Nel marzo 2022, un gruppo di elefanti selvatici della Namibia è sbarcato negli Emirati Arabi Uniti. L’indagine di New Arab rivela che la vendita serve a simulare un’esperienza di safari africano negli zoo degli Emirati, senza alcun vantaggio per gli animali e per i nativi della Namibia.
Fonte:English version
Andrea Glioti-Ed Carron-Nadine Talaat-John Grobler-Tabitha Sanders-26 settembre 2022
Con una superficie di otto chilometri quadrati, il Sharjah Safari Park negli Emirati Arabi Uniti, aperto di recente, afferma di essere il più grande safari del mondo al di fuori dell’Africa. Con spazio per 50.000 animali di 120 specie provenienti da tutto il continente, promette di “riprodurre le diverse regioni dell’Africa” nel deserto arabo.
Il recinto degli elefanti, chiamato “Valle del Niger”, è grande per gli standard dello zoo, con un’opulenta cascata e una piscina, ma privo di ogni tipo di vegetazione che ci si aspetterebbe di trovare in una savana. Non ci sono recinzioni visibili, ma formazioni rocciose artificiali delimitano i confini del parco.
La “valle del Niger” ospita 13 elefanti africani selvatici, che si raggruppano all’ombra di grandi ombrelloni, la loro unica tregua dal sole cocente e dal caldo fino a 50 gradi Celsius tipico delle estati degli Emirati Arabi Uniti.
Questi elefanti fanno parte di un gruppo più ampio di elefanti selvatici che sono stati esportati dalla Namibia negli Emirati Arabi Uniti nel marzo di quest’anno. Catturati nel loro habitat naturale nel collegio elettorale nordoccidentale di Kamanjab in Namibia all’inizio di settembre 2021, hanno trascorso sei mesi di cattività in quarantena.
Gli elefanti sono stati poi pesantemente sedati prima di essere caricati in container, quindi su un aereo e trasferiti alle loro destinazioni finali: lo Sharjah Safari Park e lo zoo Al-Ain di Abu Dhabi. La prima delle due strutture statali è un’iniziativa dell’Autorità per l’ambiente e le aree protette (EPAA) istituita nel 2017 dal sovrano di Sharjah, lo sceicco Sultan bin Mohammed Al Qasimi. Per quanto riguarda lo zoo di Al-Ain, è stato fondato nel 1968 dal defunto Sheikh Zayed, il fondatore degli Emirati Arabi Uniti.
Si dice che entrambe le strutture facciano parte di più ampi progetti di conservazione della fauna selvatica degli Emirati Arabi Uniti e che l’arrivo degli elefanti selvatici della Namibia faccia presumibilmente parte di questo progetto. In realtà, la vendita serviva principalmente a scopi commerciali, con la copertura della conservazione, e ha violato le linee guida internazionali che scoraggiano il prelievo della fauna selvatica dal loro habitat naturale.
Al momento della pubblicazione, ci sono 13 elefanti confermati nello Sharjah Safari Park e si pensa che da otto a nove elefanti si trovino nello zoo di Al-Ain. Mentre gli elefanti di Sharjah erano esposti al pubblico, quelli di Al-Ain non sono stati visti da The New Arab (TNA) e rimangono chiusi in un grande hangar, che probabilmente verrà aperto solo all’inizio del 2023. Ad agosto, quando The New Arab ha visitato lo zoo di Al-Ain per la seconda volta in pochi mesi, una guida turistica degli Emirati ha fissato a nove il numero di elefanti. Non li aveva mai visti, però, ed era convinto che venissero dallo Zambia.
Il traffico di animali selvatici è considerato il quarto commercio illecito più redditizio al mondo, con un valore stimato di 15 miliardi di dollari all’anno. Tecnicamente, questa non dovrebbe essere una storia di traffico di animali selvatici, ma quella di un governo africano che vende zanne agli zoo degli Emirati. L’esportazione richiama però una storia di traffico di animali selvatici, se si guarda al coinvolgimento di intermediari oscuri, alla violazione delle convenzioni internazionali sulle specie in via di estinzione, al maltrattamento degli elefanti e alla mancanza di benefici a lungo termine per la conservazione degli stessi o per le comunità interessate dalla loro presenza .
Namibia: un modello di conservazione a scopo di lucro
La Namibia è spesso presentata come un paese con eccezionali politiche di gestione nella conservazione della fauna selvatica tanto che dovrebbero essere replicate in tutto il continente africano, ma ha recentemente allentato le regole relative alla caccia e alla vendita di animali selvatici.
Attualmente, la nazione dell’Africa meridionale è una delle principali fautrici dellutilizzo sostenibile della fauna selvatica”. Il modello di conservazione del governo sostiene il commercio di animali selvatici e dei prodotti da essi derivati. La Namibia, insieme ad altri paesi dell’Africa meridionale, è da tempo sostenitrice della legalizzazione del commercio di avorio.
“La fauna selvatica deve avere un valore commerciale per essere protetta. Credono fermamente nella commercializzazione della fauna selvatica”, ha affermato Adam Cruise, un giornalista investigativo ambientale che ha condotto ricerche approfondite sugli elefanti della Namibia.
Il 3 dicembre 2020, il governo namibiano annunciò un’asta per vendere 170 elefanti “problematici”, con offerte da far pervenire entro il 29 gennaio 2021. Fu organizzata con breve preavviso, annunciata solo in una pubblicazione governativa, e si svolse durante il principale periodo di vacanza. Nel bando, il Ministero stabilì i requisiti secondo cui interi gruppi familiari dovevano essere catturati insieme utilizzando professionisti qualificati, seguendo tutte le linee guida internazionali.
“Il vecchio detto che guida l’approccio ufficiale all’agenda di conservazione del Paese è: ‘Se paga, resta’”
Il 15 febbraio 2022, il ministero annunciò ufficialmente che 57 dei 170 elefanti erano stati venduti e che 37 erano già stati pagati e catturati, compresi i 22 destinati agli Emirati Arabi Uniti. I restanti 20 elefanti messi all’asta erano ancora in libertà, in attesa del pagamento completo e del rilascio dei relativi permessi di esportazione. dalla vendita. Ci si aspettava che la vendita avrebbe generato in totale 5,9 milioni di N $ (326.000 USD)
Tuttavia, gli intermediari intascarono la maggior parte dei profitti. Secondo i resoconti dei media, l’allevatore sudafricano Gerrie Odendaal – il cui nome è stato confermato tra gli aggiudicatari dal governo namibiano – pagò 3,3 milioni di dollari namibiani (183.000 USD) per la cattura di 22 pachidermi ma vendette un numero indeterminato di elefanti (due dei quali nacquero durante la quarantena) per 17,17 milioni di N$ (950.000 USD) a un altro commerciante sudafricano, Elske Burger. Procedette quindi a gestire l’esportazione verso gli zoo degli Emirati. Elske Burger ha rifiutato di commentare al momento della pubblicazione.
Secondo quanto riferito, l’intero affare valeva circa N $ 50 milioni (USD 2,76 milioni). Parlando con The New Arab in condizione di anonimato, un altro commerciante di fauna selvatica sudafricano ha descritto la quantità come “fattibile” per quel numero di elefanti.
Burger è stato anche coinvolto nella vendita di elefanti dello Zimbabwe al Dubai Safari Park nel 2018, secondo i dati diffusi dal governo dello Zimbabwe.
Troppi elefanti problematici o un problema con l’acqua?
Secondo i dati ufficiali del governo, a partire dal 2019 la Namibia avrebbe una popolazione di elefanti di 24.000 unità. Tuttavia, gli ambientalisti e gli esperti di fauna selvatica ritengono che il numero reale sia notevolmente inferiore.
In risposta alle domande presentate nel dicembre 2018 dal giornalista namibiano John Grobler, uno degli autori di questa indagine, il vicedirettore per la gestione delle risorse naturali del Ministero dell’ambiente, delle foreste e del turismo (MEFT), Colgar Sikopo, affermò che la popolazione di elefanti della Namibia era cresciuta dal Conteggio del 1995 da 7.000 a 16.000 entro il 2004, e poi 24.000 nel 2019.
Disse che la popolazione “sta crescendo di circa il 3,3% all’anno”. Ma questi numeri non tornano. Una crescita composta del 3,3% per 24 anni, a partire dal totale del 1995, avrebbe prodotto una popolazione di circa 15.000 elefanti.
In realtà, i numeri citati da Sikopo rappresentano una crescita annuale della popolazione incredibilmente alta del 5,3%, vicino al massimo teorico ampiamente considerato per gli elefanti africani del 7%. Gli elefanti in Namibia hanno sperimentato un’invasione umana sempre crescente nel loro habitat e una siccità che accade una volta ogni generazione, non le condizioni ideali di forti piogge e pace dal disturbo umano.
Infatti, nello studio da cui proviene il numero del 7%, la pioggia è citata come uno dei maggiori indicatori di un’elevata crescita della popolazione. La validità dei numeri riportati sulla popolazione namibiana è ulteriormente messa in discussione se si considera che per il periodo dal 1995 al 2004 mostrano una crescita annua del 9,6%.
“Secondo i dati ufficiali del governo a partire dal 2019, la Namibia avrebbe una popolazione di elefanti di 24.000 unità. Tuttavia, gli ambientalisti e gli esperti di fauna selvatica ritengono che il numero reale sia notevolmente inferiore”
Si possono confrontare questi numeri con ciò che è accaduto in Kenya, dove i funzionari si vantano di aver avuto un grande successo nel reprimere il bracconaggio e avere quindi favorito la crescita dei loro elefanti. Il Kenia ha visto un balzo del 21% in sette anni, dal picco del bracconaggio nel 2014 a una popolazione di 36.280 abitanti nel 2021. Ciò rappresenta una crescita del 2,76% su base annua, solo la metà della crescita dichiarata della Namibia.
Inoltre, la Namibia è ben nota per la sua piccola e unica popolazione di quelli che sono considerati elefanti “adattati al deserto” che vagano per i sistemi fluviali effimeri nella regione del Kunene in Namibia, in cui si trova Kamanjab.
Spiegando il ragionamento che ha ispirato la decisione di rimuovere gli elefanti dalla regione di Kamanjab, Romeo Muyunda, Chief Public Relations Officer del MEFT, ha spiegato a The New Arab: “Calcoliamo in termini di capacità di carico dell’area rispetto all’attuale popolazione presente. Il motivo per cui sono state selezionate le aree specifiche, incluso Kamanjab, è perché lì ci sono troppi elefanti”.
Tuttavia, negli ultimi anni gli studi hanno dimostrato che la popolazione di elefanti “adattati al deserto” di questa regione è in forte calo a causa di gravi siccità, caccia e cattiva gestione della conservazione.
Si ritiene che gli elefanti venduti agli Emirati provengano da questa popolazione, anche se si discute se provengano o meno dalla “vera popolazione del deserto”. Dato il piccolo numero di elefanti adattati al deserto sopravvissuti, l’esportazione potrebbe minacciare l’esistenza del gruppo.
Il governo namibiano afferma che la motivazione alla base della vendita dei loro elefanti selvatici è dovuta all’aumento delle pericolose interazioni tra esseri umani e popolazioni di elefanti in tutto il paese, quello che viene definito conflitto uomo-elefante (HEC).
Nello specifico, affermano che nelle quattro aree da cui sono stati prelevati gli elefanti, la siccità ha spinto gli elefanti nelle aree agricole in cerca di acqua, danneggiando infrastrutture e raccolti e rappresentando una minaccia per gli agricoltori locali.
“Con una stima di 180 fattorie di proprietà colpite dagli elefanti, i danni alle infrastrutture potrebbero arrivare a 9 milioni di N$ (498.000 USD) utilizzando una stima prudente di 50.000 N$ per agricoltore all’anno”, ha scritto Gail Thomson, consulente della Camera dell’ambiente della Namibia.
Lo scorso giugno, Gerardo Martinez, responsabile degli elefanti allo Sharjah Safari Park, ha dichiarato al programma televisivo Dubai This Week che gli elefanti stavano causando “molti conflitti nei villaggi in cui vivevano” e che il parco safari degli Emirati era intervenuto per “salvarli”.
Un ulteriore comparazione con il Kenya ha posto interrogativi sulla validità di HEC come fattore motivante alla base della vendita. Il Kenya ha più elefanti e molte più persone in un’area più piccola e, sebbene il paese incontri difficoltà con la gestione della fauna selvatica, non ha fatto ricorso alla rimozione degli elefanti dal territorio. La Namibia, invece, è uno dei paesi meno densamente popolati al mondo. Il Kenya non consente la caccia ai trofei, mentre la Namibia lo fa.
Gli ambientalisti e gli esperti di fauna selvatica hanno anche contestato le affermazioni del governo namibiano sull’aumento di HEC e ritengono che venga utilizzato come copertura per una vendita motivata finanziariamente.
“La realtà è che HEC è una scusa che il governo namibiano usa per giustificare queste traslocazioni”, ha detto Cruise. Ha spiegato che il termine stesso può essere fuorviante: “conflitto” implica che c’è pericolo o minaccia per la vita umana, quando in realtà le interazioni con gli elefanti sono raramente aggressive o pericolose, e il danno è quasi sempre limitato ai raccolti o alle proprietà.
I presunti “punti caldi” HEC sono in realtà aree agricole commerciali che si sono espanse negli ultimi anni, attraversando i corridoi degli elefanti.
In casi come questi, i regolamenti e i protocolli di conservazione della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), l’unico importante trattato internazionale sul commercio di specie selvatiche di cui la Namibia e gli Emirati Arabi Uniti sono entrambi firmatari, affermano che i gruppi di elefanti che causano problemi dovrebbero essere trasferiti all’interno del paese o almeno nella regione dell’Africa meridionale, e che le aree selvagge o le riserve private dovrebbero essere la loro destinazione finale al fine di mantenere gli elefanti il più vicino possibile al loro habitat naturale, nota come conservazione in situ.
“Dato il piccolo numero di elefanti adattati al deserto sopravvissuti, l’esportazione potrebbe minacciare l’esistenza del gruppo”
I trasferimenti all’interno della regione sarebbero stati sufficienti per affrontare l’HEC, infatti gli altri 15 elefanti già catturati furono trasferiti all’interno della Namibia. Nel caso degli elefanti diretti negli Emirati Arabi Uniti, Thomson ha affermato che i trasferimenti locali sarebbero stati la prima scelta del ministero.
“Sebbene non fosse un requisito, avevano una forte preferenza per tenerli nel paese, se ci fossero state molte gare d’appalto”, ha detto, ma l’obbligo di prendere intere mandrie di elefanti aveva ridotto drasticamente il numero di acquirenti in grado di rispettare i termini.
Tuttavia, a The New Arab è stato detto che al ministero erano state fatte diverse offerte per trasferire gli elefanti all’interno della Namibia. Rob Roy Ramey e Laura Macalister Brown, ricercatori statunitensi a capo del progetto Namibian Desert Elephant Conservation, hanno studiato questa popolazione per decenni. Quando il ministero lanciò l’asta, presentarono una proposta per trasferire la popolazione “problematica” di Kamanjab più a ovest, per migliorare il patrimonio genetico della popolazione di Hoarusib. Ma non ebbero alcuna risposta dal ministero.
The New Arab ha anche parlato con una ONG che aveva contattato le autorità namibiane al momento dell’annuncio dell’asta e si era offerta di assistere con la logistica e di ottenere finanziamenti per trasferire gli elefanti nelle aree della Namibia dove la popolazione era diminuita. Una bozza della proposta è stata mostrata anche a The New Arab. Anche queste offerte non furono accettate.
Alla domanda sulle ONG che si erano offerte di trasferire gli elefanti, il responsabile PR del ministero Muyunda ha spiegato che le offerte erano arrivate troppo tardi: “Quando c’è una gara pubblica, ci aspettiamo che le persone facciano offerte riguardanti la gara pubblica… Qualsiasi altra soluzione alternativa non sarà prese in considerazione, fuori gara.” Ha poi chiesto: “Perché hanno atteso fino a quando il governo non ha preso la decisione di mettere all’asta?
Alla fine di luglio The New Arab ha visitato le aree agricole comunali di Kamanjab per parlare con gli agricoltori e altri membri della comunità delle loro esperienze con HEC e per sapere se volevano o meno che gli elefanti venissero rimossi.
Nel corso delle 32 interviste condotte, ci sono stati punti che sono emersi più e più volte: gli agricoltori hanno un problema idrico, ma HEC è solo un fattore piuttosto che la causa principale; non ricevono abbastanza aiuto dal governo; le persone vengono ferite dagli elefanti solo quando si comportano in modo aggressivo nei loro confronti; non vogliono che gli elefanti se ne vadano, per motivi sentimentali ma anche perché la loro presenza attira i turisti.
Gli ultimi dieci anni di siccità sono stati estremamente duri per le persone della regione, tra cui Aaron Ikurua, un contadino di Driehoek Opstal il cui bestiame è morto. Ora è costretto ad allevare solo capre, che bevono meno acqua ma che danno meno guadagno.
Anche gli elefanti hanno dovuto lottare durante gli anni di siccità, attratti da pozze di acqua dolce, come le grandi cisterne di cemento a cielo aperto – conosciute localmente come dighe – in cui gli agricoltori pompano l’acqua. Spesso gli elefanti vengono a bere alle dighe e se ne vanno senza causare alcun danno, anche se questo è comunque un problema in quanto costringe gli agricoltori come Ikurua a consumare più del loro già scarso gasolio: “Il poco diesel che compri per pompare l’acqua per le capre…ecco che arrivano gli elefanti e bevono quell’acqua”.
Le cose poi peggiorano quando gli elefanti hanno con sé dei cuccioli che non sono in grado di scavalcare il muro e bere dalla diga, in quanto spostano il tubo. “, ha detto Michael Nowoteb della fattoria Driehoek Pos Een.
La fattoria di Nowoteb ha un punto d’acqua governativo che era stato danneggiato dagli elefanti la notte prima della visita di The New Arab. Come tutte le altre volte, Michael ha dovuto ripararlo da solo e, secondo quanto riferito, non ha ricevuto alcun aiuto finanziario dal governo: “Non abbiamo ricevuto alcuna assistenza da nessuno. Immagina subire un danno del genere per 20 anni.
Lidia Brummer è comproprietaria di Huab Valley Lodge, dove organizza viaggi di avvistamento della fauna selvatica per i turisti. Gli elefanti sono la loro principale attrazione.
“Se abbiamo punti d’acqua per loro, dove possono bere e rinfrescarsi, dubito che avremo davvero dei conflitti”, ha detto.
“‘Non siamo contro gli elefanti qui, fintanto che abbiamo il sostegno di qualcuno, la conservazione o il governo o qualcuno. Ma siamo da soli.'”
Nonostante i problemi causati dagli elefanti, tutti gli allevatori intervistati da The New Arab – tranne un’eccezione – non volevano vederli rimossi. Volevano invece che il governo facesse di più sul campo per aiutarli.
Non siamo contro gli elefanti qui, fintanto che abbiamo il sostegno di qualcuno, la conservazione o il governo o qualcuno. Ma siamo soli”, ha detto Aaron Ikurua.
La fattoria Ruspoort, gestita dalla famiglia ǁUirab, è l’unico posto in cui The New Arab ha trovato un sentimento completamente anti-elefante. Salonika ǁUiras ha detto che gli elefanti avevano rotto il loro serbatoio dell’acqua alcuni anni fa e che hanno ripetutamente saccheggiato il suo orto. ǁUiras solleva una lamentela non condivisa da altri allevatori: afferma che i loro guardiani di bestiame si rifiutano di stare fuori la notte perché hanno paura degli elefanti, il che significa che poi perdono il bestiame a causa dei predatori.
La paura notturna per gli elefanti è comprensibile; persino Michael Nowoteb, che ha vissuto con gli elefanti per tutta la vita, ha ammesso di trovare “davvero spaventoso” il rumore prodotto dalle grandi creature quando si avvicinano a casa sua dopo il tramonto.
Tuttavia, gli incidenti in cui la gente del posto viene gravemente ferita o uccisa sono estremamente rari e sembrano essere il risultato di persone che agiscono in modo aggressivo e cercano di scacciare gli elefanti. “Se impari a rapportarti con loro, a stare assieme, non vi è nessun problema”, ha detto Adam Bahono, una guida del villaggio Himba locale.
Una parte del denaro ricavato dalla fauna selvatica della Namibia va al Game Products Trust Fund (GPTF), in modo che possa essere speso per aiutare le persone, nelle aree interessate, a convivere con la fauna selvatica. Secondo una dichiarazione del MEFT rilasciata il 15 febbraio di quest’anno, 4,4 milioni di N$ (243.400 USD) da queste vendite di elefanti sono già stati versati nel GPTF.
Tuttavia, molti degli agricoltori che The New Arab ha intervistato, affermano che attualmente non ricevono alcun aiuto dal governo e non hanno mai sentito parlare del GPTF. Alla fine, solo il 10% del totale di 2,76 milioni di dollari pagati per gli elefanti sarebbe tornato al governo namibiano.
Un modo alternativo per le persone della regione di trarre profitto dagli elefanti è attraverso il turismo. Lidia Brummer, dell’Huab Valley Lodge, ha affermato che sarebbe un “giorno molto triste” se gli elefanti dovessero scomparire dalla regione e la cosa avrebbe un grande impatto sul turismo.
Ha anche sottolineato che gli elefanti avevano smesso di entrare nel lodge, con un solo avvistamento di tracce di elefanti in tre mesi. Brummer si riferiva all’invasione umana come al motivo per cui gli elefanti sono diventati più notturni. È probabile che le operazioni di cattura scoraggino ulteriormente la loro comparsa alla luce del giorno.
Aaron Ikurua ha anche parlato di quanto sia importante che gli elefanti rimangano, in modo che i turisti continuino ad arrivare, aggiungendo che “ci piacciono, sono un bellissimo animale, siamo fortunati ad avere elefanti qui in Namibia”.
Gli zoo degli Emirati sono irremovibili sull’importazione di elefanti catturati in natura
Lo Sharjah Safari Park ha aperto ufficialmente i battenti nel febbraio 2022. Tuttavia, i piani e i preparativi per importare elefanti africani selvatici risalgono ad almeno un decennio prima, molto prima che il governo namibiano annunciasse la sua intenzione di mettere all’asta degli esemplari.
Nel maggio 2021, The New Arab aveva parlato con un importante operatore di zoo con sede nel Regno Unito, il quale aveva affermato che molti anni primi a Sharjah aveva avuto una conversazione con un collega degli Emirati in cui gli era stato detto che era in costruzione un hangar molto grande per ospitare elefanti. Il luogo più ovvio per questo sarebbe stato lo Sharjah Safari Park.
L’EPAA di Sharjah iniziò l’espansione da parco di conservazione all’attuale safari nel giugno 2016. Tenendo conto della fase di pianificazione e del fatto che Sharjah nella sua collezione ha solo specie africane, probabilmente hanno dovuto pianificare l’approvvigionamento dei pachidermi tre o quattro anni prima di iniziare la costruzione del complesso degli elefanti.
Alla domanda se gli Emirati Arabi Uniti avessero considerato l’impatto di questa importazione sull’ecosistema namibiano, l’ex CEO di un parco safari degli Emirati ha dichiarato a The New Arab che “le autorità degli Emirati Arabi Uniti avrebbero chiuso un occhio sullo stato della popolazione di elefanti in Namibia, passando la responsabilità di eseguire qualsiasi controllo agli zoo stessi”.
Per quanto riguarda Al-Ain, lo zoo aveva espresso interesse per l’acquisizione di elefanti già nel 2010. Tuttavia, i piani ufficiali per gli elefanti africani risalgono al luglio 2019, quando iniziò la costruzione del progetto di safari sugli elefanti da 93 milioni di AED (25 milioni di USD) dello zoo, che promette un’esperienza “unica nell’area GCC”.
L’inizio della costruzione di strutture per l’alloggiamento di elefanti sia a Sharjah che ad Al-Ain, molto prima che il governo namibiano annunciasse i suoi piani per vendere gli elefanti, suggerisce che la domanda di elefanti africani da parte degli Emirati Arabi Uniti fosse già elevata.
The New Arab ha chiesto una replica a Mona al-Shamsi, capo della CITES presso il ministero dell’ambiente e dell’acqua degli Emirati; Hessa al-Shamsi, direttore del dipartimento delle comunicazioni dell’EPAA a Sharjah; Hana Saif al-Suwaidi, presidente dell’EPAA; l’Ufficio per i media del governo di Sharjah; Ghanim Mubarak al-Hajeri, direttore generale dello zoo di Al Ain; Jane Budd, capo dei servizi veterinari dell’EPAA; Mariam Bint Mohammad al-Mheiri, ministro dei cambiamenti climatici e dell’ambiente; e Daniel O’Loughlin, il capo dell’educazione allo Sharjah Safari.
Poiché The New Arab è bandito negli Emirati Arabi Uniti, ha atteso la loro replica tramite giornalisti indipendenti che lavorano a questa indagine. Tuttavia, nessuna delle parti interessate era disponibile a commentare al momento della pubblicazione.
Il proprietario di Maguari-One Zoo, la società incaricata di progettare lo Sharjah Safari Park, è il cittadino olandese Koen Brouwer, che è anche l’ex capo dell’Associazione europea di zoo e acquari (EAZA). Il progetto di Koen Brouwer includeva il recinto degli elefanti “Niger Valley” nel parco. Anch’egli non era disponibile a commentare al momento della pubblicazione.
Lo zoo di Al Ain è accreditato da EAZA, mentre lo Sharjah Safari Park sperava di diventarne membro.
Secondo diverse fonti Paul Vercammen, un altro curatore dello zoo olandese, fu coinvolto nel processo decisionale. È direttore delle operazioni presso il Breeding Center for Endangered Arabian Wildlife (BCEAW) gestito dall’EPAA. Vercammen è anche un membro del consiglio dell’EAZA. Non era disponibile a commentare il suo presunto ruolo al momento della pubblicazione.
Il direttore delle comunicazioni di EAZA, David Williams-Mitchell, ha dichiarato a The New Arab che l’associazione “è composta da istituzioni, non individui, e non abbiamo alcun mandato per indagare sulle azioni delle persone che lavorano per i nostri membri, a meno che le loro azioni non siano chiaramente intraprese per conto di quel membro”.
Durante la pianificazione dell’acquisizione di elefanti africani, i parchi safari degli Emirati hanno ignorato gli avvertimenti delle associazioni di zoo consolidate come EAZA e le hanno messe da parte nel processo decisionale.
“Per i governanti degli Emirati, il “tema” africano volto ai turisti dei loro parchi naturali, apparentemente contava più del successo dei programmi di riproduzione. E per questo, gli zoo degli Emirati erano disposti a pagare un prezzo elevato”
Arne Lawrenz, il coordinatore del Programma ex-situ (EEP) dell’EAZA per gli elefanti, ha dichiarato a The New Arab che, intorno al 2019, era stato avvicinato da Mark Craig, l’ex direttore delle scienze della vita dello zoo di Al-Ain, e che aveva reso “assolutamente chiaro che non ci sono importazioni [dall’Africa] con un programma di riproduzione”. Lawrenz ha spiegato che EAZA aveva importato elefanti africani in passato, ma i programmi di riproduzione non avevano avuto successo. Mark Craig non era disponibile a commentare al momento della pubblicazione.
A differenza dei pachidermi africani, gli elefanti asiatici si erano comportati molto bene nelle strutture dell’EAZA, secondo il coordinatore dell’EEP, al punto che dovettero interrompere la riproduzione per evitare la sovrappopolazione. Lawrenz propose informalmente a Craig e Vercammen il trasferimento di elefanti asiatici negli zoo degli Emirati, ma gli fu detto che volevano avere solo africani.
Per i governanti degli Emirati, il “tema” africano volto ai turisti dei loro parchi naturali, apparentemente contava più del successo dei programmi di riproduzione. E per questo, gli zoo degli Emirati erano disposti a pagare un prezzo elevato. Lawrenz ha descritto la “filosofia” degli zoo degli Emirati come “Ho i soldi, voglio averli. Non mi interessa se funziona. Il risultato fu un accordo redditizio finalizzato tramite intermediari piuttosto che uno scambio non commerciale tra zoo.
Fu anche chiaro fin dall’inizio che gli zoo degli Emirati erano interessati ad ottenere famiglie numerose di elefanti il prima possibile ed era improbabile che le ottenessero con un programma di allevamento.
“Hanno chiesto famiglie numerose. E al momento non abbiamo famiglie numerose all’interno del programma di allevamento. Quindi abbiamo detto che abbiamo alcune femmine anziane, e che potremmo avere alcuni gruppi di scapoli disponibili. Ma ci vuole tempo, […] devi […] entrare in una lista d’attesa… Ma loro volevano solo degli elefanti e avevano programmato tutto in anticipo”, ha detto Lawrenz. Si è lamentato del fatto che lo zoo di Al-Ain fosse stato sfuggente nel periodo precedente all’importazione e ha detto di averlo appreso come un fatto compiuto.
EAZA non ha accettato di condividere con The New Arab copie delle due denunce interne presentate dal dottor Lawrenz in merito allo zoo di Al-Ain. Dopo mesi di avanti e indietro con i funzionari dell’EAZA, durante i quali The New Arab ha continuato a condividere informazioni e mettere in discussione il ruolo dei membri dell’associazione europea in questa vendita, l’EAZA ha deciso di cancellare l’adesione dello zoo di Al-Ain il 15 settembre.
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La sua dichiarazione affermava che l’importazione degli elefanti namibiani implicava “violazioni multiple” delle regole EAZA. Ha inoltre citato la mancanza di trasparenza e la decisione di procedere con l’importazione nonostante l’opposizione dell’EAZA come motivi per porre fine all’adesione allo zoo degli Emirati.
L’adesione sarà ufficialmente terminata entro la fine di quest’anno, ma la struttura di Al-Ain ha il diritto di presentare ricorso. Ulteriori misure contro i membri dell’EAZA potrebbero essere annunciate nella riunione annuale dell’associazione prevista in autunno.
In violazione dei trattati internazionali
Nell’agosto del 2019, 184 membri della CITES votarono una risoluzione per porre fine all’esportazione di elefanti africani vivi. La Namibia votò contro la risoluzione, che venne comunque approvata con una maggioranza di due terzi. Un anno dopo, con sorpresa di molti, il MEFT della Namibia annunciò i suoi piani per catturare e mettere all’asta 170 elefanti selvatici.
Questo non era particolarmente strano per la Namibia: in precedenza aveva venduto elefanti selvatici al Messico e a Cuba. Lo Zimbabwe guida l’agenda a favore del commercio della regione con l’esportazione di oltre 140 elefanti in cattività in Cina per un periodo di sette anni. Tuttavia, questi scambi sono stati effettuati prima della decisione del 2019, secondo cui queste transazioni non erano e non potevano essere nel migliore interesse degli animali.
Tutte le specie coperte dalla CITES sono elencate in tre appendici corrispondenti al livello di protezione necessario, con l’Appendice I che comprende le specie più a rischio. A causa delle dimensioni maggiori e della stabilità della popolazione, gli elefanti della Namibia sono elencati nell’Appendice II, il che significa che sono “non necessariamente minacciati di estinzione, ma il cui commercio deve essere controllato per evitare un utilizzo incompatibile con la loro sopravvivenza”. Nonostante la minaccia di estinzione affrontata dagli elefanti adattati al deserto della Namibia, non viene fatta alcuna distinzione ufficiale.
L’Appendice II consente il commercio di animali selvatici, ma l’emendamento approvato nel 2019 vieta esplicitamente l’esportazione di elefanti da Namibia, Botswana, Zimbabwe e Sudafrica verso qualsiasi paese in cui gli elefanti non sono presenti in natura, tranne nel caso in cui vi sia un vantaggio conservativo esplicito.
“Mentre tutte le parti coinvolte affermano che il commercio era legale, e fatto pensando al benessere degli elefanti, le linee guida internazionali sono state chiaramente violate e le parti coinvolte ne erano probabilmente consapevoli”.
Le popolazioni di elefanti non sono presenti negli Emirati Arabi Uniti e, in questi termini, sarebbe estremamente difficile giustificare che l’esportazione di elefanti selvatici in cattività negli zoo fornirebbe un vantaggio per la conservazione.
Per aggirare questi regolamenti, le parti coinvolte hanno sfruttato una scappatoia, aggiornando gli elefanti dall’Appendice II all’Appendice I, una mossa consentita dato che l’Appendice I dovrebbe offrire agli elefanti maggiori protezioni.
L’Appendice I vieta il commercio delle specie elencate per scopi commerciali. Tuttavia, in una questione molto controversa all’interno delle politiche della convenzione, gli zoo e i parchi safari sono considerati “principalmente” siti non commerciali e la transazione non è pertanto vietata. Questa è considerata una delle più grandi lacune della CITES, che non ha una buona reputazione tra gli ambientalisti e che ha suscitato critiche diffuse.
Allo Sharjah Safari Park, i biglietti Gold, che includono un veicolo di lusso e una visita guidata privata, costano AED 275 (USD 75). Lo zoo di Al Ain offre un’esperienza ancora più redditizia; un’esperienza Safari SUV costa 1.050 AED (286 USD). Nei quattro mesi successivi alla sua apertura, lo Sharjah Safari Park aveva già attirato 35.000 visitatori.
Inoltre, ai sensi delle normative CITES, prima che qualsiasi commercio possa essere effettuato, sia i paesi esportatori che quelli importatori devono produrre un risultato positivo, una conclusione da parte dell’autorità scientifica del paese che il commercio proposto non avrà un impatto negativo sulla sopravvivenza della specie.
Nel caso dei 22 elefanti selvatici, non sono stati resi pubblici risultati di non detrimento né dalla Namibia né dagli Emirati Arabi Uniti, poiché ciò avrebbe certamente innescato sfide scientifiche sulle conclusioni raggiunte.
Diversi gruppi per il benessere e la conservazione degli animali hanno chiesto in modo indipendente pareri legali in merito al fatto che la vendita di elefanti selvatici fosse illegale ai sensi delle disposizioni CITES, che sono vincolanti per gli Stati membri.
The New Arab ha ottenuto una copia di un parere presentato da Cullinan & Associates, uno studio legale ambientale, per conto di EMS Foundation, un gruppo sudafricano per il benessere degli animali. Gli avvocati sono giunti alla conclusione che, dato che gli elefanti provenivano probabilmente dalla popolazione adattata al deserto, sia la Namibia che gli Emirati Arabi Uniti “non potevano ragionevolmente essere convinti che l’esportazione proposta di un numero così elevato di animali non sarebbe stata dannosa per la sopravvivenza della specie”.
Il parere legale concludeva quindi: “Non crediamo che sarebbe lecito per l’autorità di gestione della CITES della Namibia rilasciare un permesso di esportazione ai sensi dell’Appendice I o dell’Appendice II della CITES. Allo stesso modo, non crediamo che sarebbe lecito per un paese al di fuori della gamma di stati per Loxodonta africana [vale a dire elefanti africani] di rilasciare un permesso di importazione”.
Un altro parere legale presentato alla CITES a marzo conclude che “qualsiasi esportazione precedente o futura di elefanti vivi catturati in natura dalla Namibia verso una destinazione al di fuori dell’areale naturale della specie… non è conforme alle disposizioni della CITES”.
In risposta a questa indagine, il portavoce della CITES David Whitbourn ha affermato che “il comitato permanente [CITES] ha esaminato la questione e non ha ritenuto che vi fossero prove sufficienti di non conformità… per prendere provvedimenti”.
La 19a riunione della Conferenza delle parti (CoP) della CITES è prevista per novembre a Panama City e sono all’ordine del giorno le norme che disciplinano il commercio di elefanti selvatici.
Mentre tutte le parti coinvolte affermano che il commercio era legale e fatto pensando al benessere degli elefanti, le linee guida internazionali sono state chiaramente violate e le parti coinvolte ne erano probabilmente consapevoli
“Se l’intera transazione era apparentemente legale come affermano la Namibia e gli Emirati Arabi Uniti, allora perché l’intera faccenda è stata condotta clandestinamente? È stata effettuata sotto questa nuvola di segretezza… chiaramente è stato fatto qualcosa che sapevano non essere del tutto giusto”, ha detto Cruise, giornalista investigativo ambientale.
“‘Se l’intera transazione era apparentemente legale come affermano la Namibia e gli Emirati Arabi Uniti, allora perché l’intera faccenda è stata condotta clandestinamente?'”
Dividere le famiglie e far morire i cuccioli?
Nella gara d’appalto originale del ministero della Namibia, si specificava che gli aggiudicatari avrebbero dovuto catturare “un’intera mandria in base alle dimensioni del lotto e non lasciare indietro neonati/giovani”. I funzionari governativi e gli ambientalisti favorevoli al commercio pongono grande enfasi su questo requisito come indicatore dell’importanza del benessere degli animali durante il processo.
“Quel requisito era etico. Il ministero non voleva che i piccoli elefanti venissero presi e spediti agli zoo, volevano che intere mandrie venissero prese in una volta sola”, ha detto Thomson, consulente del governo namibiano.
Thomson ha affermato che la probabilità che un membro di un nucleo familiare venga lasciato indietro era “molto molto bassa” poiché gli elefanti di un branco tendono a raggrupparsi quando minacciati.
Cruise, tuttavia, ha contestato questo e ha spiegato che anche se gli elefanti si raggruppano, “c’è sempre una buona possibilità che ne abbiano dimenticato alcuni… che ne abbiano lasciati alcuni”.
Secondo quanto riferito, almeno un membro della mandria fu lasciato indietro. Il proprietario di una fattoria, vicino a dove il gruppo venne catturato, ha detto a The New Arab che un giovane elefante era stato lasciato lì da solo perché non poteva entrare nel container di trasporto. Non ci sono notizie sulle condizioni o sul benessere di questo elefante abbandonato
Gerrie Odendaal, in un articolo scritto da Gail Thomson, parlava di un giovane elefante nel gruppo che “sembra essere un orfano”, poiché “non si associa strettamente a nessuna delle femmine adulte”. Suppone che questo debba significare che sua madre era stata “uccisa qualche tempo” prima della cattura. Tuttavia, non fornisce alcuna ragione per cui è giunto a questa conclusione, se non di aver perso la madre nell’operazione di cattura, separandola dal suo piccolo. Ciò avrebbe violato le regole della gara.
Rudie Van Vuuren, un ambientalista che ha trasferito gli altri 15 elefanti messi all’asta in Namibia, ha spiegato a The New Arab che quando aveva catturato i suoi elefanti, la sua squadra aveva fatto un sacco di lavoro di esplorazione per determinare i gruppi familiari.
Una volta catturati gli elefanti, avevano prelevato il sangue da ciascuno per eseguire il test del DNA e determinare i rapporti familiari. Van Vuuren ha detto che le analisi del sangue erano state consegnate al MEFT. Tuttavia, parlando con The New Arab, Muyunda del MEFT non riusciva a ricordare l’esistenza di alcuna registrazione del DNA.
Quello che si sa è che il gruppo di 22 elefanti diretti negli Emirati Arabi Uniti è stato catturato a Kamanjab e portato su camion durante un viaggio notturno di otto ore alla struttura di quarantena di Odendaal. Da lì, il numero di elefanti trasportati diventa difficile da confermare.
Il New Arab ha sentito da più fonti su ciò che è accaduto ai cuccioli nati nella struttura di Odendaal: diverse fonti ritengono che siano morti dopo essere stati sottoposti a potenti sedativi durante il trasporto, o che siano stati separati dalle loro madri durante il trasferimento e poi rifiutati al momento del ricongiungimento.
Se fossero nati in cattività, Cruise ritiene che sarebbe stato estremamente irresponsabile trasportarli in così giovane età e che le possibilità che morissero sarebbero state “quasi certe”.
Muyunda, quando gli è stato chiesto di questi cuccioli, ha potuto solo confermare che “nessuno è stato lasciato indietro”.
Se i cuccioli o le femmine gravide fossero trasportati in aereo, molto probabilmente ciò sarebbe stato in violazione delle regole di trasporto CITES: le linee guida del consiglio per i vettori affermano che “gli animali gravidi o gli animali che dipendono ancora dalla madre” non sono idonei a volare.
Come spesso accade però, la normativa CITES prevede delle “eccezioni”, anche per le femmine di specie che sono “gravide per la maggior parte della loro vita e non è quindi praticabile evitare di spedirle quando sono in questa condizione”. Questo potrebbe essere sfruttato come una scappatoia, dato che il periodo di gestazione degli elefanti africani dura 22 mesi e di solito procreano ogni quattro anni.
Le linee guida CITES per il trasporto non aereo, che si applicherebbero agli elefanti catturati da Odendaal e trasferiti nel suo paddock, sono però più rigorose. “Una femmina incinta per la quale è già trascorso il 90% o più del periodo di gestazione previsto” non è considerata idonea al trasporto.
La CITES è anche nettamente contraria alla sedazione, i cui “effetti collaterali non sono ancora del tutto noti e, inoltre, gli animali che si trovano in uno stato letargico sono molto vulnerabili alle lesioni se si verifica un movimento violento dell’aereo, della nave, del camion o del treno”.
Sono consentite eccezioni, ma “un veterinario qualificato dovrebbe normalmente accompagnare l’animale”. Né le autorità della Namibia né quelle degli Emirati hanno fornito alcuna prova sul fatto che un veterinario avesse accompagnato gli elefanti.
In un’intervista con Gail Thomson, Odendaal ha affermato di essere stato in “costante contatto” con i veterinari mentre gli elefanti erano “sotto la sua cura”. Tuttavia non si fa menzione di quando siano terminate le sue cure. The New Arab ha tentato di contattare sia Odendaal che il veterinario che secondo quanto riferito era stato presente durante la cattura, per verificare se un veterinario avesse accompagnato gli animali durante il trasporto negli Emirati Arabi Uniti, ma non ha ricevuto risposta.
Il portavoce della CITES David Whitbourn non ha risposto alle domande sulla potenziale violazione delle suddette linee guida sui trasporti e ha rinviato le discussioni sul commercio di elefanti alla riunione della CoP prevista per novembre.
“‘Rinchiudere un elefante in qualsiasi cosa al di là del suo raggio d’azione naturale è totale crudeltà'”
Necessaria un’azione internazionale
Quando The New Arab ha visitato lo zoo di Al Ain alla fine di agosto, la struttura aveva pochissimi visitatori. Sotto il caldo torrido lo zoo aveva assunto l’aspetto di un deserto, ricoperto di colline sabbiose. Ci sono pozzi che vengono riempiti d’acqua ogni mattina, ma nel tardo pomeriggio sembravano essersi prosciugati.
Guidando nel SUV con aria condizionata, fermandosi a dare da mangiare carote a struzzi e giraffe, gli animali – antilopi, zebre, rinoceronti e leoni – sembravano ansimare, per poi riunirsi al riparo dal sole nelle zone ombrose. Una volta che saranno posti in mostra, queste sono le condizioni che incontreranno gli elefanti selvatici della Namibia.
“Racchiudere un elefante in qualsiasi cosa al di fuori della sua portata naturale è totale crudeltà, soprattutto se è cresciuto allo stato brado”, ha detto Cruise.
Uno degli elementi più preoccupanti di questo accordo è che indica una crescente domanda di animali selvatici negli Emirati Arabi Uniti, prelevandoli dal loro habitat naturale e tenendoli in cattività, non per la conservazione come affermano, ma per il piacere personale e pubblico e per una sorta di status. Il solo Sharjah Safari Park può ospitare fino a 50.000 animali africani.
Questo accordo è probabilmente uno dei tanti precedenti e, a meno che non venga affrontata l’inadeguatezza delle normative internazionali e dei meccanismi di supervisione, è probabile che ce ne siano molti altri in arrivo.
La decisione dell’EAZA di porre fine all’appartenenza allo zoo di Al-Ain è stata un passo nella giusta direzione, ma la strada da percorrere è ancora irta di scappatoie e istituzioni complici. I riflettori internazionali sono ora puntati sulla CITES, per far sì che adotti misure più rigorose.
A questa inchiesta ha contribuito Matteo Mazzoleni.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org