Con gli aiuti bloccati e i negozi vuoti di beni di prima necessità, decine di bambini palestinesi sono stati ricoverati in ospedale per malnutrizione e anemia acuta.
Fonte: English version
Di Ibrahim Mohammad – 18 giugno 2024
Immagine di copertina: Bambini palestinesi aspettano un pasto caldo preparato dai volontari a Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza, il 4 aprile 2024. (Abed Rahim Khatib/Flash90)
Quando Saeed Darwish, 10 mesi, prova a piangere, non è più in grado di emettere alcun suono. I suoi occhi infossati e la pelle pallida testimoniano il suo stomaco dolorosamente vuoto: non mangia quasi da settimane. Con il Nord della Striscia di Gaza ancora una volta alle prese con gravi carenze di cibo, acqua e latte artificiale a causa dell’assedio di Israele e dei continui bombardamenti militari, Saeed è uno dei tanti bambini palestinesi i cui corpi si stanno consumando per la fame.
I medici dell’Ospedale Kamal Adwan, nella città di Beit Lahia, affermano che Saeed soffre di grave affaticamento, deperimento e anemia. Suo padre, Khalil, siede accanto al suo letto, aspettando con angoscia che le condizioni di Saeed migliorino; il suo cuore è devastato dal dolore e dall’impotenza di non essere in grado di alleviare l’afflizione di suo figlio.
“Mio figlio si sveglia piangendo ogni notte per la fame estrema, ma non riesco a trovare nulla da dargli da mangiare”, ha detto Khalil. “Tutto quello che posso portargli sono dei pezzi di pane, e anche questo sta iniziando a scarseggiare”.
Khalil teme che Saeed possa unirsi a una lista crescente di oltre 30 bambini palestinesi di Gaza morti di malnutrizione e disidratazione negli ultimi mesi. A marzo è stato dichiarato che il Nord di Gaza stava affrontando una carestia imminente. Ora, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “una parte significativa” dell’intera popolazione di Gaza sta vivendo “una fame catastrofica e condizioni simili alla carestia”. Solo nell’Ospedale Kamal Adwan, 50 bambini sono attualmente in cura per grave malnutrizione.
La scarsità di aiuti umanitari che entrano nella Striscia significa che molte famiglie non hanno accesso ai beni di prima necessità. Nel Nord “non c’è riso, verdure o farina”, ha spiegato Khalil. “Se qualcuno di questi beni è disponibile sul mercato, i suoi prezzi sono folli. La maggior parte della popolazione non può permetterseli”. A peggiorare le cose, la madre di Saeed è stata ferita durante l’ultima invasione israeliana di Jabalia e non è in grado di allattare.
In un altro letto vicino a Saeed giace Mahmoud Safi, 18 mesi, che soffre di anemia indotta dalla malnutrizione. “La malattia si sta diffondendo senza pietà nel corpo del mio bambino”, ha detto il padre di Mahmoud, Mustafa. “Non so come affrontare le sue crisi”.
Mahmoud non è l’unico bambino della sua famiglia ad essere malato: due dei suoi tre fratelli hanno contratto l’epatite A perché hanno bevuto acqua contaminata. “Che colpa hanno i bambini in questa guerra, che devono andare a dormire e svegliarsi affamati?”, chiese Mustafà.
“Sono mesi che non riceviamo nessun tipo di verdura, acqua pulita o farina”, ha continuato. “A febbraio siamo stati costretti a mangiare mangime e foraggio per animali. Speriamo di non tornare a questa fase”.
“La fame sta distruggendo me e i miei figli”
La famiglia di Ahmad Obaid, del quartiere Tal al-Zaatar di Jabalia, era tra quelle costrette a volte a mangiare erba e foraggio negli ultimi mesi per sopravvivere. Dopo essere rimasti senza cibo negli ultimi quattro giorni, i loro volti cominciano a mostrare segni di stanchezza.
“Io e la mia famiglia siamo vivi, ma non stiamo bene”, ha detto Obaid. Attualmente porta ogni giorno i suoi due figli, Khalil di 3 anni e Jihad di 5 anni, all’Ospedale Kamal Adwan per ricevere cure per l’anemia acuta. “La fame sta distruggendo me e i miei figli, e le condizioni stanno peggiorando di giorno in giorno”, ha detto.
A maggio, Israele ha riaperto il valico di Erez/Beit Hanoun e ne ha aperto un altro nel Nord, consentendo ad alcuni aiuti di raggiungere le aree che sperimentano i livelli di fame più estremi. “Le forniture sono riprese per alcuni giorni e sono stati introdotti vari beni e prodotti”, ha ricordato Obaid. Ma ora, all’indomani dell’ultima brutale offensiva israeliana nel Nord di Gaza, Obaida avverte che “la crisi è tornata”.
Nel campo profughi di Jabalia, i mercati sono praticamente vuoti di cibo e altri beni di prima necessità. Ismail Al-Hassi, un trentasettenne che vive nel campo, ha raccontato che ogni giorno si reca al mercato in cerca di provviste per la sua famiglia, ma per circa un mese non è arrivato nulla.
La figlia di un anno di Al-Hassi, Nour, soffre di problemi digestivi sin dalla nascita e necessita di un tipo specifico di latte artificiale per gestire la sua condizione, che ora non si trova da nessuna parte nei mercati locali. Man mano che le sue condizioni peggiorano, il suo corpo diventa sempre più scarno.
“Facciamo un pasto al giorno,” disse Al-Hassi. “A volte rinunciamo al pane per conservarlo per i giorni seguenti”. Quando disponibili, le verdure sono sempre più fuori portata: secondo Al-Hassi, un chilogrammo di cipolle costa ora 350 shekel (87 euro), mentre i peperoni vengono venduti a 560 shekel (140 euro). “Le altre verdure sono completamente scomparse dai mercati. I prodotti in scatola vengono venduti a quasi 20 volte il loro costo originale, un prezzo impossibile per la maggior parte della popolazione”.
Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, circa 3.500 bambini rischiano attualmente di morire di fame. Con il sistema sanitario della Striscia decimato e in assenza di un cessate il fuoco immediato e di un adeguato arrivo di aiuti umanitari nella Striscia, la situazione per i bambini di Gaza è sempre più di vita o di morte.
Ibrahim Mohammad è un giornalista palestinese indipendente di Gaza che si occupa di questioni umanitarie e sociali. Ha conseguito una laurea in giornalismo e media presso l’Università di Al-Aqsa.
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org