Indebolito da Israele, Abbas non può fare niente per prevenire attacchi mortali

I palestinesi vedono le azioni, o l’ inazione, del loro presidente nel migliore dei casi come un sonoro fallimento e disfattismo, e nel peggiore come consapevole collaborazionismo con Israele.

di Amira Hass

Palestinian President Mahmoud Abbas in Ramallah, October 2, 2015.AP
Palestinian President Mahmoud Abbas in Ramallah, October 2, 2015.AP

Haaretz, 4 ottobre 2015

Il silenzio “assordante” di Mahmoud Abbas dopo l’assassinio dei coniugi Henkin non dimostra l’appoggio agli attacchi armati. Mostra che il presidente palestinese capisce che deve tener conto dell’opinione pubblica palestinese, e questa opinione pubblica non può vedere i coloni come civili innocenti.

I palestinesi vedono se stessi come vittime individuali e collettive di ogni colono. Per i palestinesi, gli attacchi armati contro gli israeliani, soprattutto in Cisgiordania (compresa Gerusalemme est) sono solo una risposta alla violenza israeliana, una risposta che non è paragonabile all’ingiustizia che subiscono.

Ciò non significa che ogni palestinese appoggi automaticamente gli omicidi. I media palestinesi riferiscono del passato di Eitam Henkin nell’esercito e sottolineano informazioni – molto probabilmente false – sul suo importante ruolo nell’intelligence militare. In altre parole, lasciano intendere che non dovrebbe essere considerato un civile (mentre ignorano totalmente sua moglie come bersaglio degli spari). I servizi dei media palestinesi hanno anche citato le congetture israeliane secondo cui gli assassini avrebbero evitato di colpire i figli degli Henkin. Dopo l’uccisione della famiglia Fogel a Itamar, sono aumentate le voci contrarie ad attaccare i figli dei coloni.

Il governo israeliano giudica Abbas in base alle sue dichiarazioni pubbliche ed ai suoi silenzi, ma la sua opinione pubblica lo giudica in base alle sue azioni, o meglio a quella che vede come la sua inanità nei confronti del regime israeliano. La pubblica opinione palestinese vede un dirigente incapace di difendere il suo popolo e i suoi interessi, incapace di difenderlo contro le quotidiane incursioni dell’esercito israeliano nei quartieri e nelle case e dal fuoco letale dei soldati. E’ incapace di difendere il loro diritto a pregare nella moschea di Al-Aqsa. Non li protegge dal peggioramento della situazione economica, dagli attacchi dei coloni e dalla permanente erosione delle loro terre da parte dei coloni e dell’Amministrazione Civile [l’amministrazione militare israeliana dei Territori Occupati. N.d.tr.].

Abbas ripudia sinceramente l’uso di armi e gli attacchi contro i civili, non solo palestinesi ma anche israeliani, tra cui i coloni. Se non fosse contrario, non avrebbe sostenuto per anni la politica di collaborazione in materia di sicurezza con Israele e non sarebbe rimasto intrappolato nella sua strategia diplomatica, benché si sia dimostrata incapace di bloccare la politica di colonizzazione di Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

Il suo controllo dei fondi appartenenti all’OLP, a Fatah e all’Autorità Nazionale Palestinese e la crescita di una classe economicamente prospera inserita nello status quo ha consentito a lui ed ai dirigenti dei suoi apparati di sicurezza di continuare con il coordinamento in materia di sicurezza. Il suo silenzio “assordante”, come ha denunciato Netanyahu, in merito all’assassinio dei coniugi Henkin, e aver sganciato la bomba che non era tale all’ONU, non ha posto fine alla cooperazione sulla sicurezza. Fonti di Hamas riportano persino di arresti dei suoi militanti, anche se non sembrano legati all’attacco di giovedì.

Abbas ha temuto e continua a temere la militarizzazione, il sicuro rafforzamento di Hamas in caso di escalation militare, principalmente il disastro che provocherebbe per i palestinesi. Ma poiché il governo israeliano ha risposto all’impostazione di Abbas solo con quello che i palestinesi hanno sperimentato come una maggiore oppressione e violenza, l’indebolito presidente palestinese è incapace di far accettare alla sua opinione pubblica la logica che sta dietro i suoi timori. Quello che questa percepisce è nel migliore dei casi un sonoro fallimento e disfattismo, e nel peggiore un consapevole collaborazionismo con Israele. Quindi persino Abbas, che ha perso il contatto con la sua opinione pubblica più di qualunque altro dirigente palestinese, non può ignorare il disprezzo nei suoi confronti e la caduta della sua popolarità ad un livello senza precedenti.

Come previsto, Naftali Bennett [leader del partito israeliano di ultradestra dei coloni. N.d.tr.] si è affrettato ad attribuire ad Abbas e all’ANP la responsabilità dell’omicidio nella Città Vecchia [di Gerusalemme] sabato notte. Agli occhi dell’opinione pubblica palestinese questa attribuzione di responsabilità rende solo più evidente la patetica situazione di Abbas. Egli non va neppure a Gerusalemme e alla moschea di Al-Aqsa. Non può viaggiare sulle strade che attraversano l’Area C [controllata dagli israeliani. N.d.tr.] in Cisgiordania senza un permesso e senza coordinarsi con Israele, e ciononostante Israele lo ritiene responsabile di quello che succede all’interno delle zone di sicurezza sotto il suo [di Israele] controllo. Il modo in cui Israele fa di Abbas un oggetto di scherno agli occhi dell’opinione pubblica palestinese non fa altro che indebolire ancora di più le sue ragioni contro l’uso delle armi.

In un sondaggio realizzato durante il precedente culmine di tensione a Gerusalemme, dal 17 al 19 settembre, il 42% degli interpellati ha detto che i mezzi più efficaci per ottenere una soluzione che prevede lo Stato palestinese accanto ad Israele è la lotta armata, rispetto al 36% di tre mesi prima. Allo stesso tempo il sondaggio ha rivelato un ulteriore declino nella popolarità dell’OLP e di Abbas, un aumento del pessimismo riguardo ad una soluzione diplomatica e un incremento della sensazione di essere stati abbandonati dagli Stati arabi.

Khalil Shikaki, direttore del Palestinian Center for Policy and Survey Research [centro di ricerca palestinese indipendente. N.d.tr.] con sede a Ramallah, che ha realizzato il sondaggio, ha detto dieci giorni fa: “All’inizio del 2000 i sondaggi mostravano che non c’era molto favore nei confronti della violenza. Ce n’era nel giugno 2000 [alla vigilia dello scoppio della Seconda Intifada. N.d.tr.]. Ora vediamo di nuovo un incremento di questo appoggio. E’ chiaro che siamo alla vigilia di un nuovo sviluppo. Questo appoggio riflette una chiara situazione di frustrazione e una prospettiva molto pessimista per il futuro. Basta una scintilla, perché la situazione è propizia per una grande esplosione.”

(traduzione di Amedeo Rossi)

fonte: http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/.premium-1.678765

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