La storia del primo birrificio della Palestina è una storia di sfide, dovere, ma soprattutto una storia di famiglia.
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Shannon Power – 8 luglio 2022
Situata in una piccola città cristiana vicino a Ramallah, l’azienda produttrice di birra palestinese Taybeh Beer è diventata una risorsa inestimabile per la comunità, una fonte di orgoglio nazionale e una prova di incrollabile ingegno nonostante l’occupazione.
La storia del primo birrificio della Palestina è una storia di sfide, dovere, ma soprattutto di famiglia.
La Taybeh Brewery, a conduzione familiare, fondata da Nadim Khoury nel 1994, ha aperto dopo anni di duro lavoro e con il via libera nientemeno che di Yasser Arafat stesso.
Lo zar della birra ricorda con affetto sua figlia Madees “che all’età di nove anni correva nella fabbrica di birra per aiutare a mettere le bottiglie nelle scatole”.
“Proprio come nei primi giorni di attività febbrile del padre, la perseveranza e l’adattabilità dei produttori di birra di seconda generazione riflettono la più ampia lotta palestinese contro l’occupazione”
Madees, che ora ha 36 anni, sarebbe diventata la prima donna produttrice di birra non solo in Palestina, ma probabilmente in tutto il Medio Oriente.
Condividere l’ossessione della famiglia per la birra è stato un gioco da ragazzi per lei.
“La beviamo ogni giorno, non ci stanchiamo mai”, dice Madees.
La famiglia è appassionata dell’attività, che comprende anche un’azienda vinicola recentemente lanciata, ma ciò non significa che gestirla sia senza grattacapi.
“I miei figli non mi ascoltano”, si lamenta Nadim mentre i suoi figli si aprono la propria strada nel settore.
I figli di Nadim, Madees e Canaan, hanno preso le redini del fiorente business [photo credit: Shannon Power]
Madees e suo fratello Canaan, 30 anni, forse non seguono sempre diligentemente le istruzioni del padre, ma il birrificio è in buone mani e hanno un grande rispetto per la missione di Nadim.
“Siamo un’azienda a conduzione familiare e mio padre e mio zio nutrono una grande passione per quello che fanno, un amore per la campagna e per la città”, spiega Canaan.
“Vederli lavorare duramente senza sosta ancora fino alla metà degli anni ’60, mostra la loro passione e perseveranza. Hanno attraversato tante difficoltà e sfide nel corso degli anni e le hanno superate tutte”.
Nadim, che si autodefinisce un “uomo con una missione”, ha tramandato il forte senso di obbligo nei confronti della Palestina che ha appreso da suo padre.
Il padre di Nadim ha insistito sul fatto che il figlio laureato in economia tornasse dagli Stati Uniti dopo gli accordi di Oslo del 1993, perché aveva un dovere nei confronti della sua patria.
Gli accordi di Oslo tra il governo israeliano e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) diedero una fugace speranza di autonomia e, come dice Canaan, costituirono “un grande stimolo affinché le persone tornassero e costruissero l’economia”.
Nadim si innamorò della produzione della birra mentre si trovava negli Stati Uniti, sapendo che il suo contributo alla Palestina sarebbe stato un’azienda produttrice di birra rivoluzionaria e un’eredità “sostenibile per i miei nipoti”.
“Il momento in cui mi sono sentito più orgoglioso è stato quando ho aperto il primo microbirrificio in Medio Oriente”, spiega Nadim.
Ma cercare di avviare un’attività di produzione di alcolici in un paese a maggioranza musulmana non è stato senza ostacoli.
Dopo 10 anni di tentativi, Nadim fece il drastico passo di volare in Tunisia con suo fratello per incontrare il leader dell’OLP Yasser Arafat, che lì visse in esilio fino al 1993.
Arafat diede loro il via libera perché vide che condividevano uno scopo comune: una Palestina prospera e libera.
“Era aperto alla nostra idea e riconobbe che avevamo la stessa visione”, dice Nadim.
Non molto tempo dopo, il birrificio Taybeh aprì, diventando una storia di notevole successo.
“Questo è stato un lungo processo”, ricorda Canaan, aggiungendo, “abbiamo dovuto iniziare educando i consumatori sui diversi tipi di birra e cercando di far sì che si preoccupassero della qualità”.
Con il tempo le persone si sono rese conto che il birrificio era una risorsa inestimabile, non solo per la comunità locale di Taybeh, una piccola città cristiana a circa 18 chilometri a nord-est di Ramallah, ma per tutta la Palestina, grazie alla politica dell’azienda di utilizzare solo prodotti coltivati localmente.
“I coltivatori dell’uva vendevano alle aziende vinicole in Israele, ma spesso le loro uve venivano bloccate al confine e poi andavano a male, inoltre non venivano pagati in modo equo “, dice Canaan.
“Sono stati estremamente felici della nostra decisione di aprire la cantina, perché è a soli 30 minuti di auto, non c’è bisogno di permessi… e non ci sono problemi.”
Taybeh aiuta a rafforzare l’economia locale e impiega direttamente circa 20 persone del posto, molte delle quali hanno lavorato lì per decenni.
Anche un certo numero di musulmani praticanti lavora al birrificio.
“Come questo gentiluomo, appena passato di qui, che non ha mai bevuto alcolici ma che può produrre una birra perfetta”, si vanta Canaan indicando un lavoratore di passaggio.
Taybeh è stata anche al centro della crescita del turismo, grazie al suo annuale Oktoberfest che farà il suo ritorno questo settembre dopo una pausa di tre anni indotta dal Covid.
Il festival di due giorni attira 15.000 visitatori da tutto il mondo, con le strade della città fiancheggiate da bancarelle di cibo e di artigianato.
“Vendono di più in quei due giorni di quanto non facciano tutto l’anno”, dice Canaan.
La famiglia è costantemente spinta a creare birre gustose e di alta qualità, progettate per essere gustate il più fresche possibile.
Nessuna delle loro birre, in un bar o in un negozio di liquori del paese, è stata prodotta più di tre mesi prima della consegna; se si è fortunati, si può persino trovare una birra imbottigliata e consegnata lo stesso giorno.
“Taybeh aiuta a rafforzare l’economia locale e impiega direttamente circa 20 persone del posto, molte delle quali hanno lavorato lì per decenni”
La gamma in edizione limitata di Taybeh è composta da miscele uniche tra cui la birra Palestinese alle erbe con za’atar, salvia e anice.
Producono anche birre stagionali come la loro Winter Lager e recentemente hanno lanciato la loro prima birra analcolica.
Canaan ha persino insistito per creare una Taybeh IPA dopo essersi innamorata della birra mentre studiava negli Stati Uniti.
“È diventato uno dei nostri best seller”, spiega con orgoglio.
Circa il 70% del mercato di Taybeh si trova in Israele, dove le loro birre occupano un posto d’onore nelle città con una significativa popolazione palestinese, come Haifa e Jaffa.
Mentre alcuni israeliani potrebbero essere contrari a bere una birra palestinese – come è successo nel 2017 quando un bar di proprietà israeliana è stato boicottato in quanto vendeva un’altra birra di Ramallah, Shepherds – molti sono altrettanto curiosi di provarla. Al di fuori di Israele, la maggior parte del loro mercato è in Europa, con Taybeh disponibile per l’acquisto anche negli Stati Uniti, in Giappone e in Cile.
Proprio come i primi giorni di difficoltà del padre, la perseveranza e l’adattabilità dei produttori di birra di seconda generazione riflettono molto la più ampia lotta palestinese contro l’occupazione.
Spesso le loro esportazioni sono bloccate dalle autorità israeliane, il che incide sulle entrate, o dall’altra parte, alcuni ingredienti, come il malto, possono arrivare in ritardo, bloccando la produzione.
Poi c’è stato un momento in cui Israele, contrariamente agli accordi di Oslo, ha interrotto l’approvvigionamento idrico lasciando le case e le aziende senza acqua corrente per due settimane.
“La resilienza è tutto”, spiega Canaan, descrivendo il tentativo di andare a scuola a Ramallah durante la violenta Seconda Intifada.
“C’erano posti di blocco ogni giorno, tutto era imprevedibile.”
“La nostra educazione ci ha insegnato a essere resilienti, ad essere creativi e a pensare a soluzioni, ad affrontare i tanti problemi che abbiamo”, aggiunge Canaan.
“L’altra alternativa sarebbe stata non sfidare te stesso, arrendersi e dire semplicemente, ‘beh, lavorerò in un negozio o qualcosa del genere”.
Accogliendo un’altra sfida, la famiglia si è impegnata nella produzione di vino, con un prodotto che prende il nome dallo stesso Nadim.
L’etichetta rende omaggio al patriarca della famiglia, con il suo nome stampato in grassetto sotto un albero d’oro con radici profonde, i cui rami rappresentano ogni membro della famiglia.
“In arabo, Nadim significa compagno di bevute”, spiega Nadim.
Quindi Nadim è nato per produrre birra e il suo destino è stato predetto quando i suoi genitori gli hanno dato quel nome?
Come sempre, Nadim ci riporta al suo grande scopo: “Soprattutto abbiamo mostrato al mondo che i palestinesi possono vivere liberamente”.
Shannon Power è una giornalista freelance. Il sua lavoro può essere trovato in The Guardian, The Independent, Metro, SBS Life, The Sun, Monocle e altri.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invctapalestina.org