Noam Chomsky sui problemi chiave del conflitto tra Palestina e Israele

Visitò la Palestina, credo circa 120 anni fa, e tornò dicendo: “Guardate dobbiamo capire che lì c’è gente, non è una terra senza popolo, c’è gente, si è insediata lì, non vuole che la invadiamo”

Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=zKQOrAyXM5U

2 novembre 2023: Una domanda   a Noam Chomsky

La gente è molto pessimista sul futuro  del problema, ma lei cosa ne pensa?

Le problematiche sono cambiate nel corso degli anni. La questione principale è stata individuata, formulata e discussa 120 anni fa da figure di spicco della comunità ebraica, analisti e commentatori di primo piano, come il grande saggista, noto con lo pseudonimo di Ahad Ha’am, uno dei fondatori, uno dei creatori della lingua e della cultura ebraiche moderne (1).

Visitò la Palestina, credo circa 120 anni fa, e tornò dicendo: “Guardate dobbiamo capire che lì c’è gente, non è una terra senza popolo, c’è gente, si è insediata lì, non vuole che la invadiamo”. Quello propose è il cosiddetto “sionismo culturale”: Gli ebrei avrebbero dovuto creare un centro culturale in Palestina che avrebbe rinvigorito la diaspora. Ricordiamo che questo avveniva prima dell’Olocausto, prima che gli ebrei dell’Europa orientale fossero praticamente annientati. Quindi, quello era il centro principale della vita ebraica e disse “dobbiamo dare nuova vita alla cultura e alla lingua ebraiche, creare una nuova civiltà e il suo centro deve essere in Palestina.” Altri, come Yitzhak Epstein, hanno detto essenzialmente le stesse cose.

 

Poi si è posto il problema di come affrontare i fatti. Ora non c’è tempo per ripercorrere la storia, è una storia complicata. Ma venendo al periodo recente, dal 1967 è iniziato un periodo del tutto nuovo, ovviamente molto è successo prima, ma nel 1967 Israele ha conquistato Gaza, la Cisgiordania e le alture del Golan e da quel momento in poi, quasi subito, le relazioni degli Stati Uniti con Israele sono radicalmente cambiate. A quel punto, e questo è molto importante, gli Stati Uniti, cioè noi, hanno un ruolo decisivo, io e lei abbiamo un ruolo decisivo, in quello che succede lì, non è qualcosa di remoto da noi.

 

Qualunque cosa Israele faccia è perché io e lei lo permettiamo: sono gli Stati Uniti che forniscono il massiccio aiuto a tutto ciò che avviene, sono gli Stati Uniti che pongono il veto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che chiedono la fine dell’occupazione illegale e così via. Quindi la nostra non è una responsabilità remota, non dobbiamo dimenticare che la situazione è cambiata drasticamente nel 1967. Prima di allora le relazioni degli Stati Uniti con Israele erano amichevoli ma non particolarmente, infatti il principale sostegno militare di Israele proveniva dalla Francia, i suoi programmi nucleari erano sviluppati con il contributo francese, gli Stati Uniti non li sostenevano.

 

Il 1967 ha cambiato tutto. Israele ha reso un enorme servizio agli Stati Uniti, ha distrutto il nazionalismo arabo laico. Gli Stati Uniti avevano ereditato il dominio del Medio Oriente dalla Gran Bretagna, che in precedenza aveva gestito la maggior parte del mondo, in particolare gli Stati Uniti. Ma nel 1945 la Gran Bretagna ha indossato il mantello del dominio globale e il Medio Oriente ne è stato una componente centrale. C’era un conflitto in Medio Oriente, molti conflitti. La Gran Bretagna, durante tutto il suo dominio, aveva avuto la tendenza a sostenere l’Islam radicale in opposizione al nazionalismo laico, per buone ragioni: il nazionalismo laico può sfuggire al controllo, l’Islam radicale si riteneva che potesse essere tenuto a bada. Gli Stati Uniti hanno adottato la stessa posizione. Nel 1967 era in corso una vera e propria guerra tra il centro dell’Islam radicale, l’Arabia Saudita, e il centro del nazionalismo laico, l’Egitto; erano in guerra nello Yemen, hanno fatto una guerra su larga scala. Israele ha distrutto il nazionalismo laico, ha sostenuto l’Islam radicale e ha iniziato una storia d’amore con gli Stati Uniti.

 

È stato un regalo enorme, che ha anche cambiato il dibattito negli USA: prima di allora Israele non era un tema importante nemmeno tra gli ebrei americani, anzi prima del 1967 neanche si parlava dell’Olocausto, musei dell’Olocausto, studi sull’Olocausto, tutto questo è successivo al 1967.

Tutto è cambiato in modo decisivo e a quel punto Israele ha iniziato un programma di espansione sistematica nei territori occupati, con l’obiettivo fondamentale di appropriarsi di tutto ciò che era di valore e di escluderne la popolazione palestinese. Israele non vuole Nablus, ad esempio, perché ci sono troppi arabi. L’obiettivo è quello di prendere ciò che ha valore, espellere la popolazione se si può, quelli che non si possono espellere circondarli, ignorarli, ma assicurarsi il possesso.

Gli Stati Uniti l’hanno sostenuto in ogni momento. Le alture del Golan sono state semplicemente annesse da Israele in violazione degli ordini del Consiglio di Sicurezza. In realtà gli USA si sono uniti al Consiglio di Sicurezza nel porre la questione, ma poi hanno continuato a ignorarla e sotto Trump l’hanno formalmente autorizzata. Gerusalemme, Israele l’ha annessa in violazione degli ordini del Consiglio di Sicurezza. Ora la città è ora circa cinque volte quello che era storicamente, i villaggi circostanti e la Cisgiordania sono più o meno gli stessi. Quanto a Gaza ne posiamo parlare. E questa è la storia.

 

All’inizio degli anni ’70 Israele aveva la scelta tra espansione e sicurezza e ha scelto l’espansione con l’aiuto degli Stati Uniti. Quello che accadde al Consiglio di Sicurezza… ci fu una risoluzione, diverse risoluzioni presentate al Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiedevano una soluzione a due Stati sul confine internazionalmente riconosciuto, la cosiddetta Linea Verde, con forse piccoli aggiustamenti, e chiedevano il riconoscimento, cito letteralmente, “del diritto di ogni Stato di esistere in pace e sicurezza all’interno di confini sicuri e riconosciuti”. La risoluzione fu appoggiata da Egitto, Giordania e Siria, i cosiddetti Stati del confronto, tacitamente sostenuta dall’OLP, non apertamente, Israele si oppose con forza e rifiutò addirittura di partecipare alla sessione. Gli Stati Uniti posero il veto. Questo ha praticamente preparato il terreno per quello che è successo e sta succedendo da allora.

All’epoca Israele si stava espandendo nel Sinai egiziano, una questione cruciale. Ma il punto fondamentale era: espansione o sicurezza? E Israele ha scelto l’espansione, che significa dipendere quasi totalmente dagli Stati Uniti, perché diventa… ovviamente ci sono molte contestazioni a livello  internazionale, per cui ha quasi finito per diventare un paria internazionale, ma finché ha il sostegno degli Stati Uniti, sente di poter tirare dritto.

 

Questo ci porta al presente. Da quando Israele ha virato, nel 1967 era prevedibile, anzi previsto, che se avesse continuato con l’occupazione sarebbe diventato più duro, più brutale all’interno. Una delle figure più rispettate della società israeliana, un vero e proprio saggio, un ebreo tradizionalista, Yeshayahu Leibowitz, molto stimato, arrivò a dire che se Israele avesse continuato l’occupazione sarebbe diventato un paese di quelli che ha definito giudeo-nazisti. Solo una persona come Leibowitz ha potuto farla franca con una simile affermazione, ma altri dicevano cose simili con toni più pacati.

 

Lo abbiamo visto succedere. E la dinamica è piuttosto semplice: se hai lo stivale sul collo di qualcuno, devi trovare un modo per giustificarlo. E questo ti tocca dentro, a chiunque, e anche a un Paese. Così il Paese si è spostato molto verso l’estrema destra, ormai è uno dei pochissimi Paesi in cui i giovani sono più reazionari dei loro genitori, più nazionalisti estremi, razzisti e così via. I genitori ricordano un po’ i vecchi tempi in cui c’era una comunità socialdemocratica e liberale, ormai quasi scomparsa. Ora c’è un governo nazionalista religioso che, piaccia o no, gode di un ampio sostegno popolare.

 

C’è un articolo interessante che potrebbe leggere nell’edizione odierna di Haaretz, il principale quotidiano israeliano. L’edizione inglese mette a confronto Turchia e Israele e sottolinea che in Turchia come in Israele, che piaccia o no, un elemento nazionalista religioso è la maggioranza e si oppone alla democrazia. Dobbiamo riconoscere che non ci piace, ma non possiamo far finta che non stia accadendo, che in realtà cose simili sono vere anche altrove. Guardi l’Iran: molta repressione da parte di un governo brutale, c’è molto sostegno popolare, si fa leva sulle zone rurali, profondamente religiose, e si trova un ampio sostegno per il Consiglio dei Guardiani, composto da religiosi rigidi e brutali.

 

Sono cose che possono non piacerci, ma il mondo non sparisce se non ci piace e il caso di Israele è così. È più o meno quello che vediamo oggi: le questioni chiave sono cambiate, ma il problema di fondo che è stato individuato, più difficile, resta.

Trad: Leila Buongiorno

 

 

1) Asher Zvi Hirsch Ginsberg  (https://it.wikipedia.org/wiki/Ahad_Ha%27am)