Salah Hammouri riflette sull’amore per la sua patria e su cosa significhi lottare a tutti i costi per la libertà
Fonte: english version
Mariam Barghouti – 13 agosto 2022
Immagine di copertina: L’avvocato franco palestinese e difensore dei diritti umani Salah Hammouri (Addameer)
A luglio, l’avvocato e difensore dei diritti umani franco-palestinese, Salah Hammouri, ha scritto una serie di lettere dalla cella n. 4 della prigione militare di Ofer. Hammouri continua a essere trattenuto da marzo senza accusa né processo dalle autorità israeliane.
In una delle sue lettere, Hammouri ha fatto appello al presidente francese Emmanuel Macron affinché intervenga contro la grave ingiustizia inflittagli dai tribunali israeliani. Hammouri, il cui padre è palestinese e la madre è francese, come palestinese a Gerusalemme non è tutelato né protetto.
L’appello al suo presidente, unito alla mancanza di risposta, dimostra il disprezzo di Israele per le autorità francesi.
Dopo la pubblicazione del suo appello urgente a Macron, Hammouri è stato catalogato come prigioniero soggetto alla massima sicurezza. Come misura punitiva, è stato incatenato per mani e piedi mentre viaggiava nel Bosta – un sistema di trasporto progettato dalle autorità israeliane per spezzare mentalmente e fisicamente i detenuti politici – durante il suo trasferimento nella prigione di Hadarim, a nord di Gerusalemme.
Secondo un portavoce della campagna per il rilascio di Hammouri, egli è tenuto in “isolamento collettivo”, termine con il qual e si definisce un gruppo selezionato di detenuti imprigionati insieme e separati dal resto della popolazione carceraria.
Le parole che seguono sono tra le ultime che è stato in grado di scrivere da Ofer. Non sono di Hammouri, il difensore dei diritti umani, o l’avvocato palestinese che ha deciso di sfidare la potenza dell’apparato di sicurezza israeliano mentre il suo stesso governo francese lo ha abbandonato ai lupi.
Sono invece le parole di un giovane, non ancora quarantenne, con l’esperienza di una detenzione illegale e ingiusta. È una prospettiva scritta dall’interno delle mura della prigione, quelle che hanno visto passare attraverso di esse centinaia di migliaia di palestinesi, bambini compresi.
Salah Hammouri
Luglio 2022 – Prigione di Ofer
Fino a quando porterò il numero 1124052?
Fino a quando rimarremo numeri? Oggi porto il numero 1124502. Per 21 anni ho portato il numero 1124502. È il numero con cui i “Servizi penitenziari israeliani” definiscono la mia stessa personalità. È il numero che mi ha seguito sin dalla mia detenzione da bambino, nel 2001.
Per quelli di noi che sono stati arrestati numerose volte, questo numero è diventato una specie di codice a barre. Ci fa sentire che non siamo altro che dei prodotti per le carceri. Prodotti umani destinati al consumo in ogni centro di interrogatorio e in ogni prigione, sia in tempo di guerra che di pace, prima di una “guerra fredda” e dopo una guerra di logoramento, durante Oslo e dopo l’Intifada. L’unica costante in tutto questo tempo è la produzione incessante dei prodotti umani della prigione, senza data di scadenza.
“Con infinita ironia, nel momento in cui entriamo in prigione i nostri sogni iniziano a crescere e ad ampliarsi”. Salah Hammouri dalla prigione di Ofer, luglio 2022
Questa occupazione non ci vede, né ci tratta, come esseri umani con il diritto di vivere come fanno le persone libere. Invece, fa di tutto per soffocare la pseudo vita che noi palestinesi viviamo fuori dalle mura del carcere. Dobbiamo strappare piccoli momenti di vita e di gioia tra ogni detenzione, arrivando in qualche modo a temere la gioia e la stabilità di breve durata nelle nostre vite. Temendo il prossimo shock che ci colpirà, e le delusioni, non riusciamo più a trovare il coraggio di progettare un futuro sempre più lontano. L’ansia e l’instabilità incombono su di noi e su tutti coloro che ci circondano.
Nonostante tutto questo, e con ironia infinita, nel momento in cui entriamo in prigione i nostri sogni iniziano a crescere e ad ampliarsi. Innanzitutto, iniziamo con il rimpiangere ogni momento di felicità e di gioia che non abbiamo sfruttato al meglio mentre vivevamo nel mondo della libertà. Quindi, i nostri sogni iniziano a intersecarsi con il mondo che ci siamo lasciati alle spalle. In pochi istanti, immaginiamo che dopo la liberazione sarà possibile per i nostri sogni ad occhi aperti incontrare il mondo che ci siamo lasciati alle spalle.
Forse l’unica spiegazione per questo fenomeno è che, per noi, il mondo si è fermato nel momento in cui siamo stati detenuti. In quanto tali, costruiamo per noi stessi mondi di immaginazione, una realtà di sogni. Tuttavia, la cosa più dolorosa e difficile è la nostra consapevolezza che, per quanto grandi siano i nostri sogni, la nostra realtà si restringe. I nostri sogni di libertà – donne, amici, famiglia – si scontrano con la nostra amara realtà. Scopriamo così che il limite delle aspirazioni di un detenuto è che la guardia carceraria ci dimentichi per altri cinque minuti prima della chiusura delle 18:00, o che uno di noi ascolti per caso una canzone alla radio che evoca ricordi di bei giorni trascorsi oltre le mura della prigione.
Uno dei posti peggiori in cui un essere umano può essere rinchiuso è la prigione. È un luogo che non assomiglia a nessun’altra parte del mondo. Ci polverizza e appiattisce i nostri sogni, le nostre aspirazioni e le nostre speranze come la frantumazione di un’oliva sul frantoio. Ciò che detesto di più è la condizione dell’attesa, che si ingigantisce all’interno del carcere. In prigione il progressivo logoramento dello spirito rispecchia il modo in cui il riscaldamento globale sta impoverendo la terra.
Ciò che mi passa per la mente in questi giorni è una domanda che mi sta logorando. Se odio la condizione di dover aspettare così tanto – mentre sono a pochi chilometri dalla mia patria, dalla mia libertà e dalla mia città, Gerusalemme – allora come sarebbe l’attesa se dovessi accettare di essere esiliato dalla mia casa?
So che l’amore per una patria è un amore non corrisposto, che porta solo dolore, dolore e perdita. Mi ha derubato degli anni più belli della mia vita e mi ha rubato l’adolescenza e la giovinezza. Mi ha costretto a crescere in fretta, vivendo sempre oltre i miei anni. Eppure amo ancora la mia patria, sapendo che anche se facciamo tutto il possibile per essa, il nostro paese continuerà a chiederci “che altro puoi dare?”
È un’equazione a somma zero nei calcoli della maggior parte delle persone, e lo capisco. Ma per me, una vera vita non è aspettare alla stazione l’arrivo del treno della libertà, ma essere sul treno stesso, a prescindere dal sacrificio.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org