Gli inutili 100 giorni di scavo di Netanyahu

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 15 gennaio 2024

La prima regola nello “scavare” è che “se ci si trova in ​​una fossa, si smette di scavare”. La seconda regola insegna: “una volta che si smette di scavare, si è ancora in una fossa”. Questi adagi riassumono le attuali crisi politiche, militari e strategiche di Israele a 100 giorni dall’inizio della guerra contro Gaza.

Il 7 ottobre, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è trovato di fronte alla sfida senza precedenti di dover reagire a un grave attacco lanciato dalla Resistenza Palestinese nel Sud di Israele. Questo evento si sta già rivelando essere un punto di svolta nel rapporto tra israeliani e palestinesi. Il suo impatto si farà sentire per molti anni, se non per generazioni, a venire.

Ma Netanyahu era già in una fossa, si trovava in una situazione di stallo molto prima che avvenisse l’Operazione Onda di Al-Aqsa, e non ha nessuno da incolpare se non se stesso.

Per rimanere al potere ed evitare tre gravi processi per corruzione, Netanyahu ha lavorato per rafforzare la sua posizione al timone della politica israeliana con l’aiuto del governo più estremista mai riunito e in uno Stato la cui stessa esistenza è frutto di un’ideologia estremista.

Persino le proteste di massa anti-Netanyahu tenutesi in tutto Israele, che hanno avuto luogo nei mesi precedenti la guerra, non hanno allertato il leader israeliano che la fossa che si stava scavando stava diventando più profonda o che i palestinesi, vivendo sotto perenne occupazione militare e assedio, avrebbero potuto trovare un’opportunità nella crisi politica e militare di Israele.

Ha semplicemente continuato a scavare.

Il 7 ottobre non dovrebbe essere percepito come un attacco a sorpresa, dal momento che l’intera Divisione Gaza, il massiccio presidio militare israeliano nell’enclave di Gaza, esiste proprio allo scopo di garantire che la sottomissione e l’assedio di Gaza siano perfezionati secondo le più moderne tecnologie militari.

Secondo il sistema di classificazione della forza militare Global Firepower 2024, Israele è al diciassettesimo posto nel mondo, principalmente grazie della sua tecnologia militare. Questa capacità militare avanzata significa che gli attacchi a sorpresa non dovrebbero essere possibili perché non sono gli esseri umani ma piuttosto macchine sofisticate a scansionare, intercettare e segnalare ogni movimento sospetto percepito. Nel caso israeliano, il fallimento è stato profondo e stratificato.

Dopo il 7 ottobre, Netanyahu si è trovato in una fossa molto più profonda. Tuttavia, invece di trovare una via d’uscita, ad esempio assumendosi la responsabilità, unificando il suo popolo o, Dio non voglia, riconoscendo che la guerra non è mai la risposta di fronte a una popolazione oppressa e resistente, ha continuato a scavare.

Il leader israeliano, affiancato dai ministri di estrema destra Itamar Ben-Gvir, Bezalel Smotrich e Amichai Eliyahu, ha peggiorato la situazione usando la guerra a Gaza come un’opportunità per attuare piani a lungo dormienti per la Pulizia Etnica dei palestinesi, non solo nella Striscia di Gaza ma anche in Cisgiordania.

Se non fosse stato per la fermezza del popolo palestinese e il forte rifiuto da parte di Egitto e Giordania di accogliere i profughi palestinesi, la seconda Nakba sarebbe diventata realtà.

Tutti i principali politici israeliani, nonostante le loro differenze ideologiche e politiche, hanno unanimemente cercato di superarsi a vicenda con il loro linguaggio razzista, violento e persino genocida. Mentre il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha immediatamente annunciato che a Gaza “non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, né altro”, il Ministro dell’Agricoltura Avi Dichter ha invocato “la Nakba di Gaza.” Nel frattempo, Eliyahu ha suggerito l’opzione di sganciare una bomba nucleare su Gaza.

Invece di salvare Israele da se stesso ricordando al suo governo che la guerra genocida contro Gaza sarebbe di cattivo auspicio anche per Tel Aviv, l’amministrazione Biden negli Stati Uniti ha svolto il ruolo di sostenitrice e di vera e propria complice.

Oltre al pacchetto aggiuntivo di aiuti di emergenza di 14 miliardi di dollari (12,85 miliardi di euro) attualmente all’esame del Congresso, Washington avrebbe inviato, a partire dal 25 dicembre, 230 aerei e 20 navi cariche di armamenti e munizioni. Secondo un rapporto del New York Times pubblicato la scorsa settimana, anche la CIA è attivamente coinvolta nella raccolta di informazioni su Gaza e nella fornitura di tali informazioni a Israele.

Il sostegno degli Stati Uniti a Israele, in tutte le sue forme, è stato mantenuto nonostante i rapporti scioccanti pubblicati da ogni rispettabile organizzazione benefica internazionale che opera in Palestina e in Medio Oriente.

Ad esempio, la scorsa settimana l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Impiego (UNRWA) ha dichiarato che 1,9 milioni dell’intera popolazione di Gaza, di 2,3 milioni, sono stati sfollati. Save the Children ha riferito che una media di 100 bambini palestinesi vengono uccisi ogni giorno. L’ufficio stampa del governo di Gaza ha affermato che circa il 70% della Striscia è stata distrutta. Anche il Wall Street Journal ha concluso che la distruzione di Gaza è maggiore di quella di Dresda durante la Seconda Guerra Mondiale.

Eppure, nulla di tutto ciò sembra preoccupare il Segretario di Stato americano Antony Blinken, che ha visitato la regione cinque volte in meno di 100 giorni con lo stesso messaggio di sostegno a Israele.

Ciò che è sorprendente, tuttavia, è che la soglia di resilienza di Gaza continua a dimostrarsi ineguagliabile. Ecco quanto sono determinati i palestinesi a raggiungere finalmente la loro libertà. Padri e madri, infatti, in una tragica ripetitività, trasportano i corpi dei loro figli morti, urlando di dolore, pur insistendo sul fatto che non avrebbero mai lasciato la loro terra natale.

Questo dolore dignitoso ha commosso il mondo. Anche se Washington ha assicurato che non verrà intrapresa alcuna azione significativa da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Sudafrica ha chiesto l’aiuto della più alta Corte del mondo e la fine immediata della guerra, insieme al riconoscimento delle atrocità di Israele come atto di Genocidio.

Gli sforzi del Sudafrica presso la Corte Internazionale di Giustizia hanno attivato altri Paesi, soprattutto nel Sud del Mondo. Ma Netanyahu ha continuato a scavare, impassibile o forse inconsapevole che il mondo intorno a lui sta finalmente iniziando a comprendere veramente la sofferenza generazionale dei palestinesi.

Il leader israeliano parla ancora di “migrazione volontaria”, di voler gestire Gaza e la Palestina e di rimodellare il Medio Oriente in modi coerenti con le sue illusioni di grandezza e potere.

Cento giorni di guerra a Gaza ci hanno insegnato che una potenza di fuoco superiore non influenza i risultati quando una nazione prende la decisione collettiva di resistere. Ci ha anche insegnato che gli Stati Uniti non sono più in grado di riordinare il Medio Oriente per adattarlo alle priorità israeliane e che Paesi relativamente piccoli nel Sud del Mondo, se uniti, possono cambiare il corso della storia.

Netanyahu può continuare a scavare, ma la storia è già stata scritta: lo spirito del popolo palestinese ha vinto sulla macchina di morte di Israele.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org