Gli annali di quest’arte terribile: quelli di Hitler, Mussolini, del Giappone e dell’America durante la Seconda Guerra Mondiale, mostrano che non deve essere sofisticata. L’esibizione del Mein Kampf da parte del Presidente israeliano lo ha dimostrato ancora una volta.
Fonte: English version
Di Patrick Lawrence – 14 novembre 2023
Immagine di copertina: Soldati israeliani tra le rovine di Gaza il 31 ottobre. (Unità del Portavoce dell’IDF, Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0)
Domenica ho guardato un video di Isaac Herzog che si esprime in termini di controproducente stupidità. In esso il Presidente israeliano tiene in mano una copia del Mein Kampf, tradotto in arabo.
Il video è stato realizzato il giorno dopo un’immensa manifestazione a Londra a favore del cessate il fuoco a Gaza e della liberazione dei palestinesi dalla lunga e violenta repressione di Israele. Ecco parte del discorso di Herzog:
“Voglio mostrarvi qualcosa di esclusivo. Questo è il libro di Adolf Hitler, Mein Kampf. È il libro che ha portato all’Olocausto, e il libro che ha portato alla Seconda Guerra Mondiale. Questo è il libro che ha portato alla peggiore atrocità del genere umano, contro la quale gli inglesi hanno combattuto”
“Questo libro è stato trovato solo pochi giorni fa nel Nord di Gaza, nella stanza di un bambino in un’abitazione trasformata in una base operativa militare di Hamas, sul corpo di uno dei terroristi e assassini di Hamas”, insistendo e sottolineando più e più volte sull’ideologia di Hitler di uccidere, incenerire e sterminare gli ebrei.
“Questa è la vera guerra che stiamo combattendo. Quindi tutti quelli che hanno manifestato ieri, non dico che tutti sostengano Hitler. Ma quello che intendo è che omettendo di capire in cosa consista l’ideologia di Hamas, fondamentalmente stanno sostenendo questa ideologia”.
ll capo di Stato israeliano ha giocato la carta dell’Olocausto, la carta di Hitler, la carta della vittima ebraica e la carta dei mostri assassini di Hamas contemporaneamente.
Non so quale rete televisiva abbia trasmesso la versione più breve del discorso di Herzog, e sono stupito che la BBC l’abbia presa abbastanza sul serio da trasmetterla, ma questo è il segno di questi tempi, sempre impegnati nella causa transatlantica.
Quanto è straordinariamente inconsistente la propaganda nella maggior parte dei casi, ho pensato dopo aver ascoltato Herzog e aver preso appunti. Questo è vero in moltissimi casi negli annali di quest’arte terribile: quella di Hitler, di Mussolini, del Giappone e dell’America durante la Seconda Guerra Mondiale. Osservando adesso, nulla di tutto ciò è molto sofisticato per il semplice motivo che non deve esserlo.
La propaganda deve essere di forte impatto, la sottigliezza è l’ultima cosa nella mente del propagandista. Il banale andrà sempre bene. I giapponesi durante la guerra del Pacifico erano “Japs” o “Nips”, e nella ricchezza delle immagini della propaganda americana avevano denti sporgenti e baffi a matita e portavano occhiali rotondi sopra i loro diabolici occhi asiatici.
Dopo aver visto il video di Herzog sono andato alla ricerca delle riprese di Londra del giorno precedente. Ci sono state molte manifestazioni contro la feroce campagna militare di Israele a Gaza da quando sono scoppiate le ostilità il 7 ottobre, e potrebbero essercene molte altre, ma quella di Londra svoltasi sabato scorso sembra finora la più grande.
“Gaza Libera”, “Cessate Il Fuoco Ora”, “Non Nel Nostro Nome”, questi erano tra gli slogan gridati e scritti sui cartelloni mentre la protesta si snodava lentamente attraverso il centro di Londra, da Hyde Park all’ambasciata degli Stati Uniti, a diversi chilometri di distanza. La polizia ha stimato a 300.000 il numero dei manifestanti. Da quello che si vede nel filmato direi che si avvicinassero al mezzo milione.
Se si guarda abbastanza propaganda, contemporanea o storica, si scopre che non è sofisticata, anche se il copione e le immagini tradiscono la crudezza e l’indegnità di coloro che producono la propaganda. L’intento è esclusivamente quello di catturare i pensieri e i sentimenti della maggioranza non pensante, tuttavia ci devono riuscire.
Il Dipartimento di Propaganda Israeliano è disperato
Ma questo progetto è più difficile ora, nell’era dei media digitali e di una stampa indipendente sempre più influente. Così mi sembra. Ora le persone possono vedere di più e in modo più chiaro e immediato, a condizione che scelgano di guardare. E sempre più persone lo fanno.
Se l’idiota esibizione di Herzog ci ha detto qualcosa, è che il Dipartimento di Propaganda Israeliana è in uno stato disperato, avendo già perso la guerra delle pubbliche relazioni mentre le Forze di Difesa Israeliane (IDF) si scavano la fossa ogni giorno più profonda.
Dopo aver visto il video di Herzog e poi le riprese di Londra, ho pensato a un passaggio memorabile di: Le origini del Totalitarismo, di Hannah Arendt:
“In un mondo in continua evoluzione e incomprensibile, le masse erano arrivate al punto in cui credevano, allo stesso tempo, a tutto e a niente, pensavano che tutto fosse possibile e che nulla fosse vero. La propaganda di massa scoprì che il suo pubblico era pronto in ogni momento a credere al peggio, non importa quanto assurdo, e non si opponeva particolarmente a essere ingannato perché riteneva comunque che ogni affermazione fosse una bugia”.
Hannah Arendt stava guardando indietro al Reich e all’Unione Sovietica di Stalin quando scrisse il suo celebre trattato del 1951. Ma da allora in poi quel pensiero sembra non averla mai abbandonata.
In una conversazione con un’attivista francese per la libertà di parola, non molto tempo prima della sua morte nel 1975, Hannah Arendt ebbe altresì parole schiette su ciò che alla fine verrà da circostanze come la nostra. “Se tutti ci mentono sempre”, diceva a Roger Errera, “la conseguenza non è che si creda alle bugie, ma piuttosto che nessuno creda più a niente”.
Mezzo secolo prima che Herzog facesse il suo discorso e i manifestanti riempissero le strade di Londra, Hannah Arendt ha esposto perfettamente quello che è accaduto lo scorso fine settimana.
È positivo che sempre meno persone si lascino ingannare dalle azioni psicologiche e dalle improvvisate propagandistiche dello Stato di Sicurezza Nazionale, dei media corporativi e di regimi spietati, anzi hitleriani, devo dire, come quello israeliano.
Ma vivere in un mondo in cui non si crede a nulla di ciò che viene detto è una specie di miseria. È effettivamente una resa totale di tutto il dibattito pubblico e dello spazio pubblico al maligno, all’indecente, all’inumano, al degradato e al degradante. La verità, e con essa il pensiero logico e la semplice decenza, diventano “alternativi”.
Esiste un modo per costruire oltre le nostre circostanze degradate? Oppure dobbiamo vagare indefinitamente in uno stato di negatività, di non credere, di alienazione dalla nostra stessa politica?
La mia risposta è sì alla prima domanda, no alla seconda: c’è sempre un modo per costruire un futuro diverso, questo per una questione di principio generale. In questo caso il progetto deve partire dal riappropriarsi del linguaggio. Rifiutare il linguaggio ufficiale di chi detiene il potere, come fanno oggi tante persone, è un inizio. Dobbiamo allora imparare di nuovo a parlare il linguaggio che non si parla, il linguaggio in cui risiede la verità.
In gran parte per le mie esperienze professionali, sono particolarmente sensibile al potere del linguaggio in quanto viene utilizzato per favorire la chiarezza e la comprensione o l’offuscamento e l’ignoranza.
Il linguaggio delle istituzioni, il linguaggio del potere, è fatto di eufemismi oscuri: “dirigenza globale”, “danno collaterale”, “cambiamento di regime”, “la comunità dei servizi segreti”, “l’ordine basato sulle regole”, e così via attraverso il lessico burocratico, e di audaci falsificazioni come quelle che Isaac Herzog ci ha offerto domenica scorsa.
George Orwell in: “La Politica e la Lingua Inglese”, ha descritto come il linguaggio degli ideologi e dei burocrati devasta la nostra capacità di pensare chiaramente, proprio il suo scopo. Da quando pubblicò il suo saggio su Horizon nell’aprile del 1946, il problema così com’è è peggiorato per settant’anni.
Questo uso del linguaggio ha disarmato il linguaggio stesso, privandolo del suo potere assertivo, tanto che parlare o scrivere al di fuori dell’ortodossia può essere liquidato come diceria. Il linguaggio è reso impotente come mezzo di pensiero creativo o come stimolo ad azioni nuove e fantasiose.
L’uso assurdo e offensivo dell'”antisemitismo” che ora ci assilla è un esempio calzante. L’intento evidente è quello di imporre un vasto silenzio per oscurare i crimini dell’Apartheid israeliano.
Il compito che abbiamo davanti è quello della restaurazione. Significa riprendersi il linguaggio, dargli nuova vita, strapparlo all’influenza mortale delle istituzioni, delle burocrazie e dei media corporativi, che hanno deformato il linguaggio in uno strumento per l’imposizione del conformismo. Questo è il motivo per cui ogni slogan ascoltato e cartellone visto a Londra o in molte altre città in questi giorni è importante, un atto significativo e di valore.
Il linguaggio chiaro è uno strumento: disadorno, scritto e parlato in modo semplice, colloquiale nel senso migliore del termine ma perfettamente capace di sottigliezza e complessità. È il linguaggio della storia, non del mito.
Questa linguaggio non è usato per la causa dell’Impero ma sempre per la causa umana. “Palestina libera”, “Dal fiume al mare”: Questi sono esempi concreti del linguaggio che descrivo.
Questo è il linguaggio necessario per affrontare il potere piuttosto che per assecondarlo. È il linguaggio che presuppone l’utilità dell’intelligenza e del pensiero critico. È pensato per porre molte domande meritevoli. Si dedica senza riserve ad ampliare ciò che è dicibile in risposta ostile al “grande indicibile”, come lo chiamo io.
Attraverso questo linguaggio ci attende un discorso pubblico più vivace e appagante. Attraverso questo linguaggio Isaac Herzog, Antony Blinkens e Ursula von der Leyens che inquinano il nostro spazio pubblico possono essere ridotti a quello che sono: bugiardi e propagandisti. Il potere del linguaggio che descrivo priverà la lingua in cui parlano di ogni potere.
Parliamolo, scriviamolo sui muri e sui cartelloni. Fatelo conoscere come lo strumento più potente a disposizione di coloro che rifiutano il silenzio che Isaac Herzog ha cercato di imporre a tutti i londinesi lo scorso fine settimana.
Patrick Lawrence, corrispondente all’estero per molti anni, principalmente per l’International Herald Tribune, è editorialista, saggista, conferenziere e autore, più recentemente di: I Giornalisti e le Loro Ombre (Journalists and Their Shadows). Altri libri includono: Non C’è Più Tempo: Americani Dopo il Secolo Americano (Time No Longer: Americans After the American Century). Il suo account Twitter, @thefloutist, è stato permanentemente censurato.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org