Nonostante tutte le difficoltà, la nazionale si è qualificata per la Coppa d’Asia 2023, per la terza volta consecutiva
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John Dürden – lun 11 lug 2022
Immagine di copertina: I tifosi alzano le bandiere nazionali e le kefiah a sostegno della Palestina prima di affrontare l’Arabia Saudita alla Coppa d’Arabia del 2021. Foto: Jack Guez/AFP/Getty Images
Di tutti i compiti presenti nel mondo del calcio, non ce ne possono essere molti più difficili di quello di allenare la Palestina. Noureddine Ould Ali, il cui secondo periodo in carica è terminato nel 2021, lo sa meglio di altri. “Ci sono sfide uniche”, afferma Ould Ali. “Immagina se il Gareth Southgate avesse metà dei suoi giocatori in un’altra città e non potessero venire o se ci fossero checkpoint tra Liverpool e Manchester e alcuni giocatori venissero respinti. Questa è la situazione quando alleni la Palestina”.
La pandemia ha reso difficile lo svolgimento delle partite internazionali, ma questo è stato normale per i palestinesi sin dal loro ingresso in Fifa nel 1998, avvenuto grazie al forte sostegno di Sepp Blatter. Il crescente controllo israeliano del territorio palestinese dal 1948 è una questione internazionale importante con conseguenze in ogni campo.
Il calcio non è diverso e ci sono stati numerosi esempi nel corso degli anni. Nel 2007, a 18 membri della squadra nazionale fu negato il visto di uscita, non per la prima e neppure per l’ultima volta, per una cruciale partita di qualificazione ai Mondiali di Singapore, a cui fu poi assegnata la vittoria per forfait per 3-0. Nel 2009 sono stati uccisi i calciatori Ayman Alkurd, Shadi Sbakhe e Wajeh Moshtahe, mentre gli stadi sono stati bombardati. Lontano dai titoli dei giornali internazionali ci sono inoltre ostacoli quotidiani che rendono più difficile per la Palestina competere sulla scena internazionale.
“Le persone in Palestina non sono libere nei loro movimenti”, dice Ould Ali. “Se vuoi partire, devi prima passare attraverso una serie di posti di blocco e se li superi, devi comunque attraversare il confine con la Giordania”. Nell’esperienza dell’allenatore, lo scenario peggiore è che non ce la fai affatto, il migliore è che ci vogliono dalle cinque alle otto ore. “Allora hai un volo per andare in un altro paese e poi giocare una partita”.
La Palestine, ora classificata al 94° posto nel mondo, si è qualificata per la Coppa d’Asia 2023 a giugno sotto la guida di Makram Daboub, in testa a un girone composto da Filippine, Yemen e Mongolia, vincendo tutte e tre le partite, segnando 10 goals e non subendone nessuno. Ciò significa una tripletta di apparizioni al più grande evento del continente ed è, per Susan Shalabi, vicepresidente della Federcalcio palestinese, un risultato straordinario. “È come intravedere un’oasi di speranza mentre si vaga senza direzione in un deserto di delusioni”, dice. “I palestinesi in questi giorni si sentono abbandonati dai loro fratelli arabi e traditi dalla comunità internazionale”.
Non sorprende quindi che la squadra sia diventata un importante simbolo dell’identità nazionale. “Qualificarsi in circostanze così difficili rinnova la fiducia dei palestinesi nella nostra resilienza nazionale e nella volontà di sopravvivere e superare gli ostacoli”. Questo è, dice, il motivo per cui la nazionale è conosciuta come Al-Fida’i. “Il termine significa non solo ‘combattente per la libertà’, ma quel tipo di combattente per la libertà che è disposto a sacrificare tutto per la causa. Al-Fida’i è l’icona che ogni bambino palestinese aspira ad essere, e dare alla squadra nazionale una tale designazione dice molto su cosa essa significa per la nazione”.
Il successo a livello internazionale è un grosso problema, ma ci sono problemi anche nel gioco nazionale. Gaza e la Cisgiordania hanno le loro leghe, poiché non è semplice viaggiare tra i due territori. “A volte impediscono ai giocatori di viaggiare da una parte all’altra della Palestina”, dice Ould Ali. “Lui [Daboub] ha cercato di ridurre i rischi quando ha selezionato le squadre. Quindi quando hai 23 giocatori, ad esempio, cerchi di gestire la situazione al meglio. Ne chiami alcuni da Gaza, altri dalla Cisgiordania, altri da Gerusalemme, alcuni arabi palestinesi. Ci sono stati anche tentativi di chiamare giocatori della diaspora dall’ Europa e dal Sud America, in particolare dal Cile
Anche far crescere il gioco a livello di base è una sfida. “L’occupazione limita l’importazione di attrezzature sportive, la costruzione di campi e di strutture per l’allenamento”, afferma Shalabi. “Molti calciatori hanno perso la vita per mano dei soldati israeliani. Dozzine sono stati arrestati o feriti in modi che hanno reso loro impossibile continuare a giocare a calcio”.
Inevitabilmente si parla di quanto la Palestina potrebbe ottenere se la nazionale non avesse tali ostacoli. “Sarebbero meglio senza occupazione, ma il cambiamento più grande si farebbe sentire maggiormente in termini di organizzazione, gestione e finanze”, afferma Ould Ali. Non si avrebbe necessariamente un massiccio aumento degli standard e delle classifiche. “La Palestina sarebbe come altri paesi arabi, come la Giordania, il Libano o la Siria, poiché hanno una cultura calcistica simile”, dice.
Negli ultimi anni quelle squadre non sono state lontane dalla qualificazione ai Mondiali, con l’Asia che ha quattro posti prefissati. Quando dal 2026 il numero aumenterà a otto, ci sarebbe anche la possibilità che un giorno la Palestina possa salire sul palco più importante di tutti.
Se i responsabili discutono di queste cose, i fan sono gli stessi, a Gaza e in Cisgiordania come altrove. “Per il popolo, la nazionale è davvero importante, ma i tifosi sono un problema”, dice Ould Ali. “Non conoscono la differenza tra una nazionale sotto occupazione e una che si trova in una situazione normale. I tifosi palestinesi confrontano la loro squadra con altre squadre, ma non può essere la stessa cosa. Quando la Palestina gioca in trasferta, una semplice trasferta può richiedere 20 ore, ma i fan continuano a chiedere ‘perché non hai vinto?'”
Attualmente però questa domanda viene posta un po’ meno spesso.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org