PayPal è stata denunciata dagli attivisti filopalestinesi per il suo rifiuto di permettere ai palestinesi che vivono nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza di aprire account. Mentre PayPal si rifiuta di acquisire clienti palestinesi che vivono nei Territori occupati, non c’è invece, per gli israeliani che vivono negli insediamenti illegali in Cisgiordania, alcun problema ad accedere al servizio. Questo ha scatenato un sacco di polemiche sui social media e tra gli imprenditori palestinesi, che alla fine hanno denunciato la politica, chiaramente discriminatoria, di PayPal.
Quando ho contattato PayPal per chiedere il motivo che l’ha spinta ad avere una tale politica e se la società prende deliberatamente di mira i palestinesi oppure se il problema sia legato alla sicurezza, ho ricevuto una risposta generica che non risponde a nessuna delle due domande:
“L’ambizione di PayPal è che, alla fine, tutti possano accedere ai nostri servizi per i pagamenti digitali e il commercio, in conformità con i requisiti normativi vigenti. Apprezziamo l’interesse che la comunità palestinese ha dimostrato nei confronti di PayPal. Anche se ora non abbiamo nulla da annunciare per l’immediato futuro, stiamo lavorando incessantemente per sviluppare partnership strategiche, affrontare fattibilità di affari, rispetto di normative e requisiti, e di acquisire le necessarie autorizzazioni delle autorità locali per i nuovi ingressi sul mercato.”
Presi di mira direttamente i palestinesi?
Nonostante che lo Shekel israeliano sia la valuta corrente in Palestina e in Israele, i palestinesi si trovano in modo sproporzionato sul gradino più basso della scala socio-economica. Considerata l’elevata disoccupazione, molti palestinesi stanno cercando mezzi imprenditoriali, al fine di sopravvivere. Questo non vuol sempre dire vendita di prodotti; molti palestinesi offrono servizi on-line, come ad esempio traduzioni o l’insegnamento dell’arabo con lezioni su Skype. Poiché PayPal viene generalmente percepito come un modo sicuro per pagare prodotti e servizi online, molti palestinesi non perdono l’occasione di guardare a Internet per la propria autosufficienza.
Molti palestinesi sono costretti a lavori a bassa retribuzione all’interno degli insediamenti illegali israeliani. I bambini troppo spesso sono costretti a lasciare la scuola per cercare lavoro e aiutare la famiglia. In media, questi bambini guadagnano 18 dollari al giorno facendo lavori agricoli, anche se il salario minimo nazionale dovrebbe essere di 6 dollari l’ora. Per questo motivo, perdono un’istruzione che è vitale e sono costretti nella trappola di una povertà crescente, a volte volgendosi al crimine come mezzo per sopravvivere.
Finché PayPal permetterà agli israeliani che vivono negli insediamenti illegali di avere un account, mentre non lo permetterà ai palestinesi in Cisgiordania, la società non solo – forse inconsapevolmente – perpetuerà il divario di ricchezza tra la popolazione locale e i coloni nei Territori occupati, ma perpetuarà anche il ciclo della povertà tra la popolazione palestinese. Le imprese di insediamento colonico sono in grado di operare senza restrizioni, nonostante alcune sfruttino il lavoro infantile, paghino al di sotto del salario minimo e operino illegalmente su territorio palestinese.
Gaza risulta particolarmente vulnerabile per la mancanza dei servizi di PayPal, visto che la sua economia è già a pezzi. Secondo la Banca mondiale, la sola disoccupazione giovanile a Gaza è al 60%, il più alto tasso di disoccupazione giovanile nella regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa). Il tasso di disoccupazione generale a Gaza è il 43 %, il più alto del mondo. Steen Lau Jorgensen, direttore della Banca per la Cisgiordania e Gaza, ha avvertito che le esportazioni di Gaza sono “virtualmente scomparse” e che “Gaza non può sopravvivere senza essere connessa con il mondo esterno.” Non avere l’accesso a PayPal non è solo un notevole inconveniente; per i palestinesi nell’enclave costiera, avere l’accesso a PayPal sarebbe un meccanismo di sopravvivenza.
Esportazione di letteratura palestinese
La mancanza di account PayPal non significa solo che ai palestinesi manca ancora un’altra forma di sostenibilità, ma risulta anche un attacco alla libertà di espressione. Molti scrittori palestinesi, per esempio, non sono in grado di lavorare per i media internazionali su base indipendente, in quanto non esiste per loro alcun modo facile per essere pagati. L’alternativa è quella di un lavoro non retribuito.
Questo fa sì che si perpetui la retorica dicotomia tra narrazioni palestinese e israeliana nei media mainstream. Le voci israeliane sono molto ben documentate nei media occidentali; mentre, anche se la narrazione palestinese è disponibile, generalmente, non capita di sentirla di prima mano.
Un’aperta discussione risulta essere la via principale per la comprensione; se in Palestina si limitano in questo modo giornalismo free-lance o attività di scrittura creativa non solo si danneggia la voce palestinese sulla piattaforma internazionale, ma si lascia che aumentino anche le incomprensioni culturali e si permette alla politica della paura di mettere radici per quanto riguarda i palestinesi e gli arabi, sia in patria che nella diaspora.
La Palestina parla chiaro
In risposta alla politica di PayPal, i palestinesi hanno lanciato una campagna su Twitter – # paypal4palestine – per sensibilizzare al problema. Più di quaranta aziende palestinesi hanno anche pubblicato una lettera aperta a PayPal, sollecitando la società sull’importanza di permettere l’uso dei suoi servizi ai palestinesi che vivono in Palestina.
Ho parlato con imprenditori in Palestina che hanno ribadito l’importanza della presenza di PayPal sul mercato. Secondo Ambar Amleh, co-fondatore e Chief Operating Officer di Ibtikar Fund, recentissimo fondo di investimento in Palestina, operando con gli insediamenti illegali israeliani, ma non con i clienti palestinesi, PayPal “contraddice completamente la sua posizione sulla correttezza, l’inclusione e l’uguaglianza.” Ha inoltre detto che il fatto che PayPal si sia “rifiutata di rispondere direttamente alle nostre domande” dopo che un certo numero di aziende e mezzi di comunicazione hanno contattato l’azienda sulla questione “la dice lunga.”
Sam Bahour è l’amministratore delegato di Applied Information Management e uno dei direttori della Arab Islamic Bank. Non crede che i palestinesi vengano presi di mira da parte di PayPal. “Come azienda, credo che i dirigenti di PayPal abbiano bisogno di essere informati sulla realtà qui e sul loro ruolo nel promuovere lo sviluppo economico palestinese,” mi ha detto.
Sebbene entrambi riconoscano che la mancanza di accesso a PayPal ha avuto un effetto negativo sulle imprese palestinesi, vedono comunque qualche speranza. Nonostante gli ostacoli che gli imprenditori palestinesi devono affrontare, l’ottimismo, la resilienza e l’orgoglio continuano a prevalere. “Siamo orgogliosi di essere un fondo palestinese che investe in nuove imprese palestinesi”, ha insistito Amleh.
Bahour è anche ottimista sul fatto che PayPal possa ascoltare l’appello palestinese. “Ora che PayPal ha risposto alla nostra richiesta per un incontro, mi auguro che la società veda di essere parte della soluzione qui, facendo scambi con la Palestina così come li fa con oltre 200 paesi in tutto il mondo.”
Anche se la campagna si basa su valori economici, è chiaro che i palestinesi credono che avere accesso a PayPal non sia solo una battaglia finanziaria, ma anche parte della più ampia lotta contro l’occupazione israeliana.
In linea di principio, internet non è usato dai palestinesi solo come piattaforma per sfuggire agli effetti dell’occupazione e mostrare la propria capacità di resilienza, ma anche per umanizzare se stessi e chiarire eventuali malintesi e generalizzazioni negative circa il popolo della Palestina. Consentendo il pieno accesso ai servizi finanziari online si permetterebbe loro di apprendere come crescere e come costruire ponti, e sarebbe usato come un mezzo per i palestinesi per partecipare a pratiche commerciali innovative in tempi economicamente difficili.
Trad. Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
Fonte: https://www.middleeastmonitor.com/20161008-paypal-allows-israelis-in-illegal-settlements-to-open-accounts-so-why-not-palestinians/