Grazie a un programma comunitario che insegna l’apicoltura e la raccolta del miele, le donne palestinesi locali stanno portando gioia sui tetti del quartiere.
Fonte: english version
Di Shira Makin – 9 giugno 2022
Immagine di copertina: Dallal Nsardin Qassem. Dopo aver frequentato il corso iniziale di apicoltura, insegna lei stessa ad altre donne. Credito: Ohad Zwigenberg
Ogni mattina Dallal Nsardin Qassem sale sul giardino sul tetto della sua casa nel quartiere di Isawiyah a Gerusalemme Est con una tazza di caffè. Si siede tra vasi di fiori in sboccio, erbe e piante medicinali di fronte agli alveari che alleva da tre anni, osservando le api bottinatrici che scaricano il loro carico di nettare all’interno delle arnie per trasformarlo in miele e ascoltando il loro brusio.
Qassem, 52 anni, madre di cinque figli e nonna di sette nipoti, ha imparato l’arte dell’apicoltura tre anni fa nell’ambito di un corso offerto dal Centro Sinsila, situato sulle terrazze dei tetti della Biblioteca Centrale di Gerusalemme Est. Il Centro è un progetto della ONG Muslala, che cura una serie di progetti sociali e artistici a Gerusalemme.
“Le api sono benedette e c’è una storia su di loro nel Corano dove si dice: ‘L’ape tiene nel suo ventre un liquido che è una medicina per l’umanità'”, dice. “Ho imparato ad avvicinarmi alle api e a smettere di averne paura. Ho imparato come le api lavorano insieme, come una singola entità, e noi umani possiamo imparare molto da loro: come comportarci e relazionarci nel modo migliore”.
Qassem ammette che ci è voluto del tempo prima che la sua famiglia si abituasse ai nuovi vicini. “All’inizio avevano tutti paura”, dice sorridendo, “ma ora si avvicinano agli alveari con passione e senza timore. Mio marito, che all’inizio era contrario all’idea, ora apre persino l’alveare per estrarre il miele. I miei nipoti addirittura giocano con le api”.
Qassem è stata una delle 16 donne che hanno partecipato a un progetto pilota al Centro Sinsila nel 2019: un corso di apicoltura attraverso un approccio biodinamico che risalta l’allevamento in un ambiente naturale e privo di stress. I partecipanti si sono incontrati presso gli alveari del Centro dove hanno imparato come allestire i propri giardini pensili e alveari; ora Qassem e altri stanno insegnando alle donne locali come allevare le api in casa. Di recente lei e le sue colleghe hanno completato un corso particolarmente ambizioso che ha coinvolto 115 partecipanti, ognuno dei quali ha ricevuto due alveari. L’obiettivo è che il miele raccolto venga venduto durante l’estate a Sinsila, con la maggior parte dei profitti che rimangono alle donne.
L’obiettivo generale del Centro è quello di responsabilizzare economicamente le donne locali (secondo l’Istituto per la Ricerca Politica di Gerusalemme, il tasso di disoccupazione tra le donne arabe di Gerusalemme Est è di quasi il 75%) e di sostenere iniziative urbane incentrate sulla sostenibilità e sull’ecologia, in questo caso, per contrastare la minaccia dell’estinzione globale delle api mellifere. E c’è anche un altro meraviglioso vantaggio: la creazione di giardini pensili frondosi e fioriti in tutta Gerusalemme Est, un’impresa incommensurabilmente importante in un’epoca di acuti cambiamenti climatici e crisi. Alberi e piante riducono l’inquinamento atmosferico, assorbono l’acqua piovana, abbassano la temperatura degli edifici sottostanti e forniscono un gradito tocco di verde e colore.
L’anima e il fondatore del Centro Sinsila, a pochi minuti di cammino dalla Città Vecchia di Gerusalemme, è Tareq Nassar, 38 anni, architetto e urbanista cresciuto nella Città Vecchia e nel vicino quartiere di Ras al-Amud a Gerusalemme Est. Quando è tornato dall’Europa dopo aver completato gli studi circa sei anni fa, ha iniziato ad applicare ciò che aveva imparato all’ambiente in cui era cresciuto.
Nasser è un sostenitore del Placemaking: un approccio alla pianificazione urbana che promuove il coinvolgimento della comunità nel plasmare gli spazi pubblici, in un lasso di tempo relativamente breve in grado di apportare cambiamenti concreti che rafforzeranno le connessioni degli abitanti tra loro e con l’ambiente circostante. Così, ad esempio, ha avviato la creazione di un giardino pubblico e di una copertura verde per l’ombra all’esterno di una moschea locale, in modo che gli abitanti potessero pregare all’aperto durante la pandemia di coronavirus anche sotto il sole cocente.
“Il governo ha stanziato 2 miliardi di shekel (560,2 milioni di euro) per lo sviluppo di Gerusalemme Est, ma non è chiaro dove andranno a finire tutti i soldi. La maggior parte di ciò non sta davvero cambiando la vita quotidiana degli abitanti”, afferma Nasser.
“Guarire” l’ambiente
Nasser ha fondato il Centro Sinsila circa tre anni fa, ispirato da un progetto creato da Muslala sul tetto del Centro Clal a Gerusalemme Ovest, un’oasi urbana nel mezzo del centro cittadino che funge da fiorente centro per attivisti della comunità, artisti, ambientalisti ed educatori. “Mi sono detto, al diavolo! Dobbiamo avere qualcosa di simile anche a Gerusalemme Est”, ricorda.
Il tetto fiorito del Centro offre ai residenti una vera boccata d’aria fresca, secondo il suo fondatore, che aiuta, dice, anche a “guarire” l’ambiente urbano. La parola Sinsila in arabo si riferisce alle pietre naturali utilizzate per costruire le aree agricole collinari terrazzate in modo da prevenire l’erosione del suolo, consentendo così la piantumazione di alberi e piante stagionali. Come quelle terrazze, spiega Nasser, il Centro Sinsila aspira a creare e preservare il suolo e a introdurre la vegetazione nelle aree urbane.
Tuttavia, nei quartieri di Gerusalemme Est c’è pochissima terra e molto cemento. Passeggiando lì, raramente si vedono alberi o altra vegetazione tra i fitti edifici. Il sogno di Nasser è trasformare le aree in un paradiso fiorente sfruttando appieno l’enorme potenziale non realizzato di trasformare quello che lui chiama il “deserto dei tetti”.
Oltre al giardino pensile e agli alveari di Sinsila, installati all’interno di una struttura in legno che ha posti per sedersi e godersi il ronzio delle api, il Centro vanta anche un piccolo caffè comunitario e una varietà di mostre, programmi e laboratori per bambini e adulti su temi in materia di sostenibilità e ambientalismo. Questi includono corsi per la produzione di prodotti da cera d’api e propoli.
“Grazie ai corsi che stiamo facendo, siamo riusciti a creare una comunità qui. Le persone vengono da noi per imparare, per incontrarsi, per lavorare insieme. Quasi come WeWork” (un fornitore di spazi di lavoro condivisi fisici e virtuali, con sede a New York), dice Nasser con un sorriso. “Miriamo anche a tornare alle radici culturali della comunità qui e a farne un nuovo uso. In passato, i tetti erano parte integrante della vita quotidiana. Perché non tornare a farlo?”
Il progetto dell’apicoltura si è rivelato un ottimo modo per realizzare la sua visione, continua: “Se fossi andato dalle donne e avessi chiesto loro di rendere verdi i tetti delle loro case e coltivarli, sarei sembrato un pazzo. Avrebbero riso di me. Non è esattamente in cima alle necessità di nessuno qui. Ma se suggerisco loro di allevare api e produrre miele per guadagnare soldi, costruiranno un tetto verde di loro spontanea volontà, perché le api hanno bisogno di fiori e piante”.
Cambiare la vita delle donne
Per creare soluzioni sostenibili, è necessario guardare alla radice del problema, dice. Il progetto dell’apicoltura dimostra che l’ha effettivamente trovato: un terzo delle donne che hanno partecipato al progetto pilota hanno allestito i propri tetti verdi e alveari e hanno prodotto una quantità considerevole di miele da cui traggono profitto. Nel 2020 gli alveari sul tetto di Qassem e quelli dei suoi colleghi hanno prodotto 25 chilogrammi di miele e un anno dopo i loro sciami ne hanno prodotto complessivamente ben 250 chili. Pochi mesi dopo il successo del programma pilota, le partecipanti hanno fondato un’organizzazione chiamata Cooperativa Femminile Sinsila, che gestiscono autonomamente.
“Questo progetto sta davvero cambiando queste donne!” dice Nasser con orgoglio. “E non sto parlando della classe elevata: il più delle donne qui non parla ebraico o inglese, la maggior parte non ha un lavoro. Ora hanno una professione, hanno una terrazza verde tutta loro sul tetto. Delle donne che hanno partecipato al progetto pilota, tre sono state accettate per insegnare la sostenibilità in una scuola locale. Riuscite ad immaginare come questo cambi la vita di una donna di 55 anni che non ha mai avuto un lavoro o conseguito una laurea?”
Negli ultimi due anni Nasser e i suoi collaboratori hanno ampliato il progetto e se tutto va bene, i suoi partecipanti recenti e passati raccoglieranno fino a tre o quattro tonnellate di miele, da vendere in vasetti a marchio Sinsila a partire da questa estate.
Sebbene la sua ambiziosa impresa riceva finanziamenti dal Ministero dell’Economia e dell’Industria israeliano, Nasser afferma che copre solo il 20% del bilancio del Centro. Infatti, aggiunge, il Centro ha finora acquistato 200 alveari per un costo di oltre 100.000 shekel (28.000 euro). Ora sta avviando una campagna di finanziamento partecipativo (crowdfunding) per gli acquisti anticipati del miele.
L’attivista sociale ed esperto di apicoltura Yossi Aud ha accompagnato il progetto del Centro Sinsila sin dall’inizio ed è ben noto tra gli apicoltori in Israele. Sta conducendo uno sforzo a livello nazionale per riportare le api nelle aree urbane e in altre aree per mezzo di un approccio biodinamico, e a tal fine ha fondato l’organizzazione Magen Dvorim circa 10 anni fa.
“Le api”, spiega, “sono responsabili della maggior parte della produzione naturale mondiale. Sono i principali impollinatori in natura e come tali hanno un’influenza diretta sull’intera catena alimentare in natura e sui processi ecologici”.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org