Il vero motivo per cui lo slogan “dal fiume al mare” ha raccolto così tante condanne

La falsa etichettatura degli slogan di liberazione palestinese, come quello “dal fiume al mare”, come appelli all’eliminazione degli ebrei, rivela l’ansia israeliana per l’espropriazione dei palestinesi dalla loro terra.

Fonte: English version

Dottor Khalil Barhoum – 9 marzo 2024

Immagine di copertina: Studenti per la Giustizia in Palestina presso la Ohio State University (SJP-OSU) tengono lo striscione “Dal fiume al mare” durante la protesta del Giorno della Resistenza a Columbus, Ohio, 13 ottobre 2023. (Foto: Paul Becker/Becker1999)

George Orwell una volta disse: “In un’epoca di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”.

Secondo molti parametri, i palestinesi sono considerati una piccola minoranza nel mondo arabo, e quindi infinitamente più piccola a livello mondiale. Pertanto, è abbastanza sconvolgente vedere milioni di persone in tutto il mondo manifestare regolarmente per esprimere solidarietà alla lotta palestinese, da quando l’assalto israeliano a  Gaza è iniziato più di cinque mesi fa. Persino il mondo occidentale, i cui governi hanno incautamente condonato e incoraggiato la missione genocida di Israele contro il popolo palestinese, non è stato immune da questo massiccio fenomeno di solidarietà internazionale. Il fatto che a quanto pare su questo tema si stia sviluppando un serio divario tra le strade  e la burocrazia occidentale non può più essere facilmente negato o ignorato. In effetti, da nessuna parte questo abisso si è riflesso più ampiamente che negli Stati Uniti.

Il 7 novembre 2023, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha votato per censurare la deputata democratica Rashida Tlaib del Michigan, l’unica palestinese americana al Congresso, per la sua  posizione sul brutale e indiscriminato bombardamento di Gaza da parte di Israele. La risoluzione della Camera è passata con un conteggio finale di 234 su 188 voti, guadagnandosi il sostegno della maggior parte dei repubblicani e di 22 colleghi democratici di Tlaib.

Il voto per la censura di Tlaib non è stato una sorpresa dal momento che la deputata, al suo terzo mandato, è stata a lungo bersaglio di critiche per le sue opinioni sulle violazioni dei diritti umani dei palestinesi da parte di Israele, da lei duramente condannate,  e per il suo appello per una “Palestina libera”. Più specificamente, la sua apparizione ad una manifestazione sotto lo slogan “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera” è stata interpretata dai suoi detrattori come un chiaro appello alla distruzione dello Stato di Israele e, come tale, è stata da alcuni accusata di essere antisemita..

Per ironia della sorte, il proclama del figlio di Benjamin Netanyahu sulle sue pagine di social media, “Israele dal fiume al mare”, non ha registrato alcuna un’obiezione, né i proclami di Netanyahu secondo cui Israele manterrà il controllo della Cisgiordania e di Gaza sono stati denunciati come un segnali e presagi della sottomissione perpetua del popolo palestinese da parte di Israele. In effetti, entrambi i proclami sono perfettamente in linea con la Carta del partito Likud di Netanyahu del 1977, che dichiarava che “tra il Mare e il Giordano ci sarà solo la sovranità israeliana”.

Tlaib ha commentato: “L’idea che criticare il governo di Israele sia antisemita costituisce un precedente molto pericoloso. Ed è stato utilizzato per mettere a tacere le diverse voci che parlano a favore dei diritti umani in tutta la nostra nazione”. Intervenendo in sua difesa alla Camera, il suo collega membro del Congresso democratico ebreo, il deputato Jamie Raskin (MD) ha dichiarato: “Questa risoluzione non solo degrada la nostra Costituzione, ma sminuisce il significato della disciplina in questo organismo per le persone che effettivamente commettono azioni illecite come corruzione, frode, aggressione violenta e così via”.

Va notato che la censura, considerata un gradino sotto l’espulsione, è per lo più vista come una punizione di ultima istanza da utilizzare solo per i comportamenti illeciti più gravi. Comunque sia, quest’anno Tlaib è diventata la seconda donna musulmana-americana al Congresso ad essere così rimproverata per le sue critiche a Israele, seguendo le orme della deputata Ilhan Omar, D-Minn., rimossa in precedenza dalla Commissione Affari Esteri della Camera per commenti considerati critici nei confronti di Israele.

Lo slogan che ha messo nei guai Rashida Tlaib, la frase che chiede la libertà per i palestinesi “dal fiume al mare”, è lo stesso che è valso a Marc Lamont Hill il licenziamento da commentatore della CNN nel novembre 2018, sebbene la rete non lo avesse ammesso esplicitamente Hill, un professore afro-americano di studi sui media alla Temple University, ha twittato dopo il suo licenziamento: “Il mio riferimento al ‘fiume al mare’ non era un appello a distruggere qualcosa e qualcuno. È stata una richiesta di giustizia, sia in Israele che in Cisgiordania/Gaza. Il discorso diceva queste cose in modo molto chiaro e specifico”. Ha aggiunto: “Sostengo la libertà palestinese. Sostengo l’autodeterminazione palestinese… Non sostengo l’antisemitismo, l’uccisione di ebrei o qualsiasi altra cosa attribuita al mio discorso. Ho passato la vita a combattere queste cose”.

Allo stesso tempo, del tutto contrariamente alla posizione morale e di principio di Hill sulla Palestina, la storia registrerà l’atteggiamento ossequioso della maggior parte dei membri del Black Congressional Caucus che, ad eccezione di poche anime coraggiose e coscienziose, sono stati l’emblema del puro opportunismo politico sulla questione della posizione di Israele riguardo ai decenni di occupazione militare e apartheid. Non sorprende che siano proprio quei coraggiosi membri del Congresso (vale a dire, Jamaal Bowman, Summer Lee, Cori Bush) insieme al resto della cosiddetta Squad, inclusi Tlaib e Omar, ad essere ora presi di mira per la sconfitta da parte dell’AIPAC nel ciclo elettorale in corso.

A pensarci bene, poiché le cose possono essere delineate anche dal loro contrasto, sorge la domanda: “Quale sarebbe l’alternativa logica di un appello alla libertà per i palestinesi dal fiume al mare?” È l’attuale situazione prevalente di brutale occupazione israeliana, assedio disumano, pogrom di coloni, esproprio di terre, rapimenti e torture, omicidi mirati e demolizioni di case, il tutto racchiuso in uno stato permanente di soffocante apartheid?

In effetti, non solo il governo degli Stati Uniti è soddisfatto di ciò; esso, insieme alla maggior parte dei Paesi occidentali, è stato il principale facilitatore e sostenitore di Israele politicamente, economicamente e militarmente, ignorando completamente le condizioni insopportabilmente disumane vissute dai palestinesi sotto l’oppressivo governo militare di Israele. Semmai, gli Stati Uniti sembravano sempre più turbati ogni volta che i palestinesi che vivono in queste condizioni insopportabili fanno il minimo sforzo per ribaltare il loro schiacciante status quo, pacificamente o in altro modo.

Considerando la triste realtà sul terreno in Palestina e la mancanza di qualsiasi sollievo all’orizzonte, viene in mente una fastidiosa domanda ipotetica relativa a ciò che è accaduto il 7 ottobre dello scorso anno: se i neri sudafricani sotto l’apartheid avessero lanciato un violento attacco contro un regime esclusivista di apartheid bianco, simile a quello lanciato da Hamas, gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali si sarebbero mobilitati e avrebbero immediatamente inviato le loro flotte di navi da attacco multiple e portaerei, per proteggere il regime bianco sudafricano e allo stesso tempo dichiarare colpevoli i neri sudafricani accusandoli di essere terroristi irredimibili?

Nonostante non abbia bisogno di una risposta, questa domanda fornisce comunque alcuni spunti di riflessione in quanto getta luce sulla relazione simbiotica tra Occidente e Israele, con quest’ultimo che funziona principalmente come il principale avamposto colonialista dell’Occidente nell’importantissimo e ricco Medio Oriente.

Per approfondire la questione, tuttavia, può essere utile ricordare che l’African National Congress non ha esitato a usare la violenza contro il regime di apartheid afrikaner  che, fino alla fine, ha mantenuto legami molto stretti con Israele, un fatto che ha portato l’ANC a venire  designato come gruppo terroristico facendo guadagnare a Nelson Mandela l’etichetta di terrorista da parte del governo degli Stati Uniti. Di fatto, molto tempo dopo essere diventato presidente, il 10 maggio 1994, Mandela rimase sulla lista di controllo del terrorismo statunitense finché la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti non approvò una risoluzione che rimuoveva l’ANC dalla lista dei terroristi nel 2008. Dopo 27 anni di reclusione da parte del regime bianco sudafricano, Mandela dichiarò apertamente: “Sappiamo troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi”.

Detto questo, l’inevitabile realtà è che per così tanto tempo a Israele sono state tollerate tutte le sue violazioni dei diritti umani palestinesi ed è stato considerato un paese al di sopra della legge, nonostante abbia ripetutamente mostrato aperto disprezzo per le convenzioni internazionali e le leggi umanitarie, per non parlare di menzionare il suo aperto disprezzo per le molteplici risoluzioni delle Nazioni Unite relative alla Palestina e ai diritti dei palestinesi. Oltre a godere della copertura politica degli Stati Uniti e dell’Occidente, Israele è stato in grado di proteggersi dalle critiche manipolando sfacciatamente la memoria dell’Olocausto, sostenendo di avere il sostegno degli ebrei di tutto il mondo.

Su entrambe le affermazioni, tuttavia, Israele oggi si trova a confrontarsi frontalmente con migliaia di ebrei, in particolare quelli i cui familiari sono stati vittime dell’Olocausto, che sono rimasti completamente sconvolti dal ricorso di Israele all’Olocausto per giustificare le sue atrocità contro il popolo palestinese. E sta diventando del tutto indiscutibile che Israele non rappresenta tutti gli ebrei, né gode del sostegno e dell’approvazione generale da parte degli ebrei. Se fosse necessaria una prova di ciò, basta assistere alle incessanti proteste di migliaia di ebrei negli Stati Uniti e in Europa che hanno manifestat recentemente per la libertà dei palestinesi e contro il massacro in corso da parte di Israele a Gaza.

Inoltre, nell’uso della violenza contro i palestinesi sotto occupazione, Israele ha invariabilmente fatto ricorso al proprio bisogno di sicurezza. In questo caso, tuttavia, sembra piuttosto paradossale che uno Stato, fondato sulla premessa sionista e sulla promessa che sarebbe stato un rifugio sicuro per tutti gli ebrei, sia proprio il posto più pericoloso in cui trovarsi per gli ebrei. Infatti, dalla sua fondazione, in Israele sono stati uccisi più ebrei, con un ampio margine, che in qualsiasi altra parte del mondo.

Ironicamente, se Israele si è sentito così minacciato dalla popolazione civile sotto la sua spietata occupazione decennale, perché allora ha costantemente rifiutato di ammettere una forza internazionale di mantenimento della pace nel territorio occupato ogni volta che gli sfortunati palestinesi sotto occupazione ne facevano appello? La verità è che Israele ha sempre scelto l’espansione territoriale piuttosto che la sicurezza, rifiutando quindi innumerevoli sforzi di pace e risoluzioni delle Nazioni Unite che gli offrivano sicurezza in cambio della fine della sua occupazione.

Ora, guardando la situazione da una lente diversa, ci si chiede se sia addirittura possibile che la paura e l’insicurezza di Israele possano avere qualcosa a che fare con il suo sentimento latente di ansia per l’espropriazione dei palestinesi e la sua perpetua negazione di qualsiasi illecito contro di loro. Se così fosse, ciò potrebbe effettivamente aiutare a spiegare l’insistenza di Israele affinché i palestinesi espropriati riconoscano non solo la sua esistenza, ma piuttosto il suo diritto a esistere. Ecco perché, dopo tutti questi anni passati a sfuggire alla realtà, gli israeliani devono ancora convincersi a riconoscere il loro ruolo primario nel peccato originale, la Nakba, che nel 1948 inaugurò lo spostamento premeditato e la sostituzione della popolazione indigena palestinese con la recente migrazione ebraica. A dire il vero, non solo Israele continua a negare seriamente il suo precedente smembramento della società palestinese, ma sta tentando di effettuare una nuova rottura al suo interno proprio ora a Gaza.

Inoltre, proprio come nel primo esodo forzato palestinese nel 1948, gli Stati Uniti hanno collaborato ancora una volta con gli stessi esecutori colonialisti europei bianchi per facilitare l’attuale catastrofe in corso nella Palestina occupata. E mentre Israele continua a portare avanti la sua guerra genocida e i suoi programmi di pulizia etnica sia a Gaza che in Cisgiordania, i sostenitori filo-israeliani sono affaccendati a distrarre il mondo tirando fuori slogan, sostenendo che l’appello alla libertà per i palestinesi “dal fiume al mare” equivale ad un appello per l’eliminazione degli ebrei in Israele.

Quindi, in un momento in cui persone comuni ben intenzionate e personaggi pubblici coraggiosi si trovano a dover difendere la propria umanità e integrità da accuse così insensibili, è abbastanza deludente ricordare le parole del Mahatma Gandhi ad Harijan il 26 novembre 1938 in relazione alla questione della Palestina:

“La Palestina appartiene agli arabi nello stesso senso in cui l’Inghilterra appartiene agli inglesi o la Francia ai francesi. È sbagliato e disumano imporre gli ebrei agli arabi. Ciò che sta accadendo oggi in Palestina non può essere giustificato da alcun codice di condotta morale… Sicuramente sarebbe un crimine contro l’umanità contenere gli orgogliosi arabi in modo che la Palestina possa essere restituita agli ebrei, in parte o del tutto, come la loro patria nazionale”

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictaplestina.org

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