Bisan, un anno dopo

Grazia Parolari – Invictapalestina – 10 ottobre 2024

“Sono Bisan da Gaza, e sono ancora viva”

Così per mesi Bisan Owda, giovane giornalista della striscia di Gaza (che ha recentemente vinto un Emmy Award per il suo documentario di AJ+  intitolato proprio  “ It’s Bisan from Gaza, and I’m Still Alive” ) introduceva il racconto quotidiano della vita a Gaza, una realtà terribile e insopportabile, dove la sopravvivenza era ed è di per sé stessa un atto di sfida, e il raccontarlo un atto rivoluzionario, uno schiaffo alle coscienze di chi non vuole vedere.

L’ha fatto per giorni, per mesi. La sua voce, se pure fragile, era diventata ed è tutt’ora il simbolo della resilienza di un popolo schiacciato tra la feroce violenza dell’occupante e la colpevole e ipocrita indifferenza globale, una voce che non ha smesso di parlare, ma che con l’aumento dei crescenti e inimmaginabili orrori, si è fatta colma di dolore impotente, a volte disperata, a volte, nonostante tutto, ancora piena di speranza.

A un anno da quel 7 ottobre, a partire dal quale la sua vita e la vita del suo popolo è stata distrutta da una guerra genocidiaria, Bisan si guarda indietro, e ne ripercorre le tappe.

“Il giorno in cui ho dovuto lasciare la nostra casa, è stato il giorno peggiore della mia vita. Ho avuto  solo 15 minuti di tempo per raccogliere in uno zaino 25 anni di vita

Durante questo anno , mi sono sempre sentita come se avessi lasciato la mia anima nella mia casa nel Nord di Gaza, e questa anima è nella  mia stanza con i miei libri, i miei vestiti, le foto dei miei familiari appese ai muri.

Credevo nella possibilità di poter cambiare in meglio questo mondo. So che sono cambiata molto. Tutto perde di significato durante un genocidio. Sfortunatamente.

Vorrei non avere mai lasciato la mia casa. Nonostante le conseguenze, vorrei non averlo mai fatto, vorrei non avere mai lasciato il Nord.

Essere sfollati a Gaza è difficile, è praticamente impossibile nelle condizioni in cui siamo.

Lo sfollamento è l’unica cosa che non verrà mai cancellata dalla nostra memoria, non lo dimenticheremo mai, finchè vivremo.

Immaginate di dover condivider 40 km quadrati di spazio con due milioni di persone che corrono il rischio di essere uccise in ogni momento.

Persone sfollate, affamate, esauste, povere,  magari malate, e senza alcun aiuto

Nessuno di noi è in un luogo sicuro, non ci sono zone sicure a Gaza. Anche oggi, mentre sto filmando in un accampamento o nelle strade o sulla spiaggia, io sono sempre accompagnata dalla morte, tutti noi siamo accompagnati dalla morte. Io e la morte.

Sopravvivere all’aggressione, all’occupazione, ci ha insegnato che sopravvivere è un atto collettivo. Abbiamo bisogno di stare uniti per sopravvivere a queste condizioni.

Siamo un popolo dai forti legami, e condividiamo tutto, a cominciare dal cibo.

Condividiamo anche la gioia, la tristezza, il dolore, il dispiacere e la speranza.

Non ho più molti sogni. Il mio unico sogno ora è fermare il genocidio e che il mio popolo possa vivere libero e in pace, una pace giusta.

Provo rabbia, e sento che il mondo ci ha abbandonato.

Quando ero più giovane, solevo leggere riguardo quelle civiltà che sparirono improvvisamente, o quelle grandi città che non  hanno lasciato traccia, ed ero solita chiedermi quale fosse quella forza così distruttiva capace di cancellare popoli luoghi e civiltà in modo così subitaneo.

Ora ho avuto la risposta, nel modo più duro. Ne ho esperienza.

Avete mai sentito parlare di una terra senza sogni?

 Gaza ora è una terra senza sogni

Sono davvero orgogliosa di essere qui, nonostante tutto.

Essere sfollati è una cosa orribile, è davvero dura. Vivere nelle tende è quasi impossibile dopo tutto quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, ma io sono così orgogliosa di questo popolo, dei bambini, di tutti noi.

Torneremo alle nostre case e alle nostre città.

E quando torneremo , festeggeremo con voi.

Festeggeremo ripulendo le nostre città, le nostre strade, ricostruendo Gaza, e lo faremo insieme

Gaza, mio luogo bellissimo, mia amata. Se dio vuole, ritorneremo.

Sento che sarà così”

Le tappe di un anno

Prima del 7 ottobre, Bisan era una  content creator palestinese. Da allora, ha coperto la guerra di Israele a Gaza.

Dall’ottobre 23 Israele ha fatto evacuare circa 1.9 milioni di Palestinesi a Gaza , molti più di una sola volta

Mentre era sfollata allo Shifa Hospital, Bisan è scampata per pochissimo a un bombardamento all’entrata dell’edificio

Durante  l’unica tregua temporanea, a novembre, l’esercito israeliano lanciò dei volantini nei quali si intimava la popolazione di non tornare alle loro case nel Nord.

Con l’inverno, la vita nelle tende divenne sempre più dura.

A dicembre, nel giorno di natale, Bisan dovette prepararsi a lasciare Khan Yunis per Rafah, al Sud

Da dicembre a gennaio , i combattimento si intensificarono a sud di Gaza City e nei dintorni dell’ospedale Nasser a Khan Younis. Prima dell’assalto di Israele, Gaza aveva 36 ospedali. Ora ne sono rimasi 16, solo parzialmente funzionanti.

Israele continua ad emettere sistematicamente ordini di evacuazione verso zone sempre più ristrette, e sempre più a Sud, definendole “aree sicure”.

In Marzo ed Aprile, si è celebrato il ramadan, nonostante la scarsità di beni primari e le continue sfide per sopravvivere.

Dopo il bombardamento di Khan Younis, la seconda città più importante della Striscia, gli abitanti vi sono tornati, trovando le loro case decimate.

Il 26 maggio, almeno 45 palestinesi sono uccisi da un bombardamento su un campo di sfollati  a Rafah.

Con l’estate, le persone si trovano a vivere nelle tende con temperature che superano i 40 gradi.

L’ondata di caldo e le cattive condizioni igieniche, causano malattie e infezioni. Gli attacchi israeliani hanno causato la distruzione delle infrastrutture necessarie per soddisfare le esigenze più basiche, prima tra tutte la disponibilità di acqua potabile

“Sono sopravvissuta a un anno di genocidio. Sono cambiata, e la vecchia Bisan non esiste più. E’ rimasta in quel giardino, nella casa a Nord della Striscia di Gaza. Qui è il 10 Novembre 2023. L’ultima volta che ho visto la mia casa e i miei gatti , prima di fuggire al Sud della Striscia”
“La mia sorellina Dodo, un’ora prima di partire per il Sud. Avevamo passato l’ultima notte dormendo  in una scuola accanto a persone che non conoscevamo. Dalla finestra vedevamo la nostra casa e non riuscivamo ad addormentarci. Ricordo i bombardamenti a caso sulle case circostanti. Dodo sorride come sempre”.
“La mia tenda nel cortile dell’ospedale Al Shifa. Ricordo che mio padre stava cercando qualcosa per proteggerci dalla pioggia e aveva trovato questo cartellone. Abbiamo vissuto qui per 30 giorni”.
“L’ ingresso dell’ ospedale Al Shifa, dove  mi recavo per avere la connessione e postare gli aggiornamenti.”
“Il nostro primo thè in famiglia, dopo aver lasciato la nostra casa, la nostra terra e tutto quanto al Nord. Da allora siamo senza casa”. 
“L’ultima volta in cui ho tenuto la mano di mia nonna tra le mie, prima che morisse a causa delle infezioni e della mancanza di cure. Eravamo sfollati all’ospedale Al Shifa, come altre 60.000 persone”.
“La prima volta che ho coperto la notizia di un bombardamento nel campo profughi di Shate’e -Gaza Nord”
“Selfie con un gruppo di bambini sfollati in una scuola dopo esserci colorati le facce , in cerca di quei sorrisi di cui eravamo stati privati- Gaza Nord”
“I 6 giorni di tregua a Novembre, durante i quali ho raggiunto il punto più a nord che mi era stato possibile: l’insegna  che dava il benvenuto a Gaza City”.
“L’opera di un/una artista di cui non conosco il nome, ma che ringrazio tantissimo”.

Per chi volesse aiutare Bisan, e con lei la comunità di sfollati in cui vive:

https://www.paypal.com/paypalme/IffatZehraKazmi

Foto e testi dal video “It’s Bisan from Gaza and we will return” e dal profilo IG di Bisan Owda.