Cisgiordania: le ricadute coloniali del Genocidio di Gaza

Mentre il mondo riflette sugli aspetti tecnici del Genocidio, la Colonizzazione israeliana della Cisgiordania e lo sconvolgimento della vita palestinese non hanno fatto altro che accelerare.

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Di Samia al-Botmeh, Basil Farraj, Fathi Nimer e Abdaljawad Omar – 25 febbraio 2024

Dall’inizio dell’assalto a Gaza nell’ottobre 2023, decine di migliaia di palestinesi sono stati uccisi, feriti o sono dispersi, probabilmente sepolti sotto le macerie delle loro case o rifugi. Quasi due milioni di palestinesi di Gaza sono stati sfollati, mentre il freddo, la sete e la fame attanagliano l’intera popolazione. Mentre il mondo riflette sugli aspetti tecnici del Genocidio, la Colonizzazione israeliana della Cisgiordania e lo sconvolgimento della vita palestinese non hanno fatto altro che accelerare.

In questo articolo, Fathi Nimer, Abdaljawad Omar, Basil Farraj e Samia Botmeh analizzano la situazione in Cisgiordania dal 7 ottobre 2023. Parallelamente alla Campagna di Genocidio del Regime Israeliano su Gaza, gli autori approfondiscono la falsa distinzione tra colono e Stato, la passività dell’Autorità Palestinese (ANP), l’incarcerazione individuale e collettiva dei palestinesi e lo stato disastroso dell’economia della Cisgiordania.

I coloni e lo Stato: Tasselli dello stesso mosaico – Fathi Nimer

In concomitanza con il Genocidio in corso da parte dell’esercito israeliano a Gaza, i coloni israeliani si sono sempre più scatenati in tutta la Cisgiordania. Diffuse richieste di vendetta e punizioni collettive hanno alimentato Campagne di Terrore contro le comunità palestinesi, provocando lo sfollamento forzato di quasi 1.000 residenti da 13 villaggi solo nelle prime quattro settimane successive al 7 ottobre 2023. Tra il 7 ottobre e il 14 dicembre 2023, anche i coloni della Cisgiordania uccisero 11 palestinesi, tra cui 3 bambini, e ne ferirono altri 83.

Ogni volta che i coloni israeliani seminano il terrore in Cisgiordania, i media tradizionali insistono nel tracciare una falsa distinzione tra i gruppi violenti e l’esercito israeliano, suggerendo che quest’ultimo ha semplicemente perso il controllo o non è in grado di fermare gli attacchi. Questa narrazione è stata diffusa all’indomani del Pogrom di Huwara del febbraio 2023, e viene impiegata in modo simile anche oggi. Tale inquadramento nega una verità fondamentale delle dinamiche in atto in Cisgiordania e deriva dall’errato presupposto che la missione dell’esercito israeliano sia in contrasto con quella dei coloni israeliani. In realtà, l’esercito israeliano è stato esplicitamente incaricato di realizzare gli obiettivi dello Stato di sostenere il Progetto di Insediamento e facilitare il trasferimento della popolazione palestinese dal 1967. A questo proposito, i coloni israeliani in Cisgiordania sono soldati di fanteria motivati dall’ideologia: i loro obiettivi sono quelli del Regime Israeliano e viceversa.

Non possiamo parlare del movimento dei coloni come qualcosa di separato dai più ampi Progetti di Colonizzazione sostenuti dallo Stato, come il Piano Allon, le cui linee guida animano ancora oggi gran parte dell’attività di insediamento del Regime Israeliano. Pertanto, gli avamposti e le colonie dei coloni non spuntano spontaneamente dal terreno; piuttosto, derivano da scelte politiche deliberate. La maggior parte degli insediamenti sono designati come aree di priorità nazionale, che danno diritto ai loro residenti ad alloggi sovvenzionati, istruzione e altri benefici per incoraggiare l’accaparramento di terre. Inoltre, quando i coloni vagano per i quartieri palestinesi e bruciano i loro villaggi, sono protetti e scortati dalle Forze di Occupazione Israeliane. Se i palestinesi osano difendersi, l’esercito entra in azione per picchiarli, detenerli e persino ucciderli.

In un contesto del genere, è farsesco suggerire una distinzione tra Violenza dei Coloni e Violenza dello Stato: fanno parte della stessa struttura coloniale e non solo si completano a vicenda, ma dipendono l’uno dall’altro. Nelle rare occasioni in cui si verificano attriti tra coloni e soldati, tale dinamica scaturisce da disaccordi sulle Tattiche di Colonizzazione della Cisgiordania, non sull’obiettivo in sé. I coloni in genere incoraggiano una conquista rapida e diretta del territorio, mentre l’esercito segue la politica statale di un approccio più metodico per mantenere una plausibile negabilità di fronte all’opinione pubblica mondiale. Ciò può portare a tensioni, poiché i coloni vedono lo Stato come indeciso, mentre lo Stato vede le azioni dei coloni come indiscrete.

Anche se alcuni sostengono erroneamente che i coloni della Cisgiordania rappresentano un gruppo radicale “marginale”, essi godono del sostegno popolare di vaste fasce della popolazione israeliana. La prova di ciò è stata vista nel corso di molteplici elezioni, poiché i leader dei coloni hanno raggiunto i livelli più alti dell’istitutivo politico e ricoprono il ruolo di generali e ministri. I partiti che dichiarano di esistere per servire ed espandere il movimento degli insediamenti in Cisgiordania ora sono parte integrante della coalizione di governo. Tali progressi hanno garantito ai coloni ulteriore impunità e privilegi: infatti, sono stati armati con oltre 150.000 fucili d’assalto dall’inizio dell’Incursione Genocida a Gaza il 7 ottobre.

Alla luce della riluttanza dell’amministrazione Biden a esercitare pressioni su Israele affinché cessi il suo sanguinoso attacco a Gaza, e del conseguente calo dei consensi di Biden, la Casa Bianca si è affrettata ad annunciare un divieto di visto per i “coloni estremisti” in Cisgiordania come un modo per per placare la propria base in vista delle elezioni presidenziali del 2024. Tali misure mirano a “dozzine” di coloni e sono progettate principalmente per dare l’illusione che gli Stati Uniti stiano intraprendendo azioni concrete per proteggere i palestinesi. La natura performativa di questa azione diventa particolarmente chiara se si considera che oltre 160.000 coloni in Cisgiordania sono cittadini statunitensi e non sarebbero interessati da un simile divieto. Questi occupanti abusivi statunitensi e i loro sostenitori sono stati ampiamente documentati come alcuni dei gruppi più bellicosi responsabili del furto delle case palestinesi.

Naturalmente, la distinzione fatta dalla comunità internazionale tra gli insediamenti in Cisgiordania e quelli altrove nella Palestina Colonizzata è imprecisa fin dall’inizio. Tutte le comunità israeliane dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo sono costruite su terra palestinese rubata, e i tentativi di legittimare quelle all’interno dei Territori del 1948 negano la fondamentale Natura Coloniale del Progetto Statale Israeliano. Pertanto, quando ricordiamo che gli israeliani sono coloni per definizione, la facciata della distinzione tra colono e Stato si sgretola e ci rimane solo la lampante realtà che i due sono la stessa cosa.

La scommessa dell’inazione dell’Autorità Palestinese  – Abdaljawad Omar

L’Autorità Palestinese governata da Fatah ha mantenuto una strategia coerente di indifferenza verso il destino dei palestinesi di Gaza, così come di quelli che governa in Cisgiordania. Invece di sfidare con forza il Genocidio in corso, i rappresentanti dell’Autorità Palestinese hanno offerto solo una vuota retorica che li assolve dalla responsabilità di rispondere con l’azione. In tal modo, l’intento dell’Autorità Palestinese di mantenere l’attuale approccio nei confronti del Regime Israeliano, vale a dire che continuerà a puntare sulla collaborazione sulla sicurezza e il contenimento dell’azione politica collettiva in Cisgiordania come mezzo per garantire che gli interessi dell’élite politica rimangano inalterati dal Genocidio che si svolge a chilometri di distanza.

Per comprendere appieno le intricate dinamiche che modellano la risposta dell’Autorità Palestinese, o la sua mancanza, al massacro di palestinesi in corso a Gaza, è necessario approfondire la moltitudine di pressioni che deve affrontare. Il primo tra questi è il movimento dei coloni della Cisgiordania, che ora esercita un’influenza significativa sulle politiche del governo di coalizione del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. L’approccio di questo movimento cerca di rendere l’Autorità Palestinese obsoleta eliminando qualsiasi idea che possa proteggere i palestinesi che supervisiona. Infatti, i coloni continuano a sequestrare proprietà palestinesi e a uccidere palestinesi impunemente. Per assicurarsi di poter motivare questa vasta base di coloni a sostegno della sua continua dirigenza, Netanyahu continua a trattenere i fondi dall’Autorità Palestinese e insiste sul fatto che sarà assente da qualsiasi piano del  “giorno dopo” per Gaza dopo l’attuale Pulizia Etnica.

Un’altra pressione può essere trovata dal riemergere della Resistenza Popolare Palestinese al Progetto Coloniale israeliano in Cisgiordania. Le recenti insurrezioni armate nelle regioni settentrionali sono indicative di un ribaltamento della base sociale di Fatah. Questa politica di distacco dall’Autorità Palestinese si è lentamente rivelata efficace nel creare zone di autodifesa e sfidare sia le Forze di Occupazione Israeliane che la passività dell’Autorità Palestinese. Una nuova generazione di combattenti è sostenuta da organizzazioni politiche consolidate: Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Hamas e Jihad Islamica, nello sforzo di creare un Movimento di Resistenza Armata più organizzato e duraturo. Questa ribellione non sarebbe stata possibile senza la perdita della presa ideologica e sociale dell’Autorità Palestinese sul popolo palestinese, soprattutto tra le comunità della classe operaia nei campi profughi e nei densi spazi urbani del Nord. La popolarità di questi gruppi e la portata delle loro attività di Resistenza dimostrano l’indebolimento del dominio dell’Autorità Palestinese, una tendenza che non è passata inosservata alle forze israeliane, che hanno risposto con ripetute incursioni militari in luoghi come Jenin, Tulkarem e Nablus, così come omicidi mirati di persone con presunta affiliazione.

Oltre alle pressioni interne, negli ultimi anni l’Autorità Palestinese è diventata sempre più isolata sia a livello regionale che globale. Perfino gli Stati Uniti, un grande sostenitore dell’Autorità Palestinese per il suo ruolo di garante locale, l’hanno esclusa da varie manovre diplomatiche. Un esempio di ciò sono stati gli Accordi di Abramo, mediati dagli Stati Uniti, che hanno completamente aggirato l’Autorità Palestinese e di fatto hanno ignorato l’esistenza della Palestina. Un’ulteriore prova può essere vista con lo svolgersi del Genocidio a Gaza, mentre i politici statunitensi segnalano il loro desiderio di un’Autorità Palestinese “rivitalizzata”, compresa la sua dirigenza, composizione e alleanze che formano la classe politica dell’Autorità Palestinese. Tuttavia, nonostante il loro desiderio di “rinnovamento” nell’Autorità Palestinese, gli Stati Uniti e i loro alleati nella regione rimangono senza dubbio rassicurati dall’inerzia e dalla fermezza dell’attuale Autorità Palestinese nella sua politica collaborazionista di coordinamento della sicurezza con il Regime Israeliano.

Ciononostante, l’Operazione Onda di Al-Aqsa ha spezzato lo status quo, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania. L’Autorità Palestinese si è da tempo ancorata al pragmatismo, che diffonde l’idea che le strade per il cambiamento sono limitate. Leader come Abbas e i suoi più stretti consiglieri fanno molto affidamento su questa narrazione e spesso criticano la Resistenza Armata Palestinese definendola inutile. Questo approccio, tuttavia, è sempre più impopolare. Recenti sondaggi in Cisgiordania hanno visto uno sconcertante 60% degli intervistati sostenere la disintegrazione dell’Autorità Palestinese e oltre il 90% chiedere le dimissioni di Abbas.

In mezzo a queste pressioni, l’Autorità Palestinese sta aspettando il suo momento; una relativa vittoria della Resistenza Palestinese a Gaza o una soluzione regionale più ampia potrebbero riportarla dai margini. Fino ad allora, l’Autorità Palestinese spera che la sua stasi le consentirà di raccogliere i benefici della guerra senza immergersi nella battaglia.

Rafforzare la detenzione in Cisgiordania – Basil Farraj

Le prigioni sono sempre state centrali nella geografia della violenza e della tortura del Regime Israeliano. Anche in Cisgiordania e a Gaza la reclusione si è evoluta in uno stato più ampio sotto il quale si trova l’intera popolazione palestinese. Ciò è avvenuto in particolare dall’inizio del Genocidio a Gaza, quando l’esercito israeliano intensifica le sue campagne di arresto contro i palestinesi e tiene sotto assedio intere comunità, ponendo severe restrizioni ai loro movimenti e alla loro vita quotidiana.

Il numero dei prigionieri palestinesi è più che raddoppiato negli ultimi quattro mesi. Secondo dati recenti, il numero di palestinesi della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, detenuti dalle forze israeliane dal 7 ottobre ha raggiunto i 6.500 detenuti. Questo si aggiunge alle decine arrestati nei Territori del 1948. Rapporti e testimonianze indicano che anche i palestinesi di Gaza sono detenuti in condizioni estremamente dure e sono sottoposti a nuovi livelli di tortura. Infatti, i prigionieri hanno descritto le condizioni nelle prigioni israeliane come simili a quelle dei primi anni dell’Occupazione della Cisgiordania e di Gaza. Ciò include numerose misure progettate per isolare completamente i prigionieri, tra cui il divieto di visite ai familiari e la limitazione delle visite degli avvocati. Altre misure utilizzate dal Servizio Penitenziario Israeliano includono la riduzione dell’accesso all’acqua e all’elettricità, la fornitura di cibo inadeguato e insufficiente, la chiusura delle mense carcerarie, la confisca degli effetti personali dei prigionieri e il rifiuto delle cure mediche, esasperando ulteriormente la sua politica di sistematica negligenza medica. Questa brutale campagna di tortura e violenza contro i prigionieri palestinesi ha finora portato alla morte di sette prigionieri, oltre a un numero imprecisato, recentemente rivelato, di palestinesi uccisi in una base militare israeliana nel Sud della Palestina.

Gli abusi sui prigionieri politici palestinesi non possono essere separati dal più ampio trattamento riservato alla popolazione palestinese da parte del Regime Israeliano. Infatti, i palestinesi tracciano da tempo parallelismi tra quella che viene comunemente definita la piccola prigione, cioè le prigioni e le strutture di detenzione israeliane, e la prigione più grande, che è la Palestina, sotto il colonialismo dei coloni israeliani. La violenza e la tortura praticate nelle carceri israeliane rispecchiano le misure messe in atto per confinare e controllare la popolazione palestinese in tutta la Palestina Colonizzata.

Questa dinamica è stata fortemente avvertita in Cisgiordania, dove l’esercito israeliano ha ulteriormente limitato il movimento già controllato dei palestinesi dall’inizio del Genocidio a Gaza. Ciò include il blocco degli ingressi alla maggior parte dei villaggi, paesi e città palestinesi attraverso blocchi di cemento, posti di blocco militari e cancelli di ferro. I palestinesi di tutta la Cisgiordania hanno riferito di aver trascorso ore ai posti di blocco per raggiungere i luoghi di lavoro e le scuole, e di aver subito aggressioni e percosse da parte dell’esercito israeliano all’ingresso di villaggi e città palestinesi. Ciò si aggiunge al divieto di accesso a Gerusalemme e ai Territori del 1948 da parte di Israele. Di conseguenza, la Cisgiordania è stata, di fatto, isolata dal resto della Palestina Colonizzata.

Inoltre, l’esercito israeliano continua a invadere quotidianamente città e villaggi palestinesi, arrestando, torturando e molestando i palestinesi e impiegando la politica del “sparare per uccidere” in tutta la Cisgiordania. Queste pratiche violente, anche da parte di coloni armati, hanno provocato la morte di oltre 350 palestinesi dal 7 ottobre. Allo stesso modo, i palestinesi sono stati uccisi, torturati e maltrattati durante e dopo il loro arresto da parte dell’esercito israeliano. Pertanto, metodi di violenza simili vengono impiegati in tutta la Cisgiordania, sia all’interno che all’esterno delle mura delle carceri israeliane.

Queste pratiche non sono nuove, ma piuttosto centrali nel Progetto Coloniale di Insediamento di Israele. Tuttavia, la loro intensificazione negli ultimi mesi, oltre alla crescente violenza dei coloni e ai furti di terre, sta trasformando la Cisgiordania in un insieme frammentato di prigioni, dove i meccanismi israeliani di controllo e violenza dilagano. Le misure adottate per modificare le condizioni di prigionia all’interno delle carceri israeliane si rispecchiano nelle pratiche violente volte a trasformare le geografie colonizzate della Palestina in spazi di reclusione localizzati. È importante sottolineare che la nozione palestinese di piccola e grande prigione non è meramente metaforica ma una realtà che, se non contrastata, si trasformerà in una condizione carceraria permanente.

Il Genocidio di Gaza e l’economia Della Cisgiordania – Samia Botmeh

L’economia palestinese non è estranea alla devastazione economica. L’Occupazione della Cisgiordania e di Gaza da parte del Regime Israeliano nel 1967 ha messo in moto una serie di politiche volte garantire un’economia palestinese dipendente. Gli Accordi di Oslo del 1993 istituzionalizzarono ulteriormente le strutture coloniali di dipendenza e decapacitarono l’economia palestinese per garantirne la continua repressione e la dipendenza da fonti esterne per la sua sopravvivenza economica. La devastazione dell’economia palestinese da parte del Regime Israeliano durante la Seconda Intifada e le ripetute guerre a Gaza dal 2008 hanno ulteriormente eroso la base produttiva dell’economia privandola delle risorse necessarie per il suo potenziale sviluppo.

Sebbene la Cisgiordania sia sfuggita ai bombardamenti in quest’ultimo assalto, il Regime Israeliano ha comunque preso di mira il territorio con una serie di misure oppressive con gravi ripercussioni economiche. Tali misure hanno incluso restrizioni alla circolazione, ritardi nell’elaborazione degli scambi di beni e servizi, attacchi e incursioni che impediscono ai palestinesi dei Territori del 1948 di accedere ai mercati delle merci in Cisgiordania, nonché la trattenuta delle tasse palestinesi di sdoganamento.

Inoltre, il Regime Israeliano ha vietato a migliaia di lavoratori palestinesi di accedere al mercato del lavoro israeliano, con conseguente aumento della disoccupazione e maggiore concorrenza per i posti di lavoro in Cisgiordania. Secondo l’Ufficio Centrale Palestinese di Statistica (PCBS) e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), la disoccupazione in Cisgiordania e Gaza è più che raddoppiata nel quarto trimestre del 2023, raggiungendo circa il 29% in Cisgiordania dall’Assalto Genocida contro Gaza. Allo stesso tempo, i salari giornalieri in Cisgiordania sono diminuiti a causa dell’enorme disponibilità di lavoratori, creando un mercato pieno di sfruttamento salariale. Le perdite giornaliere di reddito ammontano all’incredibile cifra di 12,8 milioni di dollari (11,7 milioni di euro) per i lavoratori della Cisgiordania. Perdite di reddito di questa entità hanno portato ad un aumento dei tassi di povertà e disuguaglianza in tutta la Cisgiordania e probabilmente avranno conseguenze devastanti oltre il breve termine.

La perdita di lavoro nel mercato del lavoro israeliano non è l’unica ragione del forte aumento dei tassi di disoccupazione. Anche le restrizioni alla mobilità del lavoro dovute alle barriere alla circolazione in Cisgiordania, come menzionato nella sezione precedente, hanno influenzato i mercati del lavoro. Il forte aumento delle barriere e dei posti di blocco in tutta la Cisgiordania dal 7 ottobre ha portato a un aumento significativo dei tempi e dei costi del pendolarismo. A causa del confinamento nelle proprie località e dell’impossibilità di raggiungere datori di lavoro in altre comunità, molti lavoratori si sono visti licenziare. Il PCBS e l’ILO stimano che nei primi due mesi dall’inizio dell’assalto a Gaza, in Cisgiordania sono andati persi 250.000 di posti di lavoro.

Tali restrizioni alla circolazione e la chiusura del mercato israeliano hanno colpito anche le imprese del settore privato in Cisgiordania, in parte aumentando i costi di acquisizione di materiali e attrezzature di produzione, che provengono prevalentemente da fuori delle principali città e spesso da fuori della Cisgiordania. Anche i costi di consegna e spedizione, sia a livello nazionale che internazionale, sono aumentati, riducendo ulteriormente i margini di profitto. Di conseguenza, le stime preliminari del PCBS indicano che, nei mesi di ottobre e novembre 2023, la produzione in Cisgiordania è diminuita di circa il 37%, con una perdita stimata di 500 milioni di dollari (457 milioni di euro) al mese.

Tuttavia, anche se lo stato attuale dell’economia palestinese può essere eccezionalmente disastroso, non deve essere confuso con il prodotto di circostanze inevitabili. È invece il risultato del funzionamento sotto una delle forme più feroci di colonizzazione dei tempi moderni. Inoltre, è abbondantemente chiaro che i “modelli di ripresa”, promossi dalla Banca Mondiale e da altre istituzioni internazionali, hanno regolarmente fallito nell’affrontare questo contesto e si sono invece concentrati su politiche neoliberiste inefficaci, aggravando ulteriormente la sottomissione economica palestinese.

Questo momento orribile dell’esperienza palestinese richiede un ripensamento sulla natura politica della ripresa economica. Per fare ciò, è necessario adottare misure per porre fine alla dipendenza coloniale e rafforzare la base produttiva dell’economia palestinese. Tali passi includono la fine di ciò che resta dell’unione doganale forzata con Israele, la fine delle politiche volte a spingere le persone ad accedere al credito bancario per finanziare i loro consumi quotidiani, gli investimenti nell’agricoltura e nella produzione locale e il ripristino dei principi di solidarietà economica tra i palestinesi. Queste iniziative potrebbero gettare le basi per una più forte Resistenza collettiva contro l’assedio coloniale dei coloni sionisti all’economia palestinese.

Samia Al-Botmeh è professoressa assistente di economia presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Birzeit. È stata direttrice del Centro di Studi sullo Sviluppo presso l’Università di Birzeit fino al 2014. Ha lavorato come ricercatrice presso l’Istituto di Ricerca sulla Politica Economica della Palestina a Ramallah. Ha completato il dottorato di ricerca in economia del lavoro presso la Facoltà di Studi Africani e Orientali dell’Università di Londra. Aree di interesse e pubblicazioni sono l’economia di genere, l’economia del lavoro e l’economia politica dello sviluppo. Si è impegnata nella ricerca sulle alternative allo sviluppo neoliberista in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e sui differenziali di genere nei risultati del mercato del lavoro.

Basil Farraj è professore assistente presso il Dipartimento di Filosofia e Studi Culturali dell’Università di Birzeit. Attualmente sta lavorando a un progetto di ricerca che esplora la circolazione globale delle pratiche carcerarie, finanziato dal Consiglio Arabo per le Scienze Sociali. La sua ricerca affronta le intersezioni tra memoria, resistenza e arte dei prigionieri e di altri soggetti vittime di violenza. Ha condotto ricerche in diversi paesi tra cui Cile, Colombia e Palestina.

Fathi Nimer è il responsabile politico di Al-Shabaka per la Palestina. In precedenza ha lavorato come ricercatore associato presso il Mondo Arabo per la Ricerca e lo Sviluppo, docente presso l’Università di Birzeit e responsabile del programma presso il Centro di Ramallah per gli studi sui diritti umani. Fathi ha conseguito un dottorato in Scienze Politiche presso l’Università di Heidelberg ed è co-fondatore di DecolonizePalestine.com, un archivio di conoscenze sulla questione palestinese. La sua ricerca ruota attorno all’economia politica e alla politica controversa. La sua ricerca attuale è sulla sovranità alimentare, l’agroecologia e l’economia della Resistenza in Palestina.

Abdaljawad Omar è uno scrittore e conferenziere residente a Ramallah, in Palestina. Attualmente insegna presso il Dipartimento di Filosofia e Studi Culturali dell’Università di Birzeit.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org