Il “Sumud” palestinese contro la Macchina da Guerra Israeliana

L’ultimo anno è stato testimone di un Genocidio israeliano a Gaza e di una violenza senza precedenti in Cisgiordania, ma anche di leggendarie espressioni di “Sumud” palestinese, o Fermezza.

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Di Ramzy Baroud- 6 ottobre 2024

Immagina di copertina: I carri armati israeliani si dirigono verso il confine con la Striscia di Gaza. (AP)

Nessuno si aspettava che un solo anno sarebbe stato sufficiente per rimettere al centro la causa palestinese come la questione più urgente al mondo e che milioni di persone in tutto il mondo si sarebbero nuovamente radunate per la libertà palestinese.

L’ultimo anno è stato testimone di un Genocidio israeliano a Gaza e di una violenza senza precedenti in Cisgiordania, ma anche di leggendarie espressioni di “Sumud” palestinese, o Fermezza.

Non è l’enormità della guerra israeliana, ma il grado di Fermezza palestinese che ha sfidato quella che un tempo sembrava una conclusione scontata della lotta palestinese.

Eppure, si è scoperto che l’ultimo capitolo sulla Palestina non era ancora pronto per essere scritto e che non sarebbe stato il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu a scriverlo.

La guerra in corso ha messo a nudo i limiti della Macchina Militare Israeliana. Il tipico percorso delle relazioni di Israele con i palestinesi occupati si è fondato sulla violenza israeliana deliberata e sul silenzio assordante della comunità internazionale. È stato in gran parte Israele da solo a determinare i tempi e gli obiettivi della guerra. I suoi nemici, fino a poco tempo fa, sembravano non avere voce in capitolo.

Ma non è più così. I Crimini di Guerra israeliani ora incontrano l’unità palestinese, la solidarietà araba, musulmana e internazionale e i primi, seppur gravi, segnali di responsabilità legale.

Questo non è certo ciò che Netanyahu sperava di ottenere. Pochi giorni prima dell’inizio della guerra, si trovava nella sala dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con una mappa di un “Nuovo Medio Oriente”, una mappa che cancellava completamente la Palestina e i palestinesi.

“Non dobbiamo dare ai palestinesi un veto sui nuovi trattati di pace con gli Stati arabi”, ha detto, poiché “i palestinesi rappresentano solo il 2% del mondo arabo”. La sua arroganza non è durata a lungo, poiché quel momento presumibilmente trionfale fu di breve durata.

L’assediato Netanyahu ora è preoccupato soprattutto per la sua sopravvivenza politica. Sta espandendo la guerra per sfuggire all’umiliazione del suo esercito a Gaza ed è terrorizzato dalla prospettiva di un mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale.

E mentre la Corte Internazionale di Giustizia continua a esaminare un fascicolo in continuo aggiornamento che accusa Israele di Genocidio deliberato nella Striscia, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha deciso il mese scorso che Israele deve porre fine alla sua Occupazione illegale della Palestina entro un anno.

Deve essere del tutto deludente per Netanyahu, che ha lavorato instancabilmente per normalizzare l’Occupazione Israeliana della Palestina, incontrare un totale e fragoroso rifiuto internazionale dei suoi piani. Il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, emesso a luglio, che dichiarava che l’Occupazione israeliana è “illegale” è stato un altro colpo per Tel Aviv, che, nonostante l’illimitato supporto degli Stati Uniti, non è riuscita a cambiare il consenso internazionale sull’illegalità dell’Occupazione.

Oltre all’implacabile violenza israeliana, il popolo palestinese è stato anche emarginato come attore politico. Da quando sono stati varati gli Accordi di Oslo nel 1993, il loro destino è stato in gran parte affidato a una dirigenza palestinese per lo più non eletta, che, con il tempo, ha monopolizzato la Causa Palestinese per i propri interessi finanziari e politici.

La Fermezza dei palestinesi di Gaza, che hanno sopportato un anno di uccisioni di massa, fame deliberata e distruzione totale di tutti gli aspetti della vita, sta aiutando a riaffermare il significato politico di una nazione a lungo emarginata.

Questo cambiamento è fondamentale, in quanto è opposto a tutto ciò che Netanyahu ha cercato di realizzare. Negli anni precedenti alla guerra, Israele sembrava stesse scrivendo il capitolo finale del suo Progetto Coloniale di Insediamento in Palestina. Aveva sottomesso o assoldato la dirigenza palestinese, perfezionato il suo assedio a Gaza ed era pronto ad annettere gran parte della Cisgiordania.

Gaza divenne l’ultima delle preoccupazioni di Israele, poiché ogni discussione al riguardo era limitata all’assedio ermetico israeliano e alla conseguente crisi umanitaria, sebbene non politica.

Mentre i palestinesi di Gaza imploravano instancabilmente il mondo di fare pressione su Israele affinché ponesse fine al prolungato assedio, imposto spietatamente nel 2007, Tel Aviv continuava a condurre le sue politiche nella Striscia secondo la famigerata logica dell’ex alto funzionario israeliano Dov Weissglas, che spiegò la logica alla base del blocco come “mettere i palestinesi a dieta, ma non farli morire di fame”.

Ma dopo un anno di guerra, i palestinesi, grazie alla loro stessa Fermezza, sono diventati il ​​centro di ogni seria discussione su un futuro pacifico in Medio Oriente. Il loro coraggio e la loro Fermezza collettivi hanno neutralizzato la capacità della Macchina Militare Israeliana di esigere risultati politici attraverso la violenza.

È vero, il numero di morti, dispersi o feriti a Gaza ha probabilmente già superato i 150.000. La Striscia, impoverita e fatiscente fin dall’inizio, è in totale rovina. Ogni moschea, chiesa e ospedale sono stati distrutti o gravemente danneggiati. La maggior parte delle infrastrutture educative è stata cancellata. Tuttavia, Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi strategici, che sono in ultima analisi accomunati da un unico obiettivo: quello di mettere a tacere per sempre la ricerca palestinese della libertà.

Nonostante l’incredibile dolore e la perdita, c’è ora una potente energia che sta unendo i palestinesi attorno alla loro causa e gli arabi e il mondo intero attorno alla Palestina. Ciò avrà conseguenze che dureranno per molti anni, molto tempo dopo che Netanyahu e il suo gruppo di estremisti se ne saranno andati.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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