Rights and Accountability – 5 February 2016
Un tribunale saudita ha stabilito questa settimana che, anziché essere decapitato, il poeta palestinese Ashraf Fayadh affronterà la fustigazione e otto anni di prigione come punizione per quello che le autorità religiose considerano crimini contro l’Islam.
Secondo The Guardian, il cambiamento di condanna è arrivata dopo un ricorso presentato dall’avvocato di Fayadh. L’appello ha sostenuto che a Fayadh era stato negato un giusto processo, condannato sulla base di testimonianze discutibili, e che egli mostra segni di malattia mentale.
Nonostante il cambiamento nella sentenza, la Corte mantiene la colpevolezza di Fayadh. Oltre a 800 frustate da “somministrare” 50 per volta in 16 diverse occasioni durante la sua prigionia, la Corte ha stabilito che egli deve pentirsi pubblicamente sui media dello stato saudita.
Persecuzione
Fayadh è stato arrestato nella città saudita di Abha nell’agosto del 2013 a seguito di una discussione in un bar locale. Sulla base di un’analisi dei documenti del tribunale a cura di Human Rights Watch, i membri del Comitato dell’Arabia Saudita per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, o polizia religiosa, hanno formulato per Fayadh la seguente accusa: “ha fatto commenti osceni su Dio, il profeta Maometto e lo stato saudita.”
L’accusa ha anche affermato che con le poesie scritte, Instructions Within, Fayadh “ha promosso l’ateismo e la miscredenza.”
Al suo primo arresto fu rilasciato dopo un giorno, ma gli amici di Fayadh avevano raccontato al Guardian che, dopo che la polizia religiosa non era riuscita a dimostrare che la sua poesia era propaganda atea, lo rimproverò per il fumo e per i capelli lunghi.
Fayadh è stato poi ri-arrestato nel gennaio 2014 e accusato di una serie di reati religiosi. E’ stato anche accusato di avere relazioni illecite con alcune donne le cui foto sono state scoperte sul suo telefonino.
Le dichiarazioni di innocenza
Nel corso di sei udienze tra febbraio e maggio 2014, Fayadh ha sostenuto la sua innocenza. Testimoni della difesa, tra cui lo zio di un suo accusatore iniziale, hanno testimoniato che l’accusatore stava mentendo.
Nel recente appello Fayadh ha affermato che “il giudizio non può basarsi sulle [prove dell’accusatore] per valutare eventuali atti malevoli.”
Per quanto riguarda il suo libro Instructions Within, Fayadh ha detto al Guardian lo scorso anno che erano “riflessioni culturali e filosofiche personali in quanto profugo palestinese. Ma gli estremisti religiosi hanno spiegato come le idee erano distruttive contro Dio.”
Fayadh ha inoltre spiegato che le foto di donne presenti sul suo telefono erano di altre artiste, alcune delle quali pubblicate su Instagram durante Jeddah Art Week, un evento di arte contemporanea in Arabia Saudita.
A conclusione del suo primo processo, Fayadh aveva espresso pentimento per tutto ciò che le autorità religiose potevano aver considerato offensivo nei suoi scritti e fu condannato a quattro anni di prigione e 800 frustate.
Ma a seguito di un ricorso da parte dell’accusa, nel novembre dello scorso anno, Fayadh è stato condannato a morte per apostasia.
Secondo The Guardian, il padre di Fayadh è morto il mese scorso colpito da un ictus dopo aver sentito della condanna a morte di suo figlio.
Le autorità hanno impedito a Fayadh di visitare suo padre prima della sua morte e di partecipare al funerale.
I tribunali sauditi sono diventati noti per il rilascio di dure sentenze per motivi religiosi. Nel 2014, il blogger Raif Badawi è stato condannato a 10 anni di carcere e 1.000 frustate per la sua critica ai leader politici e religiosi dello Stato.
La sua prima condanna l’anno scorso è stata accolta con proteste internazionali. Egli non è stato frustato pubblicamente ma è rimasto in carcere.
L’Arabia Saudita, stretto alleato degli Stati Uniti e di altri governi occidentali, ha uno dei più alti tassi di esecuzioni al mondo, più di 150 nel 2015, spesso esegue la condanna attraverso decapitazioni pubbliche.
Secondo Human Rights Watch, la stragrande maggioranza sono per omicidio e crimini legati alla droga, ma i tribunali sauditi occasionalmente emettono sentenze capitali per “crimini” religiosamente definiti, come “apostasia” e “stregoneria”.
L’articolo 32 della Carta araba dei diritti umani, che l’Arabia Saudita ha ratificato, garantisce il diritto alla libertà di opinione e di espressione.
Ulteriori ricorsi
Mentre l’avvocato di Fayadh ha accolto questa ultima revoca della condanna a morte, ha riferito a The Guardian che il suo cliente rimane innocente e che egli avrebbe cercato di farlo rilasciare su cauzione, contemporaneamente sono stati depositati ulteriori ricorsi .
Ora a 35 anni, Fayadh ha rappresentato una stella nascente nel panorama artistico saudita. Membro del gruppo artistico britannico-saudita Edge of Arabia, ha curato mostre a Jeddah e alla Biennale di Venezia nel 2013, per promuovere le nuove generazioni di artisti sauditi.
Molti scrittori di spicco, poeti, attori e altri artisti hanno fatto un appello per il rilascio di Fayadh. Tra i sostenitori eccellenti troviamo Chris Dercon, direttore del museo Tate Modern a Londra, la scrittrice Carol Ann Duffy e l’attrice Helen Mirren.
A seguito di condanna a morte di Fayadh nel mese di novembre, decine di artisti hanno firmato un appello sfidando le autorità saudite e invitando altri governi a fare pressione per la sua liberazione.
Mentre da una parte i sostenitori di Fayadh si sentono sollevati dal fatto che la sua vita è stata risparmiata, dall’altra rimangono indignati per il suo trattamento da parte delle autorità saudite e continuano a richiedere la sua libertà.
“I tribunali sauditi hanno semplicemente prolungato questa ingiustizia imponendo una pena detentiva lunga e una aberrante punizione fisica”, si legge in una dichiarazione di Carles Torner, direttore esecutivo dell’associazione che raccoglie i maggiori scrittori PEN International.
“Ashraf Fayadh ha già scontato la prigione solo per aver esercitato il suo legittimo diritto alla libertà di espressione”, aggiunge Torner.
Trad. Invictapalestina
fonte: https://electronicintifada.net/blogs/ryan-rodrick-beiler/saudi-arabia-sentences-palestinian-poet-torture-instead-death