliano dopo aver subito pressioni dal Centro Simon Wiesenthal, dalla Lega Anti-Diffamazione e dal Consiglio per le Relazioni con la Comunità Ebraica. La dichiarazione di Dan Chu, direttore generale pro tempore del Sierra Club, come le descrizioni delle escursioni guidate, non menziona la Palestina o la brutale occupazione israeliana del popolo palestinese.

E mentre c’è un afflusso significativo di aiuti in denaro a Gaza, sia Abu Mezeid che AbuJayyab sottolineano la necessità fondamentale che le organizzazioni internazionali riconoscano l’innata natura politica del lavoro agricolo a Gaza e in Palestina. “Dobbiamo davvero portare l’attenzione su come qualsiasi intervento agricolo non possa essere affrontato in modo depoliticizzato e qualsiasi sforzo di sviluppo deve parlare di sovranità alimentare piuttosto che di sicurezza alimentare”, ha affermato Abu Mezeid.

Tuttavia, c’è ancora speranza.

La vergognosa decisione del Sierra Club aggrava le già terribili condizioni ecologiche che devono affrontare i palestinesi nei prossimi anni e respinge anche il crescente sostegno negli Stati Uniti alla liberazione e alla giustizia palestinese.

Un sondaggio nazionale pubblicato di recente dall’AFSC ha rilevato che la maggior parte degli americani si oppone al blocco di Israele su Gaza. Questi dati arrivano dopo il rapporto di Amnesty International del febbraio 2022 che dichiara Israele colpevole del crimine di Apartheid contro i palestinesi, riaffermando i lunghi appelli degli attivisti palestinesi alla consapevolezza e alla responsabilità e facendo eco ai risultati dei precedenti rapporti dei gruppi per i diritti umani B’Tselem e Human Rights Watch. “Il movimento globale e la solidarietà per gli agricoltori sono un ottimo esempio da cui possiamo imparare e su cui costruire”, ha affermato Abu Mezeid. “Come palestinesi di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, dobbiamo fare il possibile per unire collettivamente queste iniziative in modo da presentare diversi aspetti della narrativa palestinese quando si tratta di agricoltura”.

Inoltre, le ONG non possono prendere il posto delle cooperative locali o della resistenza autoctona. “La lotta per la Palestina è iniziata come una lotta per i beni comuni. Dobbiamo tornare non solo alle tecniche ma ai valori. Ma abbiamo bisogno delle risorse per arrivarci davvero”, ha affermato AbuJayyab. “Siamo a corto di risorse. Abbiamo bisogno di estremo aiuto per impegnarci di più nel settore cooperativo, nell’istruzione e nel lavoro”.

“L’intersezione tra queste tematiche nella Striscia di Gaza come esperimento in corso è probabilmente uno dei più importanti esperimenti di liberazione che abbiamo nella nostra storia palestinese”, ha continuato AbuJayyab. “Di solito guardiamo a questo perché c’è questa fase di resistenza che attraversiamo e poi questa fase di sovranità di costruzione di un carattere nazionale o di una visione di sé. Ma in queste lunghe lotte, non possiamo permetterci di relegarlo in una fase successiva. Non possiamo farlo, i nativi qui negli Stati Uniti non possono farlo, gli afroamericani non possono farlo. Quindi finiamo per dover intrappolare le nostre lotte, la nostra resistenza”.

 

Mohammed AbuJayyab è un fellah palestinese, agricoltore e attivista per la sovranità alimentare. È co-fondatore della Fattoria Om Sleiman (2015) a Bil’in in Cisgiordania e uno dei collaboratori del progetto di agricoltura collettiva Al Barakeh Wheat (2019) in Giordania. La sua educazione in un campo profughi nella Striscia di Gaza ha fatto delle questioni di appartenenza e giustizia sociale un tema centrale nel suo lavoro. È un co-sviluppatore di un quadro politico ed educativo basato sull’azienda agricola.

Asmaa Abu Mezied è uno specialista dello sviluppo economico e dell’inclusione sociale che lavora con Oxfam per affrontare le questioni di genere, sviluppo e cambiamento climatico nel settore agricolo. I suoi interessi di ricerca si concentrano sull’economia della cura, sui collettivi di donne che si organizzano nei settori economici, sulla responsabilità sociale del settore privato e sull’intersezione delle identità politiche, agricole e ambientali palestinesi. È stato membro dell’Atlas Corps collaborando con l’Emerging Global Leaders (Leader Emergenti Globali) del Presidente Obama Emerging Global Leaders, un gruppo di giovani di Gaza uniti da valori comuni (Hub-Global Shaper, un’iniziativa del Foro Economico Mondiale) e un Custode (Wrangler) della Fondazione Mozilla 2021 presso lo spazio “Tecnologia per l’Attivismo Sociale”.

Progetto Giustizia Adalah: Adalah Justice Project è un’organizzazione di difesa palestinese con sede negli Stati Uniti che mira a cambiare il dibattito pubblico e la politica sulla Palestina. Lavoriamo per la liberazione collettiva. Nessuno è libero finché non siamo tutti liberi.

Comitato del Servizio degli Amici Americani: L’American Friends Service Committee è un’organizzazione quacchera dedicata al servizio, allo sviluppo e ai programmi di pace in tutto il mondo. Il nostro lavoro si basa sulla fede nel valore di ogni persona e sulla fede nel potere dell’amore di vincere la violenza e l’ingiustizia.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org