Molte vittime a Gaza sono rimaste sepolte sotto le macerie. Sono morte lentamente e in silenzio

Centinaia di migliaia, tra cui neonati, anziani, disabili e malati, fuggono per salvarsi la vita a causa degli attacchi dell’IDF, ma nessun posto nella Striscia di Gaza è veramente sicuro. Per i sopravvissuti, è evidente che se le minacce di Israele si concretizzeranno pienamente, molti non avranno un posto dove tornare.

Fonte: English version

Di Amira Hass – 23 ottobre 2023

Immagine di copertina: La moschea Yassin distrutta dopo essere stata colpita da un attacco aereo israeliano nel campo profughi di Shati a Gaza City, lunedì 9 ottobre 2023. Credito fotografico: Adel Hana /AP

Nelle prime ore del mattino di sabato, poche ore dopo il rilascio di Judith e Natalie Raanan, e poche ore prima dell’apertura del valico di Rafah per lasciare entrare una goccia nel necessario mare di aiuti umanitari, i bombardamenti israeliani sono riusciti a uccidere circa 60 palestinesi in tutta la Striscia di Gaza, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa palestinese Sama.

Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, il numero delle persone uccise nei bombardamenti israeliani ha già superato le 4.380 unità, tra cui 1.756 bambini e 967 donne, a partire da sabato sera. Più di un migliaio di persone sono scomparse: la maggior parte sono quelle che le squadre di soccorso non sono riuscite a estrarre da sotto le macerie e rimangono sepolte. Alcuni sono stati uccisi sul colpo, mentre altri sono morti lentamente. Altri stanno morendo mentre scrivo.

Una veduta aerea mostra gli edifici distrutti nella città di al-Zahra a sud di Gaza City il 20 ottobre 2023. Credito fotografico: Belal Sabbagh / AFP

Tra le persone uccise quella mattina ce ne sono sette a Rafah, come riportato da un giornalista inglese di al-Jazeera. La soffocante e costante pressione, che angoscia dal 7 ottobre, non ha fatto altro che intensificarsi. Molti dei miei amici e conoscenti vivono a Rafah, o sono fuggiti lì dopo che gli avvertimenti e i bombardamenti israeliani li hanno costretti a lasciare le loro case a Gaza e nei campi profughi di Shati e Jabaliya.

Da qualche giorno è difficile contattarli al telefono. O la rete è stata danneggiata oppure è intasata. Lascio messaggi WhatsApp ogni giorno, che di solito raccolgono un solo segno di spunta, il che significa che non vengono letti perché non c’è Internet. Anche i messaggi su Facebook Messenger sono rimasti senza risposta.

In realtà non sono veri e propri messaggi. Scrivo solo il nome dell’amico, oppure scrivo habibi o habibti, o dove sei. Per fargli sapere che sto aspettando loro notizie. Ogni singolo segno di spunta o mancata risposta è un altro macigno nel cuore. Tra le persone a cui ho scritto c’è una madre e sua figlia della famiglia a-Samouni, sopravvissute alla guerra del 2009. Al tempo 29 membri della loro familia allargata furono uccisi, di cui 21 nel bombardamento di una struttura in cui i soldati avevano raggruppato un centinaio di persone, dopo aver ordinato loro di lasciare le proprie case. Non mi rispondono neanche loro.

Una donna siede tra le macerie di un edificio distrutto da un bombardamento israeliano a Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza, il 21 ottobre 2023. Credito fotografico: SAID KHATIB – AFP

Secondo il Ministero della Salute di Gaza, nell’attuale guerra, al 18 ottobre, 79 famiglie hanno perso 10 o più membri. 85 famiglie hanno perso da sei a nove parenti e 320 famiglie hanno perso da due a cinque componenti ciascuna. Il ricercatore sul campo di B’tselem a Gaza, Ulfat al-Kurd, ha perso 15 familiari in un bombardamento. Il più anziano una donna di 65 anni, il più giovane un maschietto di due anni.

Uno degli obiettivi dei bombardamenti israeliani di giovedì è stato il complesso della Chiesa greco-ortodossa nel quartiere Zeitun di Gaza. Come in ogni guerra, anche questa volta, la chiesa è servita da rifugio per centinaia di persone sfollate: cristiani e musulmani. In quel bombardamento morirono 18 persone, musulmani e cristiani, tra cui quattro parenti di miei amici, che si erano trasferiti a Ramallah 10 anni fa.

Alle 10:30 di domenica mattina, la mia amica Salma ha risposto su WhatsApp. Che sollievo. “Buongiorno”, ha scritto, per abitudine, e ha confermato: “È stata una lunga notte di bombardamenti, difficile da descrivere”. Una settimana fa è fuggita da Gaza con il figlio e i nipoti a casa di sua sorella a Rafah. Le ho scritto: Spero che tu possa dormire adesso, perché mi hanno appena riferito che il valico di Rafah sarà aperto per lasciare passare 20 camion con aiuti umanitari, e sicuramente non bombarderanno in quel periodo, ma lei ha risposto: “Amira, la mia casa a Gaza non c’è più”. Da quando?, ho chiesto. “Ora, hanno bombardato tutto il nostro complesso abitativo”. L’unica cosa che ho potuto scriverle è quello che continuo a scrivere e dire: “Non ho parole”.

Palestinesi evacuano una vittima a seguito di un attacco aereo israeliano su Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza, il 17 ottobre 2023, nel mezzo delle battaglie in corso tra Israele e il gruppo palestinese Hamas. Credito fotografico: MOHAMMED ABED – AFP

So per certo che cinque miei amici e conoscenti hanno perso la casa sotto i bombardamenti israeliani. Due famiglie hanno perso la casa nei primi due giorni di bombardamenti. Immagino che anche molte altre persone che conosco e che non sono riuscita a contattare abbiano perso la casa. A Beit Hanoun, a Beit Lahia, a Jabalya. Non so dove si trovino adesso. Se sono vivi. Finora, non ho potuto scrivere quelle tre parole.

Una mia amica e la sua famiglia, compresa la sua anziana madre, fino a due giorni fa si trovavano in un appartamento a Gaza, insieme a un cognato su una sedia a rotelle, quasi completamente immobilizzato, che ha impedito loro di evacuare verso Sud. “Siamo in attesa”, ha scritto. È in qualche modo riparati. Quando siamo riusciti a parlare mi ha fatto sapere che ero in vivavoce, quindi tutti potevano sentirmi, ma la connessione era instabile. “Stiamo bene”, mi ha scritto venerdì pomeriggio. “È stata una notte terribile (di bombardamenti – A. S.). Infernale”. Da allora non ho più avuto sue notizie. Vivono vicino all’Ospedale della Mezzaluna Rossa, i cui amministratori venerdì hanno ricevuto un avviso da parte di Israele che gli intimava di evacuare pazienti, personale e gli sfollati che vi si rifugiano.

“Secondo il Ministero dell’Edilizia Abitativa di Gaza, almeno il 30% di tutte le unità abitative nella Striscia di Gaza sono state distrutte o danneggiate dall’inizio delle ostilità”, afferma un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato domenica. Ho accompagnato alcuni dei miei amici 25 anni fa quando hanno aggiunto un piano alla casa di famiglia nel campo profughi, e poi quando alcuni hanno lasciato il campo o si sono trasferiti a Gaza City, risparmiando centesimo dopo centesimo e contrando persino debiti. Sono appartamenti in cui ho dormito, sono stato ospite, ho giocato con i più piccoli, che ormai hanno 18 o 20 anni.

Immagino i libri nell’appartamento della mia amica Salma e quello sottostante di suo figlio Karmel. Libri sepolti sotto le macerie dell’edificio, oppure bruciati. Immagino i giocattoli dei nipoti, i computer su cui i miei amici hanno curato le storie e gli articoli che hanno scritto, i documenti di ricerca, le lettere e le foto. Quanto di questo è stato salvato sul cloud? Penso ai mobili pesanti della casa di R e ai pochi mobili di quella di N. Gli stupendi giardini che alcuni di loro riuscivano a curare in piccoli cortili. Quando l’incubo finirà, prima o poi dovrà finire, loro saranno indigenti. Come lo erano i loro genitori e i loro nonni nel 1948.

Palestinesi lavorano per rimuovere le macerie mentre cercano corpi sul luogo di un bombardamento israeliano, nel mezzo del conflitto in corso tra Israele e il gruppo islamista palestinese Hamas, a Khan Younis, nel Sud della Striscia di Gaza, il 19 ottobre 2023. Credito fotografico: IBRAHEEM ABU MUSTAFA/ REUTERS

E se Israele dovesse dare seguito alla sua minaccia di restringere ulteriormente la Striscia di Gaza (nel senso di prenderne il controllo e annetterne parte), perderebbe anche la terra su cui è stato costruito il suo quartiere o la sua casa. Ancora.

Secondo le autorità della Striscia, il numero dei feriti domenica sera ammontava ad almeno 13.000. Alcuni di loro si trovano negli ospedali, dove secondo quanto riferito i chirurghi sono costretti a operare con le torce dei cellulari, perché manca elettricità. Le cliniche e gli ospedali ancora funzionanti ospitano anche migliaia di persone sfollate in cerca di riparo e di un minimo di sicurezza. Dopo l’esplosione all’Ospedale al-Ahli, la gente sa per certo che nessun posto è sicuro. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha documentato 62 attacchi contro gli operatori sanitari: sono state colpite e danneggiate 29 strutture che forniscono servizi sanitari, tra cui 19 ospedali, e 23 ambulanze. Sette ospedali hanno cessato le attività: sia perché gravemente danneggiati, sia perché è stato necessario evacuare pazienti e personale. Il grande Ospedale della Mezzaluna Rossa si unirà a loro adesso, o gli sforzi delle Nazioni Unite e delle organizzazioni mediche internazionali lo impediranno?

Tra le rilevazioni ci sono anche sette membri di una famiglia di miei amici a Rafah. Una bomba israeliana ha colpito in pieno una casa vicino alla loro. Due occupanti sono rimasti uccisi. Schegge dirette, onde d’urto, muri che crollano, finestre esplose, vetri frantumati nella casa dei miei amici hanno causato il ferimento dei sette. Questo è stato una settimana fa, il 12 ottobre, quando sempre più residenti del Nord della Striscia di Gaza stavano fuggendo verso Sud e verso Rafah. Non sapevo ancora nulla. Il 13 ottobre ho scritto come al solito a Yazan, che ho conosciuto durante la Prima Intifada, quando aveva 16 anni. “Stiamo bene”, rispose Yazan. Ho approfittato del fatto che internet funzionava e ho fatto una chiamata vocale. Mi ha raccontato delle loro ferite. Uno dei bambini è stato trattenuto in ospedale durante la notte. Venerdì mattina ha scritto ancora una volta: “Stiamo bene”. Alla mia domanda ha risposto che c’era pochissima acqua, ma non ha dato dettagli. Ho deciso di smetterla di assillarla con le domande.

Il fumo si alza a seguito di un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza, visto dal Sud di Israele, venerdì. Credito fotografico: Francisco Seco /AP

Un altro amico costretto a fuggire da Gaza a Rafah, a casa di sua sorella, ha scritto di aver pagato 400 shekel (92,5 euro) per un serbatoio d’acqua contenente 500 litri. Ma quella non è acqua potabile. L’acqua potabile costa attualmente 15 shekel (3,5 euro) al litro.

Un’altra famiglia di amici di Gaza ha trovato rifugio nell’appartamento di amici a Deir al-Balah, e un’altra famiglia, a Khan Yunis. Venerdì sono state uccise 15 persone nel bombardamento di strutture a Deir al-Balah e 38 in bombardamenti a Khan Yunis. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, centinaia di persone sono rimaste ferite in questi attacchi.

Un’altra famiglia di amici ha trovato rifugio in una scuola dell’UNRWA nel centro della Striscia. 13 membri della famiglia, in un’aula di 20 metri quadrati. Una nonna è cieca e paraplegica. L’altra soffre di fibrosi. Entrambe erano ragazze nel 1948. Uno dei fratelli ha il morbo di Parkinson. E ci sono due bambini, di diciotto mesi, che necessitano dell’attenzione di cui hanno bisogno i bambini.

“Ognuno di noi cerca di evitare di essere ucciso dagli israeliani. Trionferemo e vinceremo”, mi scrisse il mio amico, e nel messaggio successivo scrisse: “Finora, fisicamente, stiamo bene”.

Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org