A giugno, l’attore Mark Ruffalo si è unito alla campagna chiedendo alla piattaforma di pagamenti online PayPal di offrire i suoi servizi ai palestinesi che vivono nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.
Fonte: english version
Di Jessica Buxbaum – 10 agosto 2022
“Paypal di fatto opera negli insediamenti illegali di Israele, ma si rifiuta di fornire servizi ai palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, in diretta violazione delle linee guida delle Nazioni Unite”, ha scritto il premiato attore Mark Ruffalo su Twitter, condividendo una petizione di appello alla responsabilità aziendale dell’organizzazione senza scopo di lucro SumOfUs a favore dell’accesso palestinese a PayPal. Finora quasi 240.000 persone hanno firmato la petizione.
Con la firma di una celebrità, gli attivisti che guidano la campagna hanno rinnovato i loro sforzi per incalzare PayPal per la sua censura economica e discriminazione contro i palestinesi.
Il 4 agosto, 7amleh, il Centro Arabo per lo Sviluppo dei Social Media, in collaborazione con SumOfUs e il Movimento Popolare Musulmano, MPower Change, ha ospitato un seminario via web condividendo approfondimenti e aggiornamenti sulla campagna #PayPal4Palestine. Il seminario ospitava tra relatori: Lara Friedman, la presidente della Fondazione per la Pace in Medio Oriente, Mona Shtaya, consulente per la difesa di 7amleh e la co-fondatrice di MPower Change Linda Sarsour.
Sotto un assedio virtuale
Lanciata nel 2016, la campagna #PayPal4Palestine è guidata da 7amleh insieme a numerose organizzazioni della società civile. Secondo il sito web della campagna, PayPal fornisce i suoi servizi a cittadini israeliani (compresi cittadini palestinesi di Israele), coloni che vivono in insediamenti israeliani illegali in Cisgiordania e residenti palestinesi della Gerusalemme Est occupata. Ma non offre l’accesso ai palestinesi con conti bancari in Cisgiordania e Gaza.
“PayPal afferma che i suoi servizi non sono disponibili per i palestinesi sulla base della sua politica dei “Paesi Interdetti”, che classifica la Palestina e circa 30 altri Paesi come aree ad alto rischio”, si legge sul sito web. Eppure la piattaforma di pagamento online opera in oltre 200 Paesi, inclusi Stati con violazioni dei diritti umani e instabilità politica, come Yemen, Egitto, Zimbabwe, Giordania, Somalia e Venezuela.
Durante il seminario del 4 agosto, Shtaya di 7amleh ha spiegato che PayPal ha giustificato l’impossibilità di accesso con il motivo che i Paesi ad alto rischio devono adottare determinate misure per qualificarsi per i servizi PayPal, in particolare modificando il loro sistema bancario. Un rapporto 7amleh del 2018 sull’accesso dei palestinesi a PayPal afferma che la Palestina ha attuato diverse procedure per autorizzare le transazioni elettroniche e combattere il riciclaggio di denaro e le frodi, come l’approvazione della legge sulle transazioni elettroniche. Secondo le comunicazioni di 7amleh con l’Autorità Palestinese e l’Autorità Monetaria Palestinese, nell’ultimo anno le richieste di PayPal sono state soddisfatte, ma la piattaforma non è ancora disponibile per i palestinesi. PayPal non ha ancora chiarito il motivo per cui nega l’accesso ai palestinesi che vivono in Cisgiordania e Gaza. Infatti, all’inizio di quest’anno, PayPal ha vietato a una serie di media alternativi di utilizzare i loro servizi.
Secondo il rapporto di 7amleh, SumOfUs, la Campagna Statunitense per i Diritti dei Palestinesi e Jewish Voice for Peace (Voce Ebraica per la Pace) hanno pubblicato una petizione online nel 2016 esortando PayPal a fornire servizi ai palestinesi. L’anno successivo, gli attivisti hanno consegnato le firme raccolte nella petizione alla sede di PayPal a San Jose, in California.
“I rappresentanti dell’azienda che hanno ricevuto l’esito della petizione hanno riconosciuto che accusare PayPal di discriminare i palestinesi a causa della loro identità ha messo PayPal in una situazione molto scomoda e che la società non ha mai avuto intenzione di escludere deliberatamente i palestinesi dai suoi servizi. Tuttavia, si sono rifiutati di impegnarsi in misure concrete per porre rimedio alla situazione”, ha scritto 7amleh nel suo rapporto.
Altri gruppi hanno anche chiesto a PayPal di estendere i propri servizi ai palestinesi nei Territori Palestinesi Occupati, inclusi gli investitori della società, Americans for a Vibrant Palestine Economy (Gli Americani Per Una Dinamica Economia Palestinese) e Australia Palestine Advocacy Network (Rete Australiana di Difesa della Palestina). Tuttavia, questi sforzi sono stati vani poiché PayPal continua a escludere dalla sua piattaforma i palestinesi nei Territori Palestinesi Occupati.
Durante il seminario, Shtaya ha descritto come PayPal, bloccando l’accesso agli abitanti di Gaza, abbia messo i residenti dell’enclave assediata sotto un doppio blocco.
“Impedire loro di accedere a PayPal o di avere servizi PayPal significa anche impedirgli di avere opportunità di lavoro al di fuori della Striscia di Gaza”, ha affermato Shtaya. “Non sono solo sotto un assedio reale, ma anche virtuale”.
In nessun luogo questa esclusione è stata maggiormente sentita se non durante l’assalto israeliano a Gaza nel maggio 2021. Shtaya ha spiegato che mentre il lancio di razzi israeliani è piovuto su Gaza, agli attivisti internazionali è stato impedito di sostenere le organizzazioni umanitarie a Gaza attraverso Venmo, una sussidiaria di PayPal. “In tempo di crisi, abbiamo assistito a un’enorme discriminazione contro i palestinesi, a differenza del caso di Ucraina e Russia”, ha detto Shtaya.
Quando è scoppiata la guerra tra Ucraina e Russia, PayPal ha lanciato una raccolta fondi per sostenere l’Ucraina, mentre sospendeva i suoi servizi alla Russia.
E mentre i palestinesi in Cisgiordania non possono aprire un conto PayPal, i coloni israeliani della porta accanto possono farlo. Durante la tavola rotonda, Friedman ha osservato che:
“Il movimento degli insediamenti si è dedicato senza risparmiarsi a prendere quanta più terra possibile, concentrando una presenza civile israeliana protetta da una presenza militare. E poi, nel corso degli anni, siamo arrivati al punto in cui la politica israeliana, il governo israeliano, la legge israeliana trattano quella presenza civile in Cisgiordania come assolutamente indistinguibile dagli israeliani all’interno dell’Israele sovrano”.
Ha spiegato come gli sforzi di Israele per normalizzare gli insediamenti abbiano portato le multinazionali a trattare gli insediamenti come parte di Israele e mantenere uno status quo che è spesso trascurato.
“C’è questo duplice sforzo sia per isolare i palestinesi che per normalizzare e inserire i coloni nelle comunità internazionali, una comunità di nazioni. E il problema è che organizzazioni o aziende come PayPal, direi, inconsapevolmente, ne sono assolutamente parte”, ha affermato, sottolineando come la campagna #PayPal4Palestine sia parte di uno sforzo globale più ampio per ritenere le società internazionali responsabili della legittimazione dell’attività di insediamento come le recenti azioni contro Airbnb e Ben & Jerry.
Opzioni limitate per i Palestinesi
Senza PayPal, i palestinesi in Cisgiordania e Gaza hanno poche alternative. PalPay, una versione locale di PayPal, è stata fondata nel 2010 da Bank of Palestine, First National Bank e PCNC IT Solutions. Jawwal, il più grande fornitore di rete mobile della Cisgiordania e di Gaza, ha collaborato con la National Electronic Payment Company (Società Nazionale di Pagamento Elettronico) nel 2019 per creare Jawwal Pay, un portafoglio elettronico che consente alle persone di trasferire denaro, pagare bollette e fare acquisti online.
Eppure 7amleh sottolinea nel suo rapporto 2020 sul commercio elettronico in Palestina che queste alternative di pagamento elettronico locale rimangono limitate. “Affinché queste soluzioni possano essere adottate più ampiamente in Cisgiordania e a Gaza, devono essere facili da integrare in piattaforme di commercio elettronico internazionali ampiamente utilizzate”, ha scritto 7amleh.
Sarsour ha aggiunto che anche gli imprenditori palestinesi utilizzano Western Union o MoneyGram, soprattutto per le transazioni internazionali. Ma questi bonifici spesso costano agli imprenditori commissioni elevate e sono monitorati dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Come ha spiegato:
“I bonifici delle transazioni commerciali tra imprenditori statunitensi e imprenditori nella Palestina occupata, sono altamente monitorati. A volte i pagamenti vengono bloccati, a volte ritardati, perché c’è una sorta di indagine su questi bonifici multipli”.
Secondo la ricerca di 7amleh, l’accesso a PayPal non solo gioverebbe ai palestinesi, ma andrebbe anche a vantaggio della società stessa.
7amleh ha identificato tre scenari in cui le famiglie palestinesi ad alto, medio e basso reddito con accesso a Internet spenderebbero da 644 a 1.550 dollari/euro all’anno, generando da 90 milioni a 5 miliardi di dollari/euro di pagamenti tramite PayPal.
“A mio avviso è una questione di giustizia economica e, ad essere onesti, quanto sta perdendo PayPal?” ha affermato Sarsour, sottolineando come PayPal sia un modo concreto per gli attivisti all’estero di aiutare i palestinesi. “Sarebbe un sogno per gli imprenditori palestinesi poter usufruire di PayPal, ed essere in grado di ricevere pagamenti stranieri in modo sicuro”.
Eppure, in definitiva, ciò che i palestinesi chiedono è semplicemente la possibilità di utilizzare PayPal.
“In Europa e negli Stati Uniti, stanno parlando di come le aziende traggono profitto dai loro dati mentre noi palestinesi non abbiamo il privilegio di pensare a come stanno usando i nostri dati”, ha detto Shtaya. “Stiamo ancora lottando per avere accesso a PayPal. Ciò significa che Israele sta lavorando incrollabilmente per ritardare o negare ai palestinesi l’accesso ai servizi digitali e per limitare il nostro attivismo, il nostro impegno digitale”.
Jessica Buxbaum è una giornalista corrispondente da Gerusalemme per MintPress News che copre Palestina, Israele e Siria. Il suo lavoro è apparso su Middle East Eye, The New Arab e Gulf News.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org