Gaza sta costringendo l’Occidente ad abbandonare le sue vecchie illusioni

I leader e i funzionari occidentali ora parlano apertamente perché capiscono che la causa palestinese è diventata globale e che il prolungamento dell’Occupazione e dell’Apartheid israeliani non sarà di buon auspicio, né per Tel Aviv né per l’Occidente.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 27 novembre 2023

Poco dopo l’inizio di un cessate il fuoco di quattro giorni nella guerra a Gaza, venerdì, i primi ministri di Spagna e Belgio, Pedro Sanchez e Alexander De Croo, sono apparsi in una conferenza stampa congiunta al valico di Rafah. Sanchez ha descritto quanto sta accadendo come “un disastro”, mentre De Croo ha chiesto una “cessazione permanente delle ostilità” e la fine dell’uccisione di bambini. Altrettanto significativo è il fatto che i due leader europei abbiano dichiarato che potrebbero decidere di riconoscere lo Stato di Palestina, anche se l’Unione Europea non lo farà.

Insieme alla forte posizione dell’Irlanda, alcuni in Europa sembrano rendersi conto del fatto che l’Occupazione israeliana è la causa principale delle recenti “ostilità di Gaza”.

Israele era contrariato dallo sviluppo di questa posizione europea. Secondo quanto riferito, ha immediatamente convocato gli ambasciatori dei due Paesi e li ha rimproverati aspramente. Questa risposta esagerata mostra che Israele non è disposto a concedere all’Europa nemmeno un minimo di margine, come condannare l’uccisione di bambini o aspettarsi un qualche tipo di soluzione pacifica incentrata sulla sovranità palestinese.

L’indicazione di Spagna e Belgio secondo cui potrebbero decidere di riconoscere la Palestina anche senza il consenso dell’Unione Europea è indicativa di uno scisma di politica estera all’interno dell’Europa. Si scopre che non tutti i governi europei hanno la stessa tolleranza nei confronti del Genocidio di Gaza come, ad esempio, la Germania e la Gran Bretagna.

È interessante notare che anche altri funzionari dell’Unione Europea chiedono uno Stato Palestinese, sebbene la loro intenzione non sia né quella di garantire la libertà dei palestinesi né quella di salvaguardare i loro diritti. Il capo diplomatico del blocco Josep Borrell, per esempio, ha sostenuto la scorsa settimana che “la migliore garanzia per la sicurezza di Israele è la creazione di uno Stato Palestinese”. Anche David Cameron, ex Primo Ministro britannico e ora Ministro degli Esteri, ha utilizzato una logica simile. Israele non avrà sicurezza se non garantirà “sicurezza, protezione e stabilità a lungo termine” per il popolo palestinese, ha affermato Cameron.

Indipendentemente dal ragionamento dietro la crescente enfasi su una “soluzione” e sui diritti per i palestinesi, questo linguaggio era quasi del tutto assente dal dibattito politico occidentale prima del 7 ottobre.

La verità è che i palestinesi sono riusciti, attraverso la loro Resistenza e Fermezza, a riportare la Palestina nell’agenda globale. Ma come sono riusciti i palestinesi a farlo nonostante la totale marginalizzazione della loro causa prima della guerra?

Primo, a differenza delle guerre precedenti, in particolare di quelle che hanno preceduto la cosiddetta Intifada dell’Unità del maggio 2021, questa volta i palestinesi hanno parlato all’unisono. Senza provare o nemmeno coordinarsi, sembrava che il messaggio palestinese si diffondesse perfettamente, quando tutti i palestinesi, indipendentemente dal loro retaggio ideologico, hanno posto l’attenzione sulle atrocità israeliane senza cadere nella trappola del tipico gioco di colpe tra fazioni.

Persino i bambini che hanno perso membri delle loro famiglie a Gaza si sono mostrati coraggiosamente davanti alle telecamere e hanno affermato che non si arrenderanno mai e che nulla li allontanerà dalla loro terra natale. Giovani e anziani ripetevano la stessa logica e usavano un linguaggio simile, anche dai loro letti d’ospedale.

Ciò ha portato Israele a fare tutto ciò che è in suo potere per isolare i 2,3 milioni di palestinesi di Gaza dal resto del mondo, chiudendo Internet, l’elettricità e ogni forma di comunicazione, anche tra gli stessi palestinesi.

Eppure, in qualche modo, il messaggio palestinese chiaro e unito è continuato, amplificato esponenzialmente da un esercito di attivisti dei social media che hanno contribuito in modo impressionante a bilanciare i pregiudizi dei media convenzionali e alla fine hanno sopraffatto il controllo dei principali media sulla narrativa di guerra. I palestinesi hanno fatto questo, e altro ancora, senza potenti gruppi di pressione, consulenti dei media o una macchina di propaganda, come quella che ha tentato, inutilmente, di influenzare l’opinione pubblica a favore di Israele.

Secondo, la Palestina fazionale è improvvisamente scomparsa. Per anni, le narrazioni delle fazioni, che dividevano i palestinesi in gruppi di interessi contrastanti, hanno ostacolato il tentativo del popolo palestinese di unirsi dietro un’unica dirigenza, capace di trasmettere, rappresentare e difendere le aspirazioni politiche palestinesi.

Tutti i colloqui e gli accordi Fatah-Hamas sono falliti, lasciando al popolo altra alternativa se non quella di esplorare diverse manifestazioni di unità che vanno oltre gli interessi dei politici. Questa unità è ora manifesta, costringendo tutti, compresi coloro che sono affiliati alla stessa Autorità Palestinese, ad aderire alla linea del popolo. Mentre gli abitanti di Gaza lottavano per liberare i prigionieri in Cisgiordania, i cittadini della Cisgiordania si sollevavano in difesa di Gaza.

Questa unità popolare deve continuare, in modo da essere alla fine sfruttata sotto forma di unità politica, che riunirà tutti i gruppi palestinesi sotto un’unica guida. Questo è l’unico modo per garantire che gli enormi sacrifici palestinesi e il prezioso sangue versato a Gaza si traducano infine nella libertà a cui tutti i palestinesi aspirano.

Terzo, anche l’unità oltre la Palestina si è rivelata fondamentale. Arabi e musulmani sono stati il ​​fulcro della solidarietà palestinese durante tutta la guerra israeliana a Gaza. Hanno protestato, boicottato, combattuto e mobilitato. Inoltre, decine di milioni di persone, oltre i confini del mondo arabo e musulmano, hanno marciato a favore dei diritti e delle priorità dei palestinesi.

Infatti, discussioni completamente nuove sulla Palestina stanno ora occupando le sfere pubbliche di tutto il mondo. Il Sud del Mondo abbraccia ancora una volta la lotta per la Palestina, mentre il Nord del Mondo sfida i governi, le grandi aziende e i media a giustificare, sostenere e finanziare il Genocidio israeliano.

Il popolo palestinese ora deve guidare e dirigere questo slancio di solidarietà affinché serva ai suoi giusti obiettivi; quelli di uguaglianza, giustizia e libertà, tutti sanciti dal diritto internazionale.

Nessuno spazio pubblico dovrebbe essere lasciato vuoto, nessuna voce dovrebbe restare inascoltata o ignorata e nulla di intentato dovrebbe essere lasciato nella ricerca della massa critica necessaria per ritenere Israele responsabile dei suoi crimini.

I leader e i funzionari occidentali ora parlano apertamente perché capiscono che la causa palestinese è diventata globale e che il prolungamento dell’Occupazione e dell’Apartheid israeliani non sarà di buon auspicio, né per Tel Aviv né per l’Occidente.

È tempo che i palestinesi sfruttino questo momento significativo. È tempo per loro di guidare il processo della propria liberazione. Di fatto, a Gaza, Jenin e altrove, questo processo è già iniziato.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org