La storia popolarmente nota come “Giudizio di Salomone” (1 Re 3:16-28) coinvolge due madri che vivevano nella stessa casa e hanno partorito nello stesso momento, e una sosteneva che l’altra avesse rubato il suo bambino e glielo avesse scambiato con il proprio, che era morto nel sonno. Quindi c’era un bambino vivo conteso.
Fonte: english version
Di Jonathan Ofir – 24 giugno 2022
Immagine di copertina: Bennet parla all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – 27.09.2021
Il sostegno all’Apartheid è l’unica cosa che unisce i partiti politici ebrei israeliani, dalla presunta sinistra all’estrema destra.
Dopo che lunedì i media hanno annunciato il crollo del governo israeliano, il Primo Ministro Naftali Bennett e il Primo Ministro sostitutivo Yair Lapid (che presto sostituirà Bennett fino alle elezioni di ottobre), hanno tenuto un discorso congiunto. L’inquadratura di Bennett di ciò che era accaduto e il ragionamento sui tempi meritano un esame speciale.
Bennett ha attribuito la decisione alla recente incapacità del governo di approvare i regolamenti sull’Apartheid per i coloni. Si tratta di un ordine di “emergenza”, prorogato ogni 5 anni dal 1967, che consente ai coloni ebrei in Cisgiordania un governo civile mentre i palestinesi nelle stesse aree vivono sotto il governo militare. L’impossibilità di estendere la legge gli lasciava una sola scelta: sciogliere il governo. Il regolamento scadrebbe altrimenti a luglio.
Bennett non intendeva questo nel senso di “Ho fallito, mi dimetto”. No, Bennett stava sottolineando che i suoi consulenti legali gli hanno detto che c’è solo un modo per estendere quei regolamenti distinti e disuguali se non riescono a ottenere la maggioranza in Parlamento: sciogliere il Parlamento. Quindi la legge sull’Apartheid sarebbe stata prorogata automaticamente. E non è che l’opposizione si opponga alla legge: l’opposizione di Netanyahu ha bloccato il governo solo per vedere la caduta della coalizione di Bennett, che sostiene sia composta da “sostenitori del terrorismo” ed “elementi antisionisti”.
In altre parole, Bennett stava dicendo che il motivo unico per cui aveva deciso di capitolare era salvare l’Apartheid israeliano.
Ecco come Bennett lo ha enunciato:
“Venerdì scorso, ho tenuto una serie di colloqui con funzionari legali e di sicurezza, e sono arrivato alla conclusione che entro 10 giorni, con la scadenza dei regolamenti di Giudea e Samaria (nomi biblici per la Cisgiordania), lo Stato di Israele andrebbe incontro a gravi rischi per la sicurezza e caos costituzionale. Non potevo permetterlo”.
Bennett ha detto che né lui né Lapid avrebbero permesso che ciò accadesse, assolutamente.
Bennett ha usato un esaltante linguaggio biblico, riferendosi all’estensione dei regolamenti come un “Sanctum Sanctorum” che non avrebbe dissacrato:
“A differenza dell’opposizione che ha trasformato anche il santuario della sicurezza di Israele in merce di scambio politica, tra l’altro, in un modo senza precedenti, in nessun momento del mio mandato ho contemplato che una considerazione politica avrebbe in qualche modo pregiudicato la sicurezza di Israele”.
Bennett ha paragonato se stesso e Lapid (che ha salutato come un “amico”) alla madre nel racconto biblico di Salomone:
Nel processo di Salomone del 2022 abbiamo scelto di essere la madre che preserva la vita del bambino seppur pagandone un caro prezzo personale.
Questo merita qualche spiegazione per coloro che potrebbero avere poca memoria delle scritture della Bibbia. La storia popolarmente nota come “Giudizio di Salomone” (1 Re 3:16-28) coinvolge due madri che vivevano nella stessa casa e hanno partorito nello stesso momento. Una sosteneva che l’altra avesse rubato il suo bambino scambiandolo con il proprio, che era morto nel sonno. Quindi c’era un bambino vivo conteso. Poiché entrambe sostenevano che fosse il proprio figlio, Salomone decise di minacciare di tagliarlo a metà: “Così ognuna di voi potrà avere una parte di lui”. Una madre ha gridato che il bambino non doveva essere ucciso e che avrebbe preferito che fosse dato all’altra, mentre l’altra madre ha detto che non le importava se lo tagliavano, così nessuna di loro avrebbe avuto il bambino. Salomone sapeva che la vera madre avrebbe avuto a cuore la vita del bambino più di ogni altra cosa. Si conclude con: “Tutti in Israele rimasero sbalorditi quando udirono come Salomone aveva preso la sua decisione. Si resero conto che Dio gli aveva dato la saggezza per giudicare equamente”.
Quindi Bennett sta dicendo che preferirebbe rinunciare alla sua carica di Premier piuttosto che vedere il bambino, che è l’Apartheid israeliano, essere tagliato.
Questo è un collante per il suprematismo ebraico. Bennett vuole essere visto come un Salomone saggio e leale. Senza nominare Netanyahu, lo dipinge come la madre insensibile che lascerebbe tagliare a metà il bambino.
Ma questo bambino è l’Apartheid. A Bennett non importa assolutamente nulla del fatto che la Palestina sia divisa, non solo a metà, ma in circa 165 enclavi/ghetto in Cisgiordania, oltre a una prigione a cielo aperto chiamata Gaza, né che il suo popolo sia stato sparso per la Palestina, i Paesi circostanti e l’ulteriore diaspora, a causa della pulizia etnica. Bennett mostra ciò che lui e la società israeliana hanno più a cuore: l’Apartheid.
Dovremmo piangere lacrime di coccodrillo assieme a lui?
Infatti, Bennett sa benissimo che non esiste una vera minaccia per l’Apartheid israeliano. Israele troverà una soluzione a quegli “ordini di emergenza”. La mancata approvazione di questa legge non indica alcun cambiamento ideologico importante. Nessuno dell’istituzione sionista mira davvero a sfidarlo, Dio non voglia. È neanche un giorno non deve passare senza Apartheid. Questo è ciò a cui si riferisce Bennett quando dice “caos costituzionale”: la supremazia ebraica deve essere preservata, mentre i palestinesi vivono oppressi sotto l’occupazione militare israeliana.
Il leader di Meretz Nitzan Horowitz rinnega lo spregevole ribelle arabo
Mercoledì, il Ministro della Salute Nitzan Horowitz, leader del Partito liberale Sionista Meretz, ha parlato di un membro palestinese del partito, Ghaida Rinawie Zoabi, in termini incredibilmente duri, poiché ha fatto l’impensabile: ha votato contro l’estensione dei regolamenti di Apartheid.
“Nulla ci accomuna con quella donna”, ha detto in un’intervista televisiva con Ilana Dayan.
Questo è un linguaggio razzista, oltre che sessista, da usare contro un legislatore palestinese che ha votato secondo coscienza. Horowitz non riesce nemmeno a chiamarla per nome? Ora è Rinawie Zoabi colei che non possiamo nominare? Non è stato un errore. Horowitz ha spiegato:
“Il suo comportamento è stato spregevole e dannoso, ha superato tutti i limiti, e ha compiuto un atto ignobile che ha danneggiato me, Meretz e la società israeliana così come la società araba”.
Accidenti, che idiota. E guardate l’arroganza ideologica: l’Apartheid non dovrebbe essere messo in discussione o contestato! È spregevole e dannoso! Questo viene dall’estrema sinistra sionista, intendiamoci.
Non c’è da stupirsi che Rinawie Zoabi non voglia più avere a che fare con questi ipocriti. Ha già annunciato che non si candiderà alle prossime elezioni.
Pensate a quello che Horowitz sta dicendo: Rinawie Zoabi avrebbe dovuto conformarsi e votare per l’estensione dei regolamenti di Apartheid come gli altri membri di Meretz. In un certo senso, Horowitz sta confermando la santa ipocrisia di Bennett: il regime di Apartheid ebraico è un Sanctum Sanctorum, e l’arabo che non possiamo nemmeno chiamare per nome, l’ha dissacrato.
Come ha scritto Meron Rapoport su +972 Magazine la scorsa settimana, Meretz ha abbandonato “il suo ultimo valore fondamentale” su quel voto sull’Apartheid. Horowitz ha appena dimostrato di aver anche abbandonato ogni parvenza di decenza che potesse avere.
Anche gli Stati Uniti abbracciano l’Apartheid israeliano
Non è solo in Israele che ci si aspetta che le persone abbraccino l’Apartheid. Negli Stati Uniti, la stragrande maggioranza degli stati (35) ha approvato una legislazione anti-BDS, che rende illegale impegnarsi in boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni contro uno Stato in particolare, Israele, almeno se si vogliono stipulare contratti con le agenzie statali.
Tali leggi sono palesemente incostituzionali, violando il Primo Emendamento. Tuttavia, questo mercoledì, una corte d’appello dell’Ottavo Distretto ha confermato che la legislazione dell’Arkansas su questa materia era legittima, anche se un giudice dissenziente ha sottolineato che semplicemente violava il Primo Emendamento. La sentenza della corte si basava sull’idea che questi boicottaggi costituissero “una condotta puramente commerciale, non espressiva”. Questo è un errore clamoroso. I boicottaggi volti a ritenere Israele responsabile delle sue violazioni sistematiche del diritto internazionale e dei crimini contro l’umanità, sono essenzialmente politici, non sono in alcun modo “non espressivi”, ed è proprio per questo che Israele li sta combattendo così duramente: è un problema d’immagine.
Il giudice dissenziente ha sottolineato che la legge in questione “proibisce all’appaltatore di svolgere attività di boicottaggio al di fuori dell’ambito del rapporto contrattuale con il suo tempo e con il suo denaro”, e che questo è il modo e il motivo per cui viola il Primo Emendamento.
L’Unione Americana per le Libertà Civili sta ricorrendo alla Corte Suprema. Ed è giunto il momento che la questione avvii un’importante dibattito nazionale degli Stati Uniti. Perché la lobby israeliana sta fondamentalmente facendo abbracciare agli Stati Uniti l’Apartheid sacrificando i suoi valori più sacri, e sottolineo “sacri”, anche se ho ironizzato il termine quando l’ho usato per definire sacro l’Apartheid. Stiamo parlando della capacità di opporsi non solo alla politica di Apartheid israeliana: se questa passerà alla Corte Suprema e sarà legittimata, servirà da precedente per impedire alle persone di impegnarsi in ogni tipo di boicottaggio. La prossima cosa che sappiamo è che l’Associazione Nazionale delle Armi chiederà alle persone di dichiarare che non boicotteranno le vendite di armi o disinvesteranno dalle compagnie di armi, per timore che perdano il privilegio di stipulare un contratto con un’agenzia governativa. Qualsiasi lobby potente diventerà intoccabile.
È quello che è
Quindi, quanto vogliono sacrificare le persone in nome dell’Apartheid? Può sembrare un po’ oscuro per molte persone, che si tratti davvero di Apartheid, ma è diventato sempre più chiaro anche per il recente Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina Michael Lynk, come ha scritto nel suo recente articolo (mercoledì) intitolato: Calling Israeli Apartheid What It Is (Chiamare l’Apartheid Israeliano Per Ciò Che È). Lynk spiega come era solito evitare il termine perché i diplomatici “non indurissero i loro cuori e chiudessero le porte”, nell’ambito di una strategia che prevedeva “l’attenzione al diritto umanitario internazionale, le leggi di guerra e occupazione, e al diritto internazionale dei diritti umani”. Ma poi, nel 2021, verso la fine del suo mandato di sei anni, la sua “idea era cambiata”. È stato colpito dalla riluttanza degli Stati membri delle Nazioni Unite a ritenere Israele responsabile; prendere atto di oltre 30 violazioni israeliane del Consiglio di Sicurezza dell’ONU dall’inizio degli anni ’70 “e centinaia di altre risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio per i Diritti Umani”; e la seconda ragione della sua “nuova apertura a considerare il quadro come Apartheid” erano “i numerosi e indiscutibili fatti sul campo. L’occupazione israeliana, che, secondo il diritto internazionale, deve essere temporanea e di breve durata, era diventata indistinguibile da annessione e Apartheid”. Lynk cita i numerosi rapporti sull’Apartheid israeliano apparsi negli ultimi due anni:
A partire dal 2020, una serie di rispettate organizzazioni regionali e internazionali per i diritti umani hanno pubblicato rapporti concludendo che l’Apartheid esisteva, in Cisgiordania (Yesh Din) e nell’intera area tra il Mediterraneo e il Giordano (Al-Haq, Addameer, Al-Mezan, B’Tselem, Human Rights Watch e Amnesty International). Anche alcune figure di spicco israeliane stavano arrivando alla stessa conclusione. Ad esempio, Michael Ben-Yair, un ex procuratore generale di Israele, ha scritto all’inizio di quest’anno che Israele era diventato “un regime di Apartheid” e “una realtà mono-Stato, con due diversi popoli che vivono con diritti disuguali”.
Lynk dice di essersi reso conto che è il termine più appropriato e quindi è quello che dovrebbe essere usato:
“Se c’è una parola migliore nel vocabolario internazionale per descrivere la situazione di due diversi popoli che abitano lo stesso spazio politico, ma vivono in comunità fortemente segregate e hanno accesso a diritti giuridici e sociali molto diversi basati esclusivamente sulla loro etnia e nazionalità, allora usiamo quel termine. Fino ad allora, Apartheid è la parola più appropriata”.
Ecco di cosa si tratta. La caduta del governo, l’oppressione dei palestinesi anche da parte dei sionisti di sinistra e la sottomissione degli americani da parte della lobby israeliana. Può non sembrare così, può sembrare una mera legislazione qui, una semplice legislazione là, solo una considerazione burocratica. Ma gira tutto intorno alla stessa cosa: Israele vuole preservare il suo regime di Apartheid e non vuole che venga messo in discussione in alcun modo. I liberali di Meretz come Horowitz potrebbero convincersi che l’Apartheid non gli piace molto, ma è meglio di Netanyahu, e non opporsi, o qualunque cosa si raccontino. Ma questa è tutta una logica piccola e meschina in relazione al quadro più ampio. E quel quadro più ampio è senza dubbio l’Apartheid. È davvero giunto il momento di rinunciare a quel bambino.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
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