La “Nakba di Gaza” deve essere evitata

La cosiddetta Nakba di Gaza deve essere evitata, non solo a parole ma anche attraverso una solida azione araba e internazionale per impedire a Israele di approfittare della guerra per espellere i palestinesi dalla loro Patria, ancora una volta.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 20 novembre 2023

È inesatto affermare che il tentativo israeliano in corso di espellere molti o addirittura tutti i profughi palestinesi da Gaza nel Sinai sia una nuova idea imposta dalle recenti circostanze. La deportazione dei palestinesi, o, come è uso definirlo nel lessico politico israeliano, il “trasferimento”, è una vecchia idea; quanto lo stesso Israele.

Storicamente, il “trasferimento” della popolazione è stato più di una semplice idea, ma una vera e propria politica governativa con meccanismi chiari. Nel maggio 1948, Yosef Weitz, direttore del Dipartimento per la Terra e l’Imboschimento del Fondo Nazionale Ebraico, fu incaricato di istituire un comitato di “trasferimento” per supervisionare l’espulsione degli arabi palestinesi dalle loro città e villaggi. In altre parole, mentre Israele stava ancora concludendo la sua fase iniziale di Pulizia Etnica, ne avviò un’altra fase, quella del “trasferimento”, i cui risultati sono ben noti.

Anche molti dei cosiddetti intellettuali liberali di Israele continuano a promuovere l’idea, in modo proattivo o col senno di poi. “Non credo che le espulsioni del 1948 fossero crimini di guerra”, ha detto lo storico israeliano Benny Morris in un’intervista ad Haaretz nel 2004. “Penso che lui (il padre fondatore di Israele, David Ben-Gurion) abbia commesso un grave errore storico nel 1948. Se era già impegnato nell’espulsione, forse avrebbe dovuto finire il lavoro. Non si può fare una frittata senza rompere le uova. Ci si deve sporcare le mani”.

Morris si riferiva alla Nakba, che iniziò sul serio nel dicembre 1947 e non si concluse fino al 1949. Successivamente, la Pulizia Etnica di Israele assunse una forma diversa; quello di una campagna più lenta e mirata a riorganizzare la mappa demografica del neonato Israele a favore degli ebrei israeliani a scapito degli arabi palestinesi.

Diverse campagne contro le comunità arabe palestinesi rimaste in Israele dopo la Nakba furono avviate sotto varie forme. Sebbene nessuna comunità fosse sopravvissuta all’assalto demografico del governo israeliano, i beduini palestinesi sono quelli che hanno sofferto maggiormente il “trasferimento”, una campagna che continua ancora oggi.

Dopo la guerra del giugno 1967 ripresero le espulsioni di massa. Circa 430.000 palestinesi furono “trasferiti” con la forza, soprattutto dalle aree originariamente occupate nel 1948. Nel corso degli anni, centinaia di migliaia di coloni ebrei israeliani hanno preso il posto dei palestinesi deportati, rivendicando come propria la loro terra, le loro case e i loro frutteti.

Infatti, la lenta Pulizia Etnica della Cisgiordania è considerata il centro del colonialismo in atto da parte di Israele nei Territori Occupati. E, dal punto di vista del diritto internazionale, è uno dei più grandi Crimini di Guerra, poiché rappresenta una grave violazione delle norme internazionali. “La Potenza Occupante non potrà deportare o trasferire parte della propria popolazione civile nel territorio che occupa”, recita l’Articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra. Vieta inoltre “i trasferimenti forzati individuali o di massa, nonché le deportazioni di persone protette dal Territorio Occupato”.

Sostenere che i recenti appelli per l’espulsione di massa dei palestinesi da Gaza siano un evento nuovo, imposto dal violento episodio del 7 ottobre e dal successivo Genocidio a Gaza, è sia inesatto che disonesto. Questa affermazione ignora il fatto che Israele, in quanto progetto coloniale di insediamento, è stato fondato sul concetto di Pulizia Etnica e che i politici israeliani non hanno mai smesso di parlare del “trasferimento” di massa dei palestinesi, anche in circostanze apparentemente “normali”.

Ad esempio, nel 2014, l’allora Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha provato a ribattezzare la vecchia strategia di “trasferimento” utilizzando un nuovo linguaggio non così intelligente. “Quando parlo di scambio di terra e di popolazione, intendo il Piccolo Triangolo e Wadi Ara”, ha detto Lieberman in una dichiarazione, riferendosi alle regioni prevalentemente arabe nel centro e nel Nord di Israele. Ha insistito: “Questo non è un trasferimento”.

Questo contesto è fondamentale se vogliamo veramente capire la storia dietro l’entusiasto ritorno del linguaggio della Pulizia Etnica.

L’11 novembre Avi Dichter, Ministro dell’Agricoltura israeliano ed ex direttore dell’agenzia di spionaggio Shin Bet, ha chiesto espressamente un’altra Nakba. “Ora stiamo lanciando la Nakba di Gaza”, ha detto Dichter in un’intervista televisiva. Possiamo facilmente estrarre le seguenti informazioni dalla sua dichiarazione: i funzionari israeliani hanno molta familiarità con il termine “Nakba” e, quindi, con ciò che accadde al popolo palestinese 75 anni fa, Pulizia Etnica e Genocidio, e rimangono impenitenti.

Tuttavia, questa non è stata un’affermazione detta con rabbia. Un rapporto governativo trapelato il 13 ottobre, sei giorni dopo l’inizio della guerra, suggeriva il “trasferimento” di massa della popolazione di Gaza nel deserto del Sinai. Quattro giorni dopo, un circolo di pensiero israeliano noto come Istituto per la Sicurezza Nazionale e la Strategia Sionista Misgav ha pubblicato un documento in cui invitava il governo israeliano a sfruttare questa “opportunità unica e rara di evacuare l’intera Striscia di Gaza”.

Non ha molto senso supporre che rapporti così dettagliati siano stati redatti integralmente nel giro di pochi giorni. Ci vogliono anni di pianificazione e discussioni per preparare progetti così complessi in modo che diventino degni di considerazione ufficiale.

Questa non è l’unica prova che il “trasferimento” dei palestinesi da Gaza non era una strategia urgente spinta dai recenti eventi, poiché anche i palestinesi in Cisgiordania, che non erano coinvolti nell’operazione del 7 ottobre, si sono trovati sotto la minaccia di espulsione. Ciò ha spinto il Primo Ministro giordano Bisher Khasawneh a dichiarare che Amman considera qualsiasi tentativo di espellere i palestinesi una “linea rossa” e, di fatto, una “dichiarazione di guerra”.

Anche se finora la pressione araba e internazionale non è riuscita a rallentare la Macchina di Morte israeliana a Gaza, i Paesi arabi si sono espressi fermamente contro qualsiasi tentativo israeliano di deportare i palestinesi.

Per ora, la maggior parte dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza, la maggior parte dei quali sono profughi dalla Palestina storica, sono sfollati interni all’interno di quel minuscolo pezzo di terra, privati ​​di acqua, cibo, elettricità e, di fatto, della vita stessa. Ma rimangono risoluti e non permetteranno che abbia luogo un’altra Nakba, qualunque sia il costo.

La cosiddetta Nakba di Gaza deve essere evitata, non solo a parole ma anche attraverso una solida azione araba e internazionale per impedire a Israele di approfittare della guerra per espellere i palestinesi dalla loro Patria, ancora una volta. Devono anche attivarsi per far sì che Israele sia ritenuto responsabile dei suoi Crimini di Guerra, passati e presenti, a partire dalla Nakba originaria del 1948.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org