Il conflitto interno israeliano su Gaza non riguarda solo Gaza, Hamas o Hezbollah, ma il futuro stesso di Israele.
Fonte: English version
Di Ramzy Baroud – 24 giugno 2024
Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato la scorsa settimana che non ci sarà alcuna guerra civile in Israele. Ma potrebbe sbagliarsi
La dichiarazione di Netanyahu è stata fatta nel contesto delle crescenti proteste popolari nel Paese, soprattutto in seguito alle dimissioni attese da tempo di diversi membri del suo Gabinetto di Guerra, tra cui Benny Gantz e Gadi Eisenkot, entrambi ex Capi di Stato Maggiore dell’esercito israeliano.
Queste dimissioni non hanno necessariamente isolato Netanyahu, poiché la sua popolarità poggia quasi interamente sul sostegno della destra e dell’estrema destra. Tuttavia, la mossa ha ulteriormente illustrato le profonde e crescenti spaccature nella società israeliana, che potrebbero alla fine portare il Paese da uno stato di sconvolgimento politico a una vera e propria guerra civile.
Le divisioni in Israele non possono essere viste allo stesso modo delle polarizzazioni politiche che sono attualmente diffuse nelle democrazie occidentali. Questa affermazione non è necessariamente legata alla visione legittima secondo cui, nella sua essenza, Israele non è una vera democrazia, ma è piuttosto dovuta al fatto che la formazione politica di Israele è unica.
La storia è iniziata molto prima dell’attuale guerra di Gaza. Nel febbraio 2019, i leader di tre partiti israeliani hanno formato una coalizione nota come “Kahol Lavan” (Blu e Bianco). Due dei fondatori di Kahol Lavan, Gantz e Moshe Ya’Alon, erano militari, ampiamente rispettati nel potente sistema militare del Paese e, quindi, nella società in generale. Tuttavia, nonostante il loro relativo successo elettorale, non sono riusciti a rimuovere Netanyahu dall’incarico. Quindi, sono scesi in piazza.
Portare il conflitto nelle strade di Tel Aviv e di altre città israeliane non è stata una decisione presa alla leggera. È seguito al crollo di una strana coalizione di governo, messa insieme da tutti i nemici di Netanyahu e unificata dall’unico obiettivo di porre fine al regno della destra e dell’estrema destra. Il fallimento di Naftali Bennett, il leader di quella coalizione, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
I termini “destra” ed “estrema destra” possono dare l’impressione che il conflitto politico in Israele sia essenzialmente ideologico. Anche se l’ideologia gioca un ruolo nella politica israeliana, la rabbia nei confronti di Netanyahu e dei suoi alleati è in gran parte motivata dalla sensazione che la nuova destra stia tentando di riconfigurare la natura politica del Paese.
Così, a partire dal gennaio 2023, centinaia di migliaia di israeliani hanno lanciato proteste di massa senza precedenti che sono durate fino all’inizio della guerra israeliana a Gaza. La richiesta collettiva iniziale dei manifestanti, sostenuta da Gantz e da un chi è chi delle élite militari e liberali israeliane, era quella di impedire a Netanyahu di alterare gli equilibri politici di potere che hanno governato la società israeliana negli ultimi 75 anni. Con il tempo, tuttavia, le richieste si sono trasformate in un appello collettivo al cambio di regime.
Sebbene la questione sia stata ampiamente discussa dai media come una spaccatura politica derivante dal desiderio di Netanyahu di emarginare le istituzioni giudiziarie israeliane per motivi personali, le radici dell’evento, che minacciava una guerra civile, erano ben diverse.
La storia della potenziale guerra civile israeliana è vecchia quanto lo Stato israeliano stesso e i recenti commenti di Netanyahu che suggeriscono il contrario sono l’ennesima falsa affermazione del Primo Ministro.
Infatti, il 16 giugno, Netanyahu si è scagliato contro i generali militari ribelli, affermando: “Abbiamo un Paese con un esercito e non un esercito con un Paese”. In verità, tuttavia, Israele è stato fondato attraverso la guerra e sostenuto attraverso la guerra.
Ciò significava che l’esercito israeliano aveva, fin dall’inizio, uno status speciale nella società israeliana, un contratto non scritto che permetteva ai generali dell’esercito un posto speciale e spesso centrale nel processo decisionale politico di Israele. Persone come Ariel Sharon, Yitzhak Rabin, Ehud Barak e altri, compreso il fondatore di Israele, David Ben Gurion, sono tutti saliti al timone della politica israeliana, principalmente a seguito delle loro affiliazioni militari.
Ma Netanyahu ha cambiato tutto questo quando ha iniziato a ristrutturare attivamente le istituzioni politiche israeliane per mantenere l’esercito marginale e politicamente impotente. Così facendo, ha violato il pilastro principale dell’equilibrio politico di Israele dal 1948.
Ancor prima che Israele portasse a termine il compito di Pulizia Etnica del popolo palestinese durante la Nakba, il nascente Paese entrò quasi immediatamente in una guerra civile. Quando Ben Gurion emanò un ordine riguardante la formazione delle Forze di Difesa Israeliane il 26 maggio 1948, alcune milizie sioniste, tra cui l’Irgun e il Lehi (la Banda Stern) combatterono per preservare un certo grado di indipendenza politica.
Questo fu l’inizio del cosiddetto Affare Altalena, in cui l’esercito israeliano dominato dall’Haganah cercò di bloccare una spedizione di armi diretta all’Irgun, allora sotto la guida del futuro Primo Ministro Menachem Begin. Lo scontro è stato mortale. Il risultato fu l’uccisione di molti membri dell’Irgun, arresti di massa e il bombardamento della stessa nave Altalena.
I riferimenti all’Affare Altalena sono molto frequenti nei dibattiti dei media israeliani in questi giorni, poiché la guerra israeliana a Gaza sta frantumando una società già divisa. Questa divisione sta costringendo i militari ad abbandonare l’equilibrio storico raggiunto in seguito a quella mini-guerra civile, che avrebbe potuto porre fine allo Stato israeliano solo pochi giorni dopo la sua fondazione.
Il conflitto interno israeliano su Gaza non riguarda solo Gaza, Hamas o Hezbollah, ma il futuro stesso di Israele. Se l’esercito israeliano si ritroverà a essere il capro espiatorio del 7 ottobre e delle fallite campagne militari che ne sono seguite, dovrà fare una scelta: tra accettare la sua emarginazione indefinita o scontrarsi con l’istituzione politica. Se quest’ultima dovesse verificarsi, una guerra civile potrebbe diventare una possibilità reale.
Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org