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Invicta Palestina: Una biblioteca da restituire



Data: 27 Novembre 2010
Autore: Massimo Mandolini-Pesaresi



"Villaggi ebraici furono costruiti in luogo di quelli arabi. Voi non conoscete nemmeno il nome di questi villaggi arabi e io non ve ne faccio una colpa perchè i libri di geografia non esistono più. Non solo non esistono più i libri, ma non ci sono più nemmeno i villaggi arabi: Nahlal crebbe al posto di Mahlul; Kibbutz Gvat al posto di Jibta; Kibbutz Sarid al posto di Huneifis; Kefar Yehushu'a al posto di Tal al-Shuman. Non esiste un singolo luogo edificato in questo paese che non sia stato precedentemente popolato dagli Arabi."

Queste parole di Moshe Dayan possono forse darci un’idea dell’estensione del genocidio etnico e culturale, che accompagnò la costituzione dello stato d’Israele. La storia della Nakbah (letteralmente, ‘catastrofe’), la tragedia palestinese del 1948, è in gran parte ancora da scrivere (o riscrivere). Grazie agli illuninanti contributi dei “nuovi storici” (new historians) israeliani, quali, fra gli altri, Ilan Pappé e Tom Segev , la compatta facciata di menzogne della propaganda sionista comincia a sgretolarsi, ma una ricostruzione esaustiva dei fatti è ancora lontana.

Un interessante e inedito aspetto della tragedia è il furto di … libri. Sí, non solo la terra, le case, la tranquillità di vivere, ma anche i libri. Un recente aticolo di Arwa Aburawa, “The Great Book Robbery of 1948” (La grande rapina dei libri del 1948) (Electronic Intifada, 9 novembre 2010) documenta la storia di piú di 60.000 libri (oltre a manoscritti e giornali), che furono sequestrati dalle case palestinesi da parte delle forze israeliane. L’articolo fa anche riferimento all’omonima iniziativa , The Great Book Robbery, (http://tgbr.iskra.net ), che propone un duplice progetto: sia la realizzazione e distribuzione di un documentario (per la regia di Benny Brunner, Arjan El Fassed e altri), sia la ricostruzione del genocidio culturale del mondo palestinese durante la Nakbah. Di questi libri saccheggiati, circa 30.000 si trovano ora alla Jewish National Library, varie migliaia furono rivendute a compratori arabi, mentre ben 26.000 furono mandati al macero perché considerati pericolosi, in quanto potevano “istigare alla ribellione contro lo Stato d’Israele”.
E’ infatti una caratteristica di tutti i regimi coloniali provvedere a che la mala pianta dello spirito d’indipendenza nazionale non attecchisca fra la popolazione autoctona. Vale la pena ricordare, ad esempio, che Churchill –come appare dal “Secret Poison Gas Memo”– era pronto a usare armi di distruzione di massa (gas velenosi) contro gli “Arabi irriducibili” (recalcitrant Arabs).
Ciò che rende il detto saccheggio del 1948 particolarmente inquietante è il carattere sistematico dell’operazione. Il ben pianificato sequestro dei libri era un aspetto di quel piú vasto programma di pulizia etnica e annientamento culturale, che ebbero nel famigerato Piano Dalet (Tokhnith Daleth) la loro piú esplicita espressione.
Oggi, a piú di sessant’ anni di distanza, si sta verificando una singolare, costruttiva “nemesi” di quella tragedia. Il Centro Invicta Palestina di Pentone (CZ) ha infatti lanciato un’originalissima campagna: “Adotta un libro” L’inziativa vuole estendere a tutti un invito a diventare partecipi della costruzione di una biblioteca dedicata alla storia della Palestina e dei Palestinesi. Tale progetto ha sia un aspetto ‘materiale’, la costituzione di una vera biblioteca di libri (e alcuni vengono già donati da varie parti d’Italia e anche da paesi stranieri), sia una dimensione ‘virtuale’, la creazione di una banca dati, che accolga il maggior numero possibile di titoli nelle varie lingue occidentali. Se Borges poteva immaginare una biblioteca come metafora del mondo, lo scopo di questo progetto è ricreare un ‘luogo’ per la memoria palestinese: uno spazio/dimensione, in cui il ricordo e l’analisi storica possano favorire la libertà di pensare il futuro.

E’ significativo che una simile iniziativa venga dalla diaspora, a sottolineare la vitalità di questa nel creare un senso di solidarietà interculturale. Come è stato spesso rilevato da quell’inesausto pioniere delle lotte per la giustizia e la libertà, Noam Chomsky, una pace duratura in Medio Oriente può iniziare fuori della Pallestina. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea possiedono la capacità di indurre Israele a porre fine ai suoi crimini e a rispettare il diritto internazionale e le risoluzioni dell’ONU. Nonostante i primi due anni dell’amministrazione Obama abbiano deluso amaramente molti , alcuni analisti non escludono la possibilità di un ravvedimento da parte del presidente: ora che le elezioni sono passate, Obama potrebbe decidere di agire nell’interesse degli Stati Uniti e non d’israele. Sarebbe forse sufficiente che egli evitasse di porre il tradizionale veto alle mozioni dell’ONU, volte a condannare l’occupazione e i crimini dello stato sionista. Riuscirà a farlo? Credo che una saggia epochè sia consigliabile.

Indipendentemente dalle decisioni prese a livello governativo, un passo fondamentale in questo lento processo è la pressione che attivisti e organizzazioni umanitarie possono esercitare sul governo statunitense, affinché cessi ogni fornitura di armi (un fatturato di circa 3 miliardi di dollari l’anno) a Israele. Questa campagna si inserisce nel piú vasto movimento internazionale, noto con l’acronimo BDS (Boycott Disinvest Sanction), in cui si registra un’intensa attività da parte di vari gruppi (tra cui anche associazioni ebraiche, quali Jewish Voice for Peace) Alcuni primi risultati positivi cominciano già a vedersi: è di questi giorni la notizia che la ditta Caterpillar (costruttrice di bulldozer, con cui vengono rase al suolo le case dei Palestinesi, e sotto uno dei quali perse la vita, sette anni fa, l’eroica attivista americana Rachel Corrie nel tentativo di impedire una di tali demolizioni) ha per il momento sospeso le forniture. In California poi si stanno ora raccogliendo firme allo scopo di poter introdurre nelle votazioni del 2011 un ballottaggio, che permetta agli elettori di votare in favore del disinvestimento da Israele: nel caso che la proposta sia approvata, per legge tutti i programmi statali di pensionamento saranno obbligati a ritirare i propri investimenti dai territori occupati.
In tale contesto di cooperazione internazionale, l’iniziativa di Invicta Palestina intende coniugare il progetto politico e pragmatico con una dimensione di recupero del passato, inteso come patrimonio culturale perenne. La biblioteca, che abbiamo iniziato a creare, è quindi anche una biblioteca da ‘restituire’ al popolo della Palestina, terra depredata e violentata.

“….Cosa posso mai fare?
Che posso mai fare senza l’esilio?
E una notte, lunga notte sull’acqua?”
Mahmoud Darwish

2010 © Massimo Mandolini-Pesaresi

Massimo Mandolini-Pesaresi è un professore italiano, che vive da anni negli US. E’ autore di numerosi articoli e di due libri di critica letteraria. Attualmente è impegnato in varie iniziative a sostegno della causa palestinese.