Dissoluzione o riforme: Gaza e la crisi incurabile dell’ONU

L’organismo mondiale non è stato in grado di fermare le atrocità in Palestina, Libano, Sudan e altrove.

Fonte: English version

Di Ramzy Baroud – 11 novembre 2024

Francesca Albanese non ha usato mezzi termini. In un discorso dai toni forti tenutosi di recente alla Terza Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Relatrice Speciale si è discostata dalla linea tipica di altri funzionari dell’ONU. Ha indirizzato le sue dichiarazioni ai presenti.

“È possibile che dopo 42.000 persone uccise, non si riesca a provare empatia per i palestinesi?”, ha affermato Albanese nella sua dichiarazione sulla necessità di “riconoscere la guerra di Israele a Gaza come un Genocidio”. “Quelli di voi che non hanno pronunciato una parola su ciò che sta accadendo a Gaza dimostrano che l’empatia è evaporata da questa stanza”, ha aggiunto.

La Relatrice era forse troppo idealista quando ha scelto di fare appello all’empatia, che, nelle sue parole, rappresenta “la colla che ci fa stare uniti come Umanità”?

La risposta dipende in gran parte da come desideriamo definire il ruolo svolto dall’ONU e dalle sue varie istituzioni; se la sua piattaforma globale è stata istituita come garante della pace o come circolo politico per coloro che hanno potenza militare e potere politico per imporre i propri programmi al resto del mondo?

Francesca Albanese non è la prima persona a esprimere profonda frustrazione per l’istituzione, per non parlare del crollo morale dell’ONU, o per l’incapacità dell’istituzione di apportare qualsiasi tipo di cambiamento concreto, specialmente in tempi di grandi crisi.

“Obsoleto”, “inefficace”?

Lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva accusato il ramo esecutivo delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza, di essere “obsoleto”, “ingiusto” e un “sistema inefficace”.

“La verità è che il Consiglio di Sicurezza ha sistematicamente fallito in relazione alla capacità di porre fine ai conflitti più drammatici che affrontiamo oggi”, ha affermato, riferendosi a “Sudan, Gaza, Ucraina”. Inoltre, pur notando che “L’ONU non è il Consiglio di Sicurezza”, Guterres ha riconosciuto che tutti gli organismi delle Nazioni Unite “soffrono del fatto che le persone li guardano e pensano, ‘Beh, ma il Consiglio di Sicurezza ci ha deluso'”.

Tuttavia, alcuni funzionari delle Nazioni Unite sono principalmente preoccupati di come il fallimento delle Nazioni Unite stia compromettendo la posizione del sistema internazionale, quindi ciò che resta della loro credibilità. Ma alcuni, come Albanese, sono effettivamente spinti da un profondo senso di umanità.

Il 28 ottobre 2023, poche settimane dopo l’inizio della guerra, il direttore dell’ufficio di New York dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha lasciato il suo incarico perché non riusciva più a trovare spazio per conciliare il fallimento nel fermare la guerra a Gaza con la credibilità dell’istituzione.

“Questa sarà la mia ultima comunicazione con voi”, ha scritto Craig Mokhiber all’Alto Commissario delle Nazioni Unite a Ginevra, Volker Turk. “Ancora una volta stiamo assistendo a un Genocidio che si sta svolgendo davanti ai nostri occhi e l’organizzazione che serviamo sembra impotente nel fermarlo”, ha aggiunto Mokhiber.

La frase “ancora una volta” potrebbe spiegare perché il funzionario delle Nazioni Unite ha preso la decisione di andarsene poco dopo l’inizio della guerra. Sentiva che la storia si stava ripetendo, in tutti i suoi cruenti dettagli, mentre la comunità internazionale rimaneva divisa tra impotenza e apatia.

Il problema è multiforme, complicato dal fatto che i funzionari e gli impiegati delle Nazioni Unite non hanno il potere di modificare la struttura molto distorta della più grande istituzione politica del mondo. Quel potere è nelle mani di coloro che esercitano il potere politico, militare, finanziario e di veto.

In questo contesto, Paesi come Israele possono fare ciò che vogliono, incluso mettere al bando le stesse organizzazioni delle Nazioni Unite che sono state incaricate di sostenere il Diritto Internazionale, come ha fatto la Knesset israeliana (Parlamento) il 28 ottobre quando ha approvato una legge che proibisce all’UNRWA di condurre “qualsiasi attività” o fornire servizi in Israele e nei Territori Occupati.

C’è una via d’uscita?

Molti, soprattutto nel Sud del Mondo, credono che l’ONU abbia esaurito la sua utilità o necessiti di serie riforme.

Queste valutazioni sono valide, basate su questo semplice principio: l’ONU è stata fondata nel 1945 con gli obiettivi principali del “mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, della promozione del benessere dei popoli del mondo e della cooperazione internazionale a questi fini”.

Ben poco dell’impegno di cui sopra è stato raggiunto. Infatti, non solo l’ONU ha fallito in quella missione primaria, ma è diventata una manifestazione della distribuzione ineguagliabile del potere tra i suoi membri.

Sebbene l’ONU sia stata fondata in seguito alle atrocità della Seconda Guerra Mondiale, ora è ampiamente inutile nella sua incapacità di fermare simili atrocità in Palestina, Libano, Sudan e altrove.

Nel suo discorso, Francesca Albanese ha sottolineato che se i fallimenti dell’ONU continuano, il suo mandato diventerà ancora “sempre più irrilevante per il resto del mondo”, specialmente in questi tempi di tumulto.

Francesca Albanese ha ragione, ovviamente, ma considerando il danno irreversibile che si è già verificato, è difficile trovare una giustificazione morale, per non parlare di razionale, del perché l’ONU, almeno nella sua forma attuale, dovrebbe continuare a esistere.

Ora che il Sud del Mondo sta finalmente emergendo con le sue iniziative politiche, economiche e legali, è tempo che questi nuovi organismi offrano un’alternativa completa all’ONU o spingano per riforme serie e irreversibili nell’organizzazione.

O questo o il sistema internazionale continuerà a essere definito solo da apatia e interesse personale.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione di Beniamino Rocchetto  -Invictapalestina.org