Sì, Israele è uno Stato Razzista

Ecco i motivi per cui Pramila Jayapal aveva ragione nel dire che Israele è uno Stato Razzista.

Fonte: English version
Di Jonathan Ofir – 20 luglio 2023

Immagine di copertina: Un bambino palestinese siede su un cubo/barriera di cemento che blocca una strada nel centro della città di Hebron, in Cisgiordania, che ai palestinesi è impedito di utilizzare mentre i coloni israeliani illegali hanno libertà di movimento sotto la protezione dei militari. (Foto: Wikimedia/Austin 202)

Turbolenze politiche hanno recentemente travolto il Congresso degli Stati Uniti. Lo scorso fine settimana, la Rappresentante dello Stato di Washington Pramila Jayapal ha definito Israele uno “Stato Razzista”. Anche se si è sentita obbligata a ritrattare la dichiarazione, la Camera dei Rappresentanti si è affrettata ad approvare una Risoluzione reazionaria in cui affermava che Israele “non è uno Stato Razzista o di Apartheid”. Quella Risoluzione è passata quasi all’unanimità, con 412 voti contro 9. La stessa Jayapal ha votato a favore.

Quindi, mentre rimane vietato affermare l’ovvio a Washington D.C., permettetemi di affermarlo chiaramente: sì, Israele è uno Stato Razzista.

La Risoluzione approvata frettolosamente va contro la conclusione dell’intera comunità dei diritti umani, che ha documentato come Israele pratichi l’Apartheid. L’accusa di Apartheid non si basa su un singolo problema: risale alla fondazione dello Stato. Come osserva in modo evidente Amnesty International nel suo Rapporto:

“Nel corso della creazione di Israele come Stato Ebraico nel 1948, Israele espulse centinaia di migliaia di palestinesi e distrusse centinaia di villaggi palestinesi, in quella che equivaleva a una Pulizia Etnica. Da allora, i governi che si sono succeduti hanno elaborato leggi e politiche per garantire la continua frammentazione della popolazione palestinese. I palestinesi sono confinati in enclavi in ​​Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza, e nelle comunità di rifugiati, dove sono soggetti a diversi regimi giuridici e amministrativi. Ciò ha avuto l’effetto di minare i legami familiari, sociali e politici tra le comunità palestinesi e di sopprimere il persistente dissenso contro il sistema di Apartheid; aiuta anche a massimizzare il controllo ebraico israeliano sulla terra e a mantenere una maggioranza demografica ebraica”.

Come dice l’estratto, il Razzismo dello Stato israeliano è sancito dal suo ordinamento giuridico. Israele ha oltre 60 leggi che discriminano i palestinesi con cittadinanza israeliana, il che significa che gli ebrei di qualsiasi parte del mondo possono ottenere automaticamente la cittadinanza israeliana semplicemente sulla base della loro religione, mentre ai palestinesi è legalmente vietato il ritorno alle loro case da cui sono stati ripuliti etnicamente. Nel 2018 Israele ha sancito questa pratica razzista di estendere i diritti esclusivi e superiori basati sull’etnia con la quasi costituzionale Legge dello “Stato-Nazione”, che afferma che gli ebrei hanno un “diritto esclusivo all’autodeterminazione nazionale” in Israele. Cosa significa in pratica? Quando la celebrità israeliana Rotem Sela ha suggerito sui social media che Israele è lo “Stato di tutti i suoi cittadini”, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu l’ha corretta, affermando: “Israele non è uno Stato di tutti i suoi cittadini, secondo la Legge dello Stato-Nazione che abbiamo approvato, Israele è lo Stato-Nazione del popolo ebraico, e solo del popolo ebraico”.

Cos’altro hanno bisogno di sentire i rappresentanti a Washington?

Il voto è arrivato giusto in tempo per il discorso del Presidente israeliano Isaac Herzog alla sessione congiunta del Congresso, dove, ovviamente, non ha mai menzionato l’Apartheid e ha parlato solo dei legami indissolubili e dei valori condivisi.

La Rappresentante dello Stato del Michigan Rashida Tlaib, che è stata uno dei pochissimi democratici progressisti che hanno boicottato il discorso di Herzog, lo ha fatto denunciando l’Apartheid di Israele. Nel suo tweet che lo annunciava lunedì sera, ha allegato una bella e semplice foto di lei davanti al palazzo del Congresso con un cartello che diceva “BOYCOTT APARTHEID”. Nel suo testo, ha scritto:

“In solidarietà con il popolo palestinese e tutti coloro che sono stati danneggiati dal governo di Apartheid israeliano, boicotterò il discorso congiunto del Presidente Herzog al Congresso. Esorto tutti i membri del Congresso che difendono i diritti umani per tutti a unirsi a me. #BoycottApartheid”. (https://twitter.com/ reprashida/status/ 1681070624607813632?s=61&t= gJW-V2QRmLR6Z5JH9Mf3gA)

Così diventa chiaro che il voto al Congresso è stato un tentativo di respingere l’intero corpus di lavoro che le organizzazioni per i diritti umani hanno raccolto documentando il sistema di Apartheid di Israele. Questo controllo recentemente include non solo le organizzazioni palestinesi per i diritti umani come Al Haq e Al Mezan, che sono state le prime a documentare l’Apartheid israeliano, ma anche l’israeliana B’tselem e le principali organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch e Amnesty International, che si sono tutte trovate a concordare su questo negli ultimi due anni. Come dice senza mezzi termini B’tselem, si tratta di un singolare “regime di supremazia ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo: QUESTO È APARTHEID”.

Questi rapporti sono impossibili da ignorare e hanno iniziato a risuonare tra gli americani che possono sentire il messaggio al di là dell’oltraggiosa dissonanza dell’indignazione delle loro istituzioni. Un sondaggio del 2021 tra gli ebrei americani ha rilevato che il 25% vede Israele come uno Stato di Apartheid. E tra quelli sotto i quarant’anni la percentuale sale al 38%. Questo è solo tra gli ebrei, che sono quelli che generalmente prestano maggiore attenzione a ciò che sta accadendo in Israele rispetto alla popolazione in generale.

È chiaro che è in atto un passaggio generazionale, e Herzog si è riferito di sfuggita a questa generazione più giovane durante il suo discorso, ma vale la pena notare le sue parole:

“Alla fine, Israele e gli Stati Uniti si schierano e, di fatto, hanno sempre difeso gli stessi valori. Le nostre due nazioni sono entrambe società evolute, che affermano la vita, che rappresentano la libertà, l’uguaglianza e la libertà. In fondo, entrambi i nostri popoli cercano di riparare le crepe nel nostro mondo. Detto questo, sono ben consapevole che il nostro mondo sta cambiando. Una nuova generazione di israeliani e americani sta assumendo ruoli di dirigenza. Una generazione che non era al corrente delle difficoltà degli anni della fondazione di Israele. Una generazione meno impegnata nelle radici che uniscono i nostri popoli. Una generazione che, forse, dà per scontato il legame USA-Israele. Eppure, in questo momento scelgo l’ottimismo. Perché per me è chiaro che il passaggio generazionale non riflette il cambiamento dei valori. Né indica cambiamenti nei nostri interessi. Quando gli Stati Uniti sono forti, Israele è più forte. E quando Israele è forte, gli Stati Uniti sono più sicuri”.

La lobby israeliana si sta impegnando molto per controllare e arginare questo movimento, ma le sue risposte istintive, come quella della ridicola recente Risoluzione della Camera, servono solo a mostrare la loro disperazione.

Jonathan Ofir è un direttore d’orchestra, musicista, scrittore e blogger israelo-danese, che scrive regolarmente per Mondoweiss.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org