I palestinesi di Rafah manifestano piccoli atti di sostegno ai combattenti della Resistenza di Gaza che affrontano l’Esercito di Occupazione Israeliano.

Atti come lasciare cibo, acqua, denaro e altro materiale non letale ai combattenti non costituiscono “partecipazione diretta” al conflitto armato e i civili che lo fanno non perdono il loro status né le protezioni loro dovute.

Fonte: English version

Di Sally Ibrahim – 12 giugno 2024

Nonostante le divergenze politiche personali con Hamas e l’opposizione all’attacco del Movimento Islamico alle basi militari e agli insediamenti civili israeliani il 7 ottobre, Mohammed, un palestinese sfollato a Rafah, ha deciso di sostenere i combattenti palestinesi nel loro scontro contro l’esercito israeliano.

Il trentanovenne padre di tre figli ha avuto l’idea tre mesi fa quando ha sentito che “i combattenti per lo più non mangiano perché sono impegnati ad affrontare i soldati israeliani, e possono trascorrere molti giorni con cibo insufficiente”.

Il giovane, che ha preferito mantenere anonimo il suo cognome per ragioni di sicurezza, ha detto: “Quando stavo preparando i miei famigliari ad evacuare le nostre case a causa delle minacce israeliane di attaccare la nostra zona, mi sono ricordato dei nostri combattenti e mi sono chiesto come si sarebbero procurati il cibo se fossero rimasti bloccati in casa mia”.

Questo è il motivo per cui Mohammed ha deciso di agire nel suo piccolo, lasciando cibo, acqua e denaro ai combattenti palestinesi che cercano di combattere l’esercito israeliano invasore.

“Alla luce della carestia e della mancanza di risorse nella Striscia di Gaza, il combattente può trasportare solo pochi datteri e un po’ d’acqua, quindi penso che questo cibo e acqua extra li aiuteranno”, ha detto il giovane. “I combattenti sono una fonte di forza per noi, e dobbiamo tutti affrontare il Criminale esercito israeliano con tutti i mezzi a nostra disposizione. Siamo tutti responsabili della nostra terra e siamo tenuti a proteggerla con tutte le risorse abbiamo”.

Per incoraggiare i combattenti palestinesi a mangiare, Mohammed ha anche lasciato una lettera, che dice: “Questo cibo e acqua, da mangiare e da bere, fratelli miei, sono per voi, e possa Dio proteggervi e proteggere il nostro popolo”.

“Questo è il poco che posso fare per stare al fianco dei miei fratelli nella Resistenza, ma spero che ciò che ho lasciato sia sufficiente per coloro che si rifugieranno a casa mia”, ha aggiunto.

L’idea di Mohammed si è gradualmente diffusa tra gli altri a Rafah.

“Sappiamo molto bene che l’esercito israeliano non lascerà intatte le nostre case, anche se vi entrasse, quindi il nostro messaggio ai nostri combattenti sarà come un pugnale con cui possiamo trafiggerli psicologicamente, soprattutto perché sapranno che sosteniamo la nostra Resistenza e i nostri combattenti e che siamo noi i proprietari della terra e non gli Occupanti come loro”, ha rimarcato.

L’11 maggio, l’esercito israeliano ha iniziato a espandere la sua operazione militare a Rafah dopo aver chiesto ai residenti di evacuare le loro case e successivamente distrutto le infrastrutture civili, bombardato numerose case e commesso diversi massacri contro i civili.

“In tali circostanze, i civili non possono fare altro che fuggire dal caos di morte che Israele ci impone”, ha detto Samih, un altro palestinese residente a Rafah. “Abbiamo fatto del nostro meglio per resistere nelle nostre case, ma sfortunatamente l’esercito israeliano comportandosi come ‘nazisti’ ci ha trattato brutalmente e ha bombardato le case uccidendo molti civili,” ha detto il cinquantaduenne, padre di quattro figli.

“Pertanto”, ha osservato Samih: “quando ho deciso di andarmene, ho lasciato cibo, acqua e forniture di primo soccorso affinché i combattenti potessero usarli se avessero cercato rifugio nella nostra casa abbandonata”.

Da parte sua, Maryam, una donna palestinese che vive a Rafah, ha lasciato in casa sua tre piccole batterie portatili con diverse luci a LED nel caso in cui i combattenti palestinesi ne avessero avuto bisogno quando fossero entrati in casa.

Madre di sette figli, Maryam ha detto: “Anche se siamo civili, un bombardamento israeliano di una moschea accanto a noi ha ucciso tre dei miei figli. Siamo tutti sotto gli attacchi israeliani e dobbiamo tutti vendicarci di questi Criminali con ogni mezzo a nostra disposizione”.

“Ho visto in molti video pubblicati dalla Resistenza che i combattenti usano piccole batterie nelle operazioni di lancio di razzi, quindi pensavo che avrebbero potuto averne bisogno se fossero entrati in casa mia”, ha aggiunto.

Ha inoltre affermato che non dovrebbe esserci alcuna differenza tra un uomo e una donna a Gaza quando si affronta il “nemico israeliano”. “Tutti sanno cosa devono fare per combatterlo, e se non con le armi, è aiutando i combattenti e facilitando le loro missioni sul campo”, ha detto.

“So benissimo che se fossimo un popolo armato, l’esercito israeliano non sarebbe riuscito a penetrare di un centimetro dentro Gaza perché avremmo semplicemente trasformato la nostra terra in cimiteri dove seppellire i loro morti. Questo è il nostro legittimo diritto di difendere noi stessi e la nostra terra contro un esercito Occupante Criminale”, ha sottolineato.

Nel Diritto Internazionale, in particolare secondo la Terza Convenzione di Ginevra del 1949 e il Primo Protocollo Aggiuntivo del 1977, esiste una chiara distinzione tra civili e combattenti. Pertanto è “persona civile” “qualsiasi individuo che non fa parte delle forze armate” e gode quindi di protezione dai pericoli della guerra.

Nonostante Israele affermi che “non ci sono civili innocenti a Gaza”, il Diritto Internazionale sottolinea che “la presenza, all’interno della popolazione civile, di individui isolati che non rientrano nella definizione di civili non deve privare la popolazione nel suo insieme del suo carattere civile o della protezione cui ha diritto”.

Inoltre, le convenzioni in materia sottolineano che nei momenti in cui i civili possono prendere parte alle ostilità senza appartenere formalmente ad alcuna forza armata regolare nel contesto di Territori Occupati o conflitti armati interni mantengono comunque il loro status di civili nonostante partecipino direttamente alle ostilità, perdendo temporaneamente la tutela per la sola durata della partecipazione diretta.

Atti come lasciare cibo, acqua, denaro e altro materiale non letale ai combattenti non costituiscono “partecipazione diretta” al conflitto armato e i civili che lo fanno non perdono il loro status né le protezioni loro dovute.

Nel frattempo, un recente rapporto delle Nazioni Unite redatto da una commissione indipendente ha criticato il deliberato attacco di Israele ai danni di civili, tra cui uomini, donne e bambini innocenti, in quello che viene descritto come un Crimine di Guerra, un Crimine contro l’Umanità, un Crimine di Sterminio e Violazioni del Diritto Internazionale Umanitario e dei Diritti Umani.

“L’uso intenzionale da parte delle Forze di Sicurezza Israeliane di armi pesanti con grande capacità distruttiva in aree densamente popolate costituisce un attacco intenzionale e diretto alla popolazione civile, colpendo in particolare donne e bambini”, ha affermato la Commissione, aggiungendo che ciò è stato confermato dal numero considerevole e crescente di vittime, nel corso di settimane e mesi, senza “nessun cambiamento nelle politiche o nelle strategie militari israeliane”.

La guerra di Israele contro Gaza, giunta al nono mese, ha ucciso 37.164 palestinesi, per lo più donne e bambini, e ferito almeno 84.832 persone.

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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