Refaat Alareer vive

Ho finalmente capito che ciò che mi ha insegnato il dottor Refaat e il potere delle sue parole lo tengono in vita. Finché respirerò, racconterò le sue storie e le infinite storie della mia città occupata e messa a tacere.

Fonte: English version

Amna Shabana – 16 marzo 2024

Immagine di copertina: Refaat Alareer durante la guerra. (Foto: Account Refaat Alareer su X)

“No, non cadere in ginocchio ”, mi ha implorato mia cugina Saja in lacrime, abbracciandomi mentre mi guardava reagire alla notizia. Ho pianto, cadendo a terra, le ginocchia che mi tremavano

La visita di Saja dell’8 dicembre è stata  la più difficile dall’inizio dell’intenso bombardamento israeliano di Gaza il 7 ottobre 2023. Quel giorno ho scoperto che il mio professore, Refaat Alareer, 44 anni, era stato ucciso il 6 dicembre per aver detto la verità sui palestinesi  e aver raccontato le loro storie nella Striscia di Gaza assediata.

Nel 2019 mi aveva aiutato a scrivere la mia prima poesia, che avevo poi recitato alla fiera della poesia presso l’Università islamica di Gaza (IUG). “Sono orgoglioso di te, Amna. Hai accettato la sfida”, aveva scritto.

Nel 2021 mi aveva chiamato “collega” e mi aveva assistito nella mia prima esperienza di insegnamento allo IUG. “Congratulazioni, Amna. Insegnerai in un corso di inglese”, aveva scritto.

Lo scorso settembre mi aveva supportato nella mia prima esperienza formativa. Avevamo compilato insieme i materiali formativi. “Ottimo lavoro. Hai fatto più che abbastanza”, aveva scritto.

Alla fine di novembre si era assicurato che fossi al sicuro. Gli avevo detto che stavo bene, ma non potevo ancora condividere le mie storie con il mondo perché la connessione Internet era instabile. “Va bene; stai al sicuro”, aveva scritto.

A dicembre ha smesso di mandarmi messaggi.

Avendo saputo dell’assassinio del dottor Refaat, ho passato l’intera giornata a piangere. Non avrei mai immaginato che sarebbe stato ucciso durante la guerra, ho sempre pensato che alla fine sarebbe emerso come uno dei suoi testimoni e narratori protagonisti.

Durante tutte le passate aggressioni israeliane contro l’enclave costiera, ha documentato e condiviso le storie, le conversazioni, le preoccupazioni e i desideri dei suoi figli. Quando quelle guerre finivano, riuniva noi, i suoi studenti e i tirocinanti, e ci esortava ad amplificare le voci delle persone di Gaza: i bambini, i giovani e le donne le cui storie avevano bisogno di essere raccontate.

‘Andate avanti. Non c’è più tempo’

L’idea che non vedrò più il dottor Refaat o che  non scriverà mai più per controllarci, o per raccogliere le storie che abbiamo scritto in un nuovo libro, mi perseguita dall’8 dicembre. Per consolarmi, ho ricordato una sua vecchia storia.

Nel 2022, io e lui saremmo dovuti andare in Spagna per frequentare un programma di formazione con alcuni colleghi, ma mi ha lasciato prima del previsto, prima che raggiungessi la mia destinazione, quella che doveva essere la nostra destinazione.

La mattina del 18 luglio, il dottor Refaat mi aspettava in macchina per andare insieme al valico di frontiera di Rafah, da dove saremmo entrati in Egitto e saremmo volati in Spagna passando dall’aeroporto del Cairo. Ci siamo spostati da una sala all’altra. Si muoveva con leggerezza , zaino in spalla, aiutando me e l’altro nostro collega a trasportare le valigie.

Si era assicurato che tutti noi stessimo bene, che avessimo completato le procedure necessarie e che fossimo al posto giusto. La sua presenza era rassicurante e non ci siamo mossi prima di avere la sua conferma, cosa che si è rivelata semplice data la sua altezza e il caratteristico movimento agile, che lo rendevano facile da identificare.

Per aiutarci a passare il tempo mentre aspettavamo di passare dal confine di Gaza alla sala egiziana sull’altro lato del valico di Rafah, ci aveva intrattenuto con delle storie. Aveva anche previsto diversi scenari per il viaggio,  per non essere colto  impreparato. “Potrei andare a casa e tu viaggeresti i da sola”, ha scherzato.

Sei ore dopo, lo scherzo doveva realizzarsi. Abbiamo appreso che al dottor Refaat era stato negato il visto.

“Respinto”, c’era scritto.

“Non sono triste”, mormorò, spiegando che provava quel sentimento dolorosamente nel profondo i. “Cosa ho fatto?” si era lamentato, chiedendosi perché a un accademico dovrebbe essere vietato viaggiare.

Con la sua camicia azzurra e i pantaloni grigi, si era appoggiato alle vecchie sedie della sala ed aveva espresso il dolore e l’angoscia a un amico la cui madre di 60 anni era stata anch’essa respinta . Gli ho gridato in silenzio per dirgli addio.

“Andate  avanti. Non c’è più tempo”, esortandoci a completare il nostro viaggio verso l’aeroporto, agitando le mani da lontano e annuendo con la testa.

Siamo andati avanti. E lui se n’è andato.

Il percorso dalla hall all’aeroporto era stato faticoso, perché ci giravamo in continuazione, come a cercarlo, aspettando le sue indicazioni. Nella sala gremita, avevo cercato i suoi gesti delle mani. Tutto ciò che mi è balenato davanti agli occhi è stata la parola “respinto”.

Osservando i visitatori e i passeggeri muoversi liberamente dentro e fuori dall’aeroporto, mi era dispiaciuto che lui fosse stato privato del viaggio e che io fossi stata privata della sua compagnia.

Ma mi aveva dato forza il fatto che mi avesse lasciato il suo cappello, tre datteri per sostenere il mio fragile corpo, un caricabatterie, dei soldi e dozzine di storie.

“Devi vivere, per raccontare la mia storia”

Ogni giorno, dall’8 dicembre ad oggi, è stato avvolto dal senso di colpa, per continuare a respirare mentre il dottor Refaat è stato assassinato. Settimane dopo, ho capito l’importanza della lezione che avevo appreso nel 2022, quando mi aveva lasciato prima del previsto.

“Se devo morire, tu devi vivere/Per raccontare la mia storia.”

La luna era piena e illuminava la camera da letto. Fortunatamente, il mio telefono era connesso a Internet, permettendomi di leggere la famosa poesia del dottor Refaat, “Se devo morire”. Con le lacrime agli occhi sfogliai la poesia, che ormai aveva fatto il giro del mondo ed era tradotta in 39 lingue.

Il mio dolore era profondo. Appoggiandomi all’indietro verso il muro freddo e guardando i volti addormentati dei miei genitori e dei miei fratelli, ho sentito la voce del dottor Refaat leggere la poesia e rompere il silenzio come se fossi stata seduta nella stanza affollata alla conferenza di poesia del 2019, guardando i suoi gesti e ascoltando la sua emozionante spiegazione del gioco di parole nel termine “racconto” alla fine della poesia.

Con queste parole mi sono sentita come se il dottor Refaat, anche dopo essere stato ucciso, si rivolgesse ad ogni suo studente, me compresa. Mi sono resa conto che, anche se se n’è andato, la sua poesia è rimasta, dandomi una pacca sulla spalla, tenendomi la mano e esortandomi a osare a vivere e a scrivere.

“La conoscenza è il peggior nemico di Israele”

L’anno 2024 si avvicinava. Ero rimasta  seduta a guardare la luce fioca della luna. Entro la fine del 2023 avrei terminato il mio piano di master,  mi sarebbe mancato solo il corso di traduzione audiovisiva che il dottor Refaat aveva programmato di insegnarci. Mentre immaginavo quel futuro anticipato, ora esso mi sembrava uno scherzo crudele, di fronte a tutta quella morte.

Con il laptop in grembo, ho sfogliato vecchi file sul mio PC per trovare uno dei libri del Dr. Refaat. Quando ho letto l’articolo che aveva scritto dieci anni fa, ho capito che la mia domanda aveva finalmente una risposta.

“La conoscenza è il peggior nemico di Israele. La consapevolezza è il nemico più odiato e temuto di Israele”.

In quell’articolo del 2014, “Non esistono poesie di distruzione di massa”, il Dr. Refaat si chiedeva perché Israele aveva bombardato l’Università islamica di Gaza, dove insegnava letteratura. Lamentava la distruzione del suo ufficio, dove aveva incontrato centinaia di studenti per ulteriori discussioni e durante gli orari di ricevimento.

È il marzo del 2024. L’intera università che tanto amava è ormai in macerie. Il dottor Refaat è stato assassinato. Non ci sarà il semestre primaverile, né il corso di traduzione audiovisiva. L’unica via è la morte continua. Ma finalmente ho capito qualcosa sulle lezioni di Refaat e sul potere che avevano le sue parole: lo hanno tenuto in vita.

Nessuno potrà mai privarmi della sua ispirazione. Finché respirerò, racconterò le sue storie e le infinite storie della mia città, occupata e messa a tacere, alla luce dei suoi racconti. Ho sospirato, asciugandomi le lacrime e ricordando come Saja mi aveva  aiutato a rialzarmi, prima di sussurrare: “Non possono metterci in ginocchio”.

Amna Shabana è una scrittrice palestinese della Striscia di Gaza con una laurea in lingue e letterature inglesi presso l’Università islamica di Gaza (IUG). Ha lavorato come assistente e sta conseguendo il master in traduzione presso lo IUG. È anche formatrice freelance in traduzione e scrittura di contenuti.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org