Com’è per le donne palestinesi che vivono il Genocidio di Gaza

Le donne palestinesi sono state costrette a dimostrare una notevole Resilienza mentre affrontavano la dura realtà della Guerra Genocida condotta da Israele per se stesse e le loro famiglie.

Fonte: English version

Di Yasmin Abusayma – 24 luglio 2024

Immagine di copertina: Donne palestinesi piangono per un bambino ucciso in un attacco aereo israeliano contro la sua casa a Nord di Nuseirat, nella Striscia di Gaza centrale, il 19 luglio 2024. (Foto: Ali Hamad/APA Images)

Mentre il mondo spesso si concentra sugli aspetti politici e militari di Gaza, le realtà quotidiane incontrate dalle donne vengono spesso trascurate. Le donne di Gaza sopportano pesanti fardelli, dimostrando una notevole Resilienza mentre affrontano la dura realtà della Guerra Genocida di Israele.

Ad aprile, UN Women (ONU Donne) ha pubblicato il suo ultimo Allarme di Genere su Gaza, evidenziando il profondo impatto della guerra in corso. A sei mesi dall’inizio della guerra, almeno 10.000 donne palestinesi a Gaza avevano perso la vita, tra cui circa 6.000 madri, con il risultato che 19.000 bambini erano rimasti orfani. Le donne sopravvissute devono affrontare sfollamenti, vedovanza e grave carenza di cibo a causa degli attacchi aerei e delle operazioni di terra israeliane. Questo impatto catastrofico sottolinea il prezzo sproporzionato della guerra sulle donne di Gaza. Mentre la guerra continua a rimodellare i tradizionali ruoli di genere, la forza e la perseveranza di queste donne avranno senza dubbio effetti a lungo termine sulle dinamiche sociali di Gaza e sull’uguaglianza di genere.

Le storie di Lina Alshanti, Salwa Mohammed, Hala e Nedaa’ Alhemdiat evidenziano l’incredibile Resilienza e adattabilità delle donne di Gaza durante la guerra. Costrette ad assumere nuovi ruoli e responsabilità, queste donne contribuiscono in modo significativo alle loro famiglie e comunità nonostante affrontino immense difficoltà.

Lina

Lina Alshanti, un’insegnante di inglese di 33 anni, rappresenta gli adattamenti estremi che le donne di Gaza devono sopportare. Vivendo in un appartamento sovraffollato a Khan Younis con la sua famiglia allargata, compreso il marito e le due giovani figlie, Lina affronta una costante lotta per l’intimità. “Dovevo indossare l’hijab 24 ore su 24, 7 giorni su 7, perché le stanze erano piene di uomini e dovevamo condividere lo stesso bagno”, spiega Lina. “Avevo quasi dimenticato come ci si sente ad essere una donna. Mi mancava vedere i miei capelli e fare una doccia normale con acqua calda e pulita”. Quando la sua famiglia si trasferì in un altro piccolo e fatiscente appartamento a Rafah, la lotta di Lina continuò. “Anche in questa casa ho dovuto indossare l’hijab tutto il giorno perché la situazione era pericolosa. Avevo paura di essere uccisa in qualsiasi momento e la maggior parte delle finestre non erano coperte ed erano in pessime condizioni”, ricorda. Questo costante bisogno di vestirsi integralmente, soprattutto nel caldo soffocante, influisce gravemente sulla comodità e sul benessere personale.

Con molti uomini presi di mira da Israele, le donne sono diventate le principali fornitrici e protettrici delle loro famiglie. Lina condivide le difficoltà delle sue responsabilità: “Le mie due figlie, Maria, 4 mesi, e Lina, 2 anni, dipendevano sia dall’allattamento al seno che dal latte artificiale. Ogni giorno passavo la mattinata a cercare legna da ardere per mancanza di gas, solo per far bollire l’acqua per disinfettare le bottiglie”. Lina ha dovuto apprendere abilità tradizionalmente riservate agli uomini, come fare la fila per l’acqua, spesso in condizioni pericolose. “Ho dovuto anche fare la fila in posti lontani per riempire le bottiglie d’acqua. È stato così difficile prendermi cura delle mie due figlie”, dice. Suo marito, Khaled, cercava cibo per lunghe ore. “Dato che allattavo le mie figlie, dovevo mangiare cibo di qualità, ma il mio latte risentiva della tensione e degli effetti psicologici su di me”, nota Lina, aggiungendo un altro livello di difficoltà alla sua situazione già difficile.

Numerose donne e ragazze a Gaza soffrono una grave fame a causa della mancanza di accesso al cibo, all’acqua potabile, a servizi igienici funzionanti e all’acqua corrente, il che pone pericoli mortali. L’acqua pulita è particolarmente importante per le madri che allattano e le donne in gravidanza, che necessitano di un maggiore apporto giornaliero di acqua e calorie. Inoltre, è fondamentale che le donne e le ragazze mantengano la propria igiene mestruale con attenzione e sicurezza.

Una tragedia ha colpito la famiglia di Lina il 22 ottobre. “Ero seduta con mia sorella e mio fratello che erano venuti a trovarmi. Ho passato tutta la giornata a contemplare la mia piccola figlia Maria. Di notte, un forte bombardamento ha colpito vicino a casa nostra. Quando mi sono svegliata, tutto quello a cui riuscivo a pensare era dove sono le mie figlie?”. Lina racconta l’orribile evento: “Mi è stato detto che mio marito era in terapia intensiva e avrebbe potuto morire. La mia piccola figlia Maria è stata uccisa nella culla. Mio fratello e mia sorella sono rimasti gravemente ustionati. La perdita di mia figlia ha bloccato la mia vita. Ho perso la voglia di vivere”.

Le ferite di Lina le hanno richiesto di recarsi in Qatar per un intervento chirurgico. “Ho avuto fratture pelviche e sono rimasta nell’Ospedale Europeo per due mesi, soffrendo per la mancanza di cibo e strutture sanitarie di qualità”, afferma. “A mio marito non era permesso viaggiare perché ai maschi non è permesso spostarsi. Dopo tre mesi, mia sorella e mia mamma hanno avuto la possibilità di viaggiare in Egitto e poi in Qatar attraverso il coordinamento con il Ministero della Sanità. Hanno portato mia figlia con loro. Ero felicissima in quel momento, ma mi sento ancora persa e disconnessa, essendo lontana da mio marito”.

Salwa

Nonostante le loro difficoltà, le donne di Gaza contribuiscono in modo significativo alla loro economia locale e alla Resilienza della comunità attraverso il lavoro informale e la gestione delle risorse. Salwa Mohammed, insegnante elementare di 39 anni, continua a istruire i suoi figli e quelli del suo quartiere nonostante la guerra. “Parte della mia responsabilità sociale è aiutare quei bambini che hanno perso il diritto all’istruzione e sono stati esposti a condizioni disumane”, afferma. Salwa bilancia l’insegnamento e le responsabilità familiari con risorse minime. “Al mattino faccio il pane e preparo il cibo per la mia famiglia. Nel pomeriggio mi occupo degli studenti, utilizzando metodi di insegnamento che li appassionano nonostante la mancanza di risorse”, spiega. “Noto sempre quanto gli studenti siano traumatizzati a causa della guerra in corso a Gaza attraverso le loro risposte e i commenti in classe”.

Svolge anche un ruolo cruciale nella sua comunità oltre la classe. “Insegno ai miei vicini e agli sfollati in casa mia come fare il pane e offro loro anche del cibo in beneficenza”, dice Salwa. “Dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri. I legami che creiamo durante questi tempi di crisi sono vitali per la nostra sopravvivenza”.

Hala

Hala, 29 anni, pseudonimo di un’altra donna che ha perso il marito, rivela ancora un altro livello dei fardelli che le donne portano. Dopo la tragica perdita, Hala, che è ancora intrappolata nel Nord, si è presa la responsabilità dei propri figli. Ha evacuato più volte a Gaza e suo marito, 33 anni, è stato ucciso il 30 giugno in un pesante bombardamento nel quartiere di al-Zeitoun. “È stata una perdita inimmaginabile,” dice Hala. “Ma dovevo restare forte per i miei tre figli. Avevano bisogno di qualcuno su cui fare affidamento e quella persona dovevo essere io”. Hala, sfollata con la sua famiglia allargata, ha dovuto affrontare la sfida di prendersi cura dei figli traumatizzati mentre affrontava il proprio dolore. “Ci siamo trasferiti in un rifugio sovraffollato dove l’intimità era inesistente”, ricorda. “Dovevo gestire tutto, dal trovare il cibo al fornire supporto emotivo ai miei figli. Nel pomeriggio devo fare la fila solo per aspettare gli aiuti alimentari e ricevere ogni tipo di assistenza da parte di istituti di beneficenza, pur di poter provvedere alla mia famiglia. È travolgente! Inoltre, i miei figli hanno contratto l’epatite a causa dell’acqua contaminata e ho dovuto prendermi cura di loro. È difficile descrivere il potere necessario per tenere tutto insieme quando dentro stai cadendo a pezzi”.

Hala conclude: “Ho perso mio marito in giovane età. Non perdonerò mai Israele per averlo ucciso. I miei figli meritavano una vita felice e dignitosa con il loro padre. Questo è troppo ingiusto. Il mondo intero ne è responsabile e dovrebbe fare qualcosa per fermare questo Genocidio”.

Nedaa’

Nedaa’ Alhemdiat, 31 anni, è un’altra donna la cui vita è stata sconvolta dalla guerra. Madre di due bambini piccoli, viveva nel quartiere di al-Rimal a Gaza prima che la guerra la costringesse a vivere in una tenda condivisa con 13 membri della famiglia. “Non mi sono mai sentita così vecchia in tutta la mia vita”, dice Nedaa. “Avevo una vita agiata, ma ora tutto è cambiato in un batter d’occhio”. Come molte donne a Gaza, Nedaa’ ha dovuto adattarsi a una vita di povertà e difficoltà. “Mi sveglio ogni mattina per preparare il pane e mando i miei figli a cercare legna da ardere. Anch’io aspetto in fila con molte bottiglie in mano per prendere l’acqua”, spiega. “Mio marito ha perso la sua fonte di reddito. Faceva il dentista, ma ora non lavora”.

La vita quotidiana di Nedaa’ è piena di compiti che un tempo erano inimmaginabili per lei. “Faccio il bucato manualmente e le mani mi fanno molto male, soprattutto in inverno quando si congelano dal freddo”, dice. “Piango ogni notte, desiderando che questo incubo finisca. Mancano i prodotti per l’igiene, e a volte devo andare in un ospedale vicino o a casa di un amica per fare una doccia e lavare i miei figli”.

La situazione della sua famiglia è peggiorata quando suo padre Nabeel, 63 anni, paralizzato e impossibilitato a fuggire, è stato lasciato all’Ospedale Al-Shifa dove è morto a causa della mancanza di cure mediche. “La sua salute è peggiorata e ha avuto bisogno di un intervento chirurgico urgente, ma in quel momento tutti gli ospedali non erano operativi”, racconta Nedaa’.

Il fratello di Nedaa’, Tareq, e la sua famiglia hanno affrontato un destino tragico quando si sono trasferiti in una terra vicino al Centro di Addestramento Khan Younis pochi giorni prima che l’esercito israeliano prendesse il controllo dell’area. “Siamo rimasti scioccati da ciò che abbiamo visto”, dice Nedaa’. “Non riuscivo a smettere di tremare. La sua macchina si è capovolta, e abbiamo dovuto scavare in profondità. Abbiamo riconosciuto Tareq dai suoi vestiti e il suo corpo era decomposto. È stato il momento più difficile della mia vita”.

Nonostante queste immense sfide, Nedaa’ rimane forte e continua ad adempiere alle sue responsabilità. “Nessuno potrà mai capire cosa significhi per una donna vivere in guerra tranne noi”, conclude. “È un’esperienza straziante. Mi manca davvero sentirmi donna come prima”.

Yasmin Abusayma è una scrittrice e traduttrice di Gaza.

Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org