Non importa quanto brutalmente si comporti Israele, non sconfiggerà mai i palestinesi.
Fonte: English version
Di Ahmed Abu Artema – 28 ottobre 2022
Per un gran numero di palestinesi, Udai Tamimi è un modello. È stato ucciso difendendo la sua Patria e la dignità del suo popolo.
L’8 ottobre, Tamimi ha ucciso a colpi di arma da fuoco un soldato israeliano vicino a Shuafat, un campo profughi nell’area di Gerusalemme.
Sebbene ci fossero numerosi altri soldati sulla scena, nessuno è riuscito a catturare o uccidere Tamimi. Dopo essere fuggito, Tamimi è rimasto latitante per 11 giorni.
Durante quel periodo, le forze israeliane hanno assediato Shuafat e condotto ricerche approfondite per cercare di localizzare Tamimi.
Gli abitanti del campo fecero del loro meglio per sventare la caccia all’uomo. Molti giovani si rasarono la testa in modo da assomigliare a Tamimi e confondere i soldati israeliani che lo cercavano.
Tamimi è uscito dalla clandestinità il 19 ottobre in modo altamente drammatico.
Lo ha fatto sparando alle guardie di sicurezza israeliane vicino a Maaleh Adumim, un enorme insediamento in Cisgiordania.
Tamimi è stato immediatamente colpito lui stesso, ma ha continuato a sparare anche mentre giaceva a terra, ferito. Morì poco dopo.
Una volta confermata la sua morte, la stampa israeliana ha pubblicato un video di Tamimi cadere in mezzo a una pioggia di proiettili.
Non è chiaro se l’intenzione alla base della diffusione di queste immagini fosse quella di placare le paure israeliane o di umiliare i palestinesi. Indipendentemente dall’intenzione, la mossa si è rivelata controproducente.
Grazie al video, abbiamo prove evidenti dell’eccezionale coraggio di Tamimi.
Gli ultimi momenti di Tamimi mostrano il martire palestinese che resiste all’invasore israeliano. Un palestinese la cui Patria è stata rubata è stato giustiziato.
Tale coraggio non emerge dal nulla. Deriva da una fede nella giustizia della causa palestinese.
Forza trainante
La storia di Udai Tamimi va inserita in un contesto più ampio.
Negli ultimi mesi, la situazione in Cisgiordania è cambiata notevolmente.
Si è sviluppato un nuovo spirito. Le persone hanno trovato una nuova forza.
Ogni giorno i palestinesi compiono qualche atto di resistenza o protesta contro l’occupazione israeliana.
La forza trainante di questa ondata di resistenza sono i giovani che non hanno preso parte alla Prima o alla Seconda Intifada.
Udai Tamimi aveva appena ventidue anni. Ibrahim al-Nabulsi, ucciso dall’esercito israeliano ad agosto, ne aveva diciannove, era nato nel 2003.
Al-Nabulsi non era ancora nato quando l’Operazione Scudo Difensivo, l’invasione israeliana delle città della Cisgiordania nominalmente sotto il controllo dell’Autorità Palestinese, ebbe luogo nel 2002. Tamimi era troppo giovane per ricordarlo.
Sebbene all’epoca non fossero consapevoli di quegli orrori, sono cresciuti vivendo quotidianamente l’oppressione.
Sono cresciuti tra le continue umiliazioni inflitte ai palestinesi ai posti di blocco militari israeliani.
Sono cresciuti nel contesto segregazionista del muro di Israele in Cisgiordania.
L’anno scorso, Israele ha attaccato i fedeli nella moschea di al-Aqsa, uno dei luoghi più sacri dell’Islam. Quell’atto di profanazione è stato tra i numerosi crimini commessi da Israele a Gerusalemme, una città che sta attivamente colonizzando.
L’indignazione per queste e altre oscenità ha riempito i giovani combattenti della Palestina di un fervore rivoluzionario.
La resistenza in atto in Cisgiordania non sembra essere stata pianificata dai capi delle principali fazioni palestinesi.
Nelle ultime settimane, un gruppo noto come Areen al-Usud (Tana del Leone) ha rivendicato la responsabilità di molti atti di resistenza contro l’esercito israeliano. Con sede a Nablus, questo gruppo ha tra i suoi ranghi membri di tutte le fazioni palestinesi.
Questo rappresenta un nuovo senso di cooperazione tra i giovani palestinesi, una cooperazione che non si basa sulle fazioni tradizionali.
Sfida
Fathi Khazem è un palestinese in fuga dall’esercito israeliano.
I soldati israeliani hanno ucciso due dei suoi figli negli ultimi mesi, hanno demolito la casa della sua famiglia e hanno continuato a inseguirlo. Si è rifiutato di consegnarsi.
Fathi Khazem è un ex agente di sicurezza dell’Autorità Palestinese.
La sua sfida all’occupazione israeliana è la prova che lo spirito rivoluzionario rimane forte tra i palestinesi.
Prima di essere ucciso, Udai Tamimi ha lasciato una lettera scritta a mano che è stata pubblicata su Internet.
“Sono Udai Tamimi, un ricercato del campo profughi di Shuafat”, recita il messaggio scritto di suo pugno. “Il mio assalto contro il posto di blocco di Shuafat è una goccia nel mare in tempesta della lotta. So che prima o poi raggiungerò il martirio. So che non libererò la Palestina con il mio gesto, ma voglio incoraggiare centinaia di giovani a imbracciare le armi dopo di me”.
Ibrahim al-Nabulsi ha registrato un messaggio vocale poco prima della sua morte per mano dei soldati israeliani. Oltre a rinnovare il suo amore alla madre, ha esortato i suoi compagni a non deporre le armi dopo la sua morte.
La scorsa settimana, Israele ha ucciso il combattente di Areen al-Usud Tamer al-Kilani. Aveva scritto un post su Facebook, in cui affermava che “il peggio dell’umanità è una persona che rimane neutrale in una nazione in cui la verità sta lottando contro la menzogna”.
Tali messaggi servono come ultima volontà e testamento di un combattente palestinese. Sono ampiamente diffusi dopo la morte dei loro autori.
I giovani palestinesi traggono forza nella loro resilienza da questi messaggi. La loro autenticità è chiara perché i combattenti che li hanno scritti o registrati hanno affrontato direttamente l’invasore israeliano.
Fino a poco tempo fa era facile disperare della situazione in Cisgiordania. Israele e il suo “coordinamento della sicurezza” con l’Autorità Palestinese avevano ristretto le possibilità di resistere.
Il cambiamento negli ultimi mesi è stato evidente. Sebbene Israele e l’Autorità Palestinese possano riuscire a limitare in qualche modo le azioni intraprese dai combattenti, non scoraggeranno la determinazione dei palestinesi a resistere.
Israele nega la nuova situazione. Ha ignorato la causa principale della resistenza palestinese in Cisgiordania: l’occupazione.
Non importa quante volte Israele possa pensare di aver sconfitto i palestinesi, la resistenza rinascerà sempre.
Ahmed Abu Artema è uno scrittore palestinese, attivista e rifugiato di Ramle.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org