Un decennio dopo la rivoluzione tunisina, l’arte urbana ha contribuito a trasformare le relazioni della nazione con gli spazi pubblici. Gli artisti locali sono incoraggiati a usare l’arabo come mezzo espressivo nei graffiti. Ora, una generazione più giovane è pronta a sbocciare, comprese le donne.
Fonte: english version
Melissa Chemam – 5 agosto 2022
Ogni estate, nel villaggio di Erriadh, vicino alla città di Djerba in Tunisia, gli artisti sono invitati a dipingere graffiti a Djerbahood, cambiando definitivamente l’aspetto dei muri.
Creato con discrezione nel 2014, il festival è diventato l’evento di arte urbana più vivace di tutto il Nord Africa, inserendo la Tunisia nella mappa mondiale dei graffiti.
Secondo Mehdi Ben Cheikh, gallerista e organizzatrice di Djerbahood, il fatto che il villaggio abbia 2000 anni di storia è fonte di ispirazione per i 150 artisti di strada che invita a esprimersi, artisti di 34 nazionalità diverse.
“Per chi conosceva Tunisi prima della rivoluzione, sembrava che la città si fosse riempita di parole quasi da un giorno all’altro”
Quest’anno, Mehdi Ben Cheikh è riuscita ad avere alcuni degli artisti più conosciuti del settore, tra cui Invader, Inti, Ardif, Shepard Fairey aka Obey, ed eL Seed, l’artista tunisino più famoso al mondo.
Nato in Francia nel 1981, ha iniziato a fare breakdance e graffiti alla fine degli anni ’90 ed è ora noto per i suoi “calligraffiti”, che mescolano arte urbana e calligrafia.
Un evento del genere ha ispirato anche artisti molto più giovani come Oumema Bouassida, alias Ouma, nata a Tunisi e residente a Sfax.
È probabilmente la prima artista donna tunisina a dipingere con l’hijab. Trentenne e madre, è fortemente impegnata a cambiare le percezioni attraverso l’arte e l’organizzazione di progetti sociali.
Parlando con The New Arab, Oumema afferma che non sarebbe mai stato possibile prima del cambiamento del 2011.
“Per me tutto è iniziato con la rivoluzione tunisina. Ho sempre amato disegnare, ma prima della rivoluzione non avrei mai immaginato di dipingere per strada. Mio padre è un grafico e disegnava a mano prima che esistesse il software, e io sono cresciuta guardandolo.
“Un giorno, mentre stavamo guardando la televisione, ho visto per la prima volta il lavoro di alcuni graffitari e gli ho detto che volevo iniziare anch’io. Ha risposto che la gente lo fa in Europa, ma non potevo farlo in Tunisia… ‘Qui non è possibile’… Poi è c’è stata la rivoluzione”.
E per lei ha significato l’improvvisa libertà, il momento per iniziare ad esprimersi.
“Prima della rivoluzione, le donne che indossavano l’hijab non erano accettate negli spazi pubblici e nemmeno da sole per le strade”, aggiunge Ouma.
“Per le donne in hijab era persino difficile andare a studiare. Volevo andare alla scuola d’arte. Ai tempi di Ben Ali, la polizia era ovunque, controllando il nostro comportamento in ogni strada. Ma grazie ai massicci cambiamenti indotti dalla rivoluzione, a 19 anni, ho fatto il mio primo murale, sui muri del mio liceo”.
Oumema voleva che il suo primo murale avesse colori forti e lettere in grassetto. Fortunatamente, il direttore della sua scuola le diede il permesso e da lì è iniziata una lunga storia.
Ora Ouma è una giovane artista molto nota e promuove sessioni di formazione e laboratori per bambini e adolescenti.
Sta inoltre utilizzando il suo lavoro per sensibilizzare sul tema dell’emigrazione e sulla tragica condizione dei giovani che cercano o sperano di lasciare la Tunisia per mancanza di prospettive, crisi economica, disoccupazione e disordini politici.
How post-revolution Tunisian cinema has become MENA's new home of indie filmmaking https://t.co/coP4YDb87r
— The New Arab (@The_NewArab) 8 giugno 2022
Per la ricercatrice italiana Luce Lacquaniti, autrice del libro “The Walls of Tunis: Signs of Revolt” (pubblicato in Italia da Exorma), il primo segno della rivoluzione del 2011 furono proprio i graffiti sui muri della capitale. “Per coloro che conoscevano Tunisi prima della rivoluzione, sembrava che la città si fosse riempita di parole quasi dall’oggi al domani”, ha scritto.
Dalla caduta dell’ex presidente Zine el Abidine Ben Ali, sempre più artisti di strada tunisini iniziarono a rivendicare spazi pubblici, un tempo strettamente controllati dalla polizia e dai servizi segreti.
Collettivi come il gruppo Ahl El Kahf di arte alternativa gestito da studenti, hanno iniziato a dipingere messaggi di speranza ed esprimere le proprie paure e opinioni politiche affinché tutti potessero vederle.
Iniziarono a collaborare con diverse ONG per dipingere sui muri di Tunisi i ritratti di Mohamed Bouazizi, il giovane che si diede fuoco per protestare contro la corruzione nel suo Paese il 17 dicembre 2010, e di altri martiri della rivoluzione. Il loro lavoro include pittura, graffiti con stencil e collage.
Seguirono altri giovani artisti, come Shoof, Vajo, Elyès Mejri, uno dei membri di Ahl El Kahf, Inkman, Eska-one e MEEN-ONE. E grazie a tutti loro, la Tunisia è ora uno degli hotspot nordafricani per le culture di strada.
Shoof è figlio della medina di Tunisi. Hosni Hertelli – il suo vero nome – usa anche l’alfabeto arabo per rappresentare le diverse influenze culturali nelle società arabe contemporanee.
Per quanto riguarda Oumema, dice che sta ancora “lavorando duramente sulle sue abilità artistiche, esaminando i diversi tipi di vernice spray disponibili a Tunisi”. Ha partecipato ai suoi primi festival di graffiti intorno al 2014 e ha iniziato a lavorare con altri artisti locali, a Tunisi e poi a Sfax.
Ora conduce workshop per i giovani e trae ispirazione da coloro che sono riusciti a raggiungere il riconoscimento internazionale, tra cui l’artista donna con sede a Berlino MadC ed eL Seed, che ha dipinto murales in tutto il mondo, dal Cairo a Londra, tra cui Parigi, le favelas di Rio de Janeiro, gli slum di Città del Capo, Libano, Algeri, Toronto in Canada e nella zona demilitarizzata tra la Corea del Nord e la Corea del Sud.
Dalla rivoluzione tunisina del 2011, lo stesso eL Seed ha iniziato a usare consapevolmente la sua arte come strumento di espressione politica e ha incoraggiato le giovani generazioni tunisine.
Usa il suo lavoro per diffondere messaggi di pace e unità e sottolineare i punti in comune dell’esistenza umana. Le sue lettere arabe si trovano sui muri di tutto il mondo e mirano costantemente a unificare le comunità e cancellare gli stereotipi.
Di recente ha partecipato alla realizzazione di un film, diretto da Narinderpal Singh Chandok, “El Seed Beyond The Calligraphy” (disponibile su Amazon Prime) che ripercorre il suo viaggio da un sobborgo parigino alla sua riconnessione con le sue radici arabe.
Melissa Chemam è una giornalista freelance e scrittrice culturale franco-algerina che vive tra Parigi, Bristol e Marsiglia.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org