Copertina: 26 maggio, un cecchino israeliano mira sui manifestanti palestinesi con munizioni vere durante una protesta contro l’occupazione e in solidarietà con lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi nel villaggio di Nabi Saleh in Cisgiordania. Due settimane prima a Nabi Saleh un manifestante era stato colpito e ucciso con lo stesso tipo di arma. (Haidi Motola ActiveStills)
Miko Peled The Electronic Intifada 12 giugno 2017
Uno degli aspetti più inquietanti della realtà in Palestina è la sua normalità.
È diventato normale vedere i palestinesi colpiti e uccisi, anche i bambini. I volti di giovani palestinesi appaiono quotidianamente sui social media, ragazzi e ragazze colpiti dai soldati, falsamente accusati di attentati ai soldati.
E’ diventato normale vedere soldati israeliani che sparano acqua e gas lacrimogeni e cecchini che usano munizioni vere contro manifestanti disarmati che rivendicano la terra che una volta era loro e la libertà che non hanno mai avuto.
E’ diventato normale che ci impegniamo in un dibattito senza fine, sterile, sul se i palestinesi che lanciano pietre a soldati armati israeliani che invadono le loro case costituiscano violenza o se il sionismo – che ha prodotto questa violenza – sia un’ideologia razzista. E nel frattempo la sofferenza e l’oppressione di milioni di palestinesi procede quasi ininterrottamente.
Non è un segreto che gli israeliani e i palestinesi vivano due realtà separate.
Anche quando, privilegiati israeliani, siamo andati venerdì al villaggio di Nabi Saleh per partecipare alla protesta settimanale, alla fine della giornata siamo stati liberi di lasciare il villaggio, lasciare l’occupazione e tornare al nostro rifugio, pulito e dall’aspetto invitante. A differenza dei palestinesi che ci lasciamo alle spalle, le nostre case non vengono rase al suolo, le nostre strade non sono bloccate e i nostri figli non dovranno nascondersi per giorni o settimane dalla minaccia di essere colpiti, arrestati e torturati.
Torniamo a casa sudati e stanchi, coperti di gas lacrimogeni e acqua di fogna e sentiamo che abbiamo fatto la nostra parte. Ma quale parte abbiamo fatto? Qual’è il ruolo degli attivisti privilegiati israeliani all’interno della resistenza e perché realizziamo così poco?
Per cominciare dobbiamo ammettere che questa è resistenza e chiederci se siamo disposti a partecipare.
Ogni venerdì ci possono essere una decina di attivisti israeliani, sia a Nabi Saleh che a Bilin, attualmente i due luoghi principali per le proteste del venerdì nella Cisgiordania occupata. Alcuni israeliani marciano dietro, altri davanti.
Ombre?
Alcuni dicono che stanno solo documentando. Molti, come le ombre, non sembrano che conoscano la loro posizione e non vogliono interferire. Pochi si scontrano con le forze israeliane. Quindi la domanda che è necessario farsi è: cosa stiamo facendo?
Se non usiamo il nostro privilegio per spingere, sviluppare e confrontarci con le autorità israeliane, allora siamo veramente mere ombre.
La mia ultima visita a Nabi Saleh è stata il 26 maggio 2017, esattamente due settimane dopo che Saba Abu Ubaid, 23 anni, è stato colpito e ucciso dalle forze israeliane durante una protesta.
La marcia, come sempre, è iniziata con persone che camminavano lungo la collina partendo dalla moschea dopo la preghiera del mezzogiorno, con bandiere e canti. C’erano circa 30 o 40 persone per lo più palestinesi con alcuni israeliani regolari e altri stranieri, (anche se nelle accuse contro di me la polizia israeliana ha affermato che c’erano 200 manifestanti).
Dopo qualche minuto siamo stati affrontati dalle forze israeliane che ci hanno intimato di sciogliere la manifestazione.
Come si può descrivere l’oltraggio? Soldati armati fino ai denti sulla terra occupata intimano agli abitanti il cui villaggio è stato occupato che devono disperdersi. Ma in Palestina, questo è normale, quindi c’è poca indignazione.
“Colpiteli alle gambe”
Cominciano i soliti spintoni e poi il lancio di gas lacrimogeni, acqua di fogna e subito dopo munizioni vere. Considerando ciò che era avvenuto solo due settimane prima, vedere i cecchini prendere posizione e mirare sui bambini sulle colline è stata causa di serie preoccupazioni. Ho sentito uno, identificato dal nome sul distintivo come Raja Keyes, ordinare ai cecchini di “sparare alle gambe”.
I residenti di Nabi Saleh hanno cominciato a sedersi di fronte ai cecchini per bloccare loro la vista. Sono seguiti più lanci di gas lacrimogeni, più acqua di fogna e più cecchini.
Raja Keyes era proprio accanto a me quando si dirige verso un gruppo di donne e bambini che guardavano gli eventi dal lato della strada e, con un sorriso sulla faccia, lancia verso di loro una granata di gas lacrimogeno. Una madre corre su una terrazza per disturbare i cecchini e viene spinta dai soldati. Le vado incontro, ma un giovane ufficiale tenta di fermarmi e, appena la raggiungo, arrestano me.
Quattro o cinque ufficiali, tra cui Keyes, mi hanno bloccato. Gli ufficiali erano del Magav – anche se spesso descritti come “polizia di frontiera”, Magav è un’unità dell’esercito israeliano.
A questo punto gli ufficiali hanno buone ragioni per odiarmi e vogliono che mi tolga di torno.
A un certo punto, dopo essere stato arrestato, Keyes si presenta formalmente come “comandante di forza” e chiede il mio ID, che non avevo.
Più tardi, quando sono stato portato via nel veicolo corazzato, si è seduto davanti e io ho continuato a dirgli che non era “comandante” e non stava dirigendo nessuna “forza”, ma piuttosto erano tutti una banda di bulli armati.
Ma questo non riguarda me né nessun altro attivista. Si tratta del ruolo che noi israeliani possiamo giocare, che è unico perché la legge israeliana ci fornisce uno scudo che i palestinesi e gli attivisti internazionali non hanno.
Non è nostro ruolo svolgere commedie imparziali o documentare, non è questo il nostro ruolo cercate di seguirmi. Possiamo entrare nello spazio dei comandanti e dei soldati e disturbare il loro lavoro. Infatti, uno dei commenti fatti costantemente dai comandanti è che stiamo “disturbando il loro lavoro e saremo arrestati per questo”.
La mia risposta è che questo è proprio il punto! Perché si lamentano solo se disturbiamo le loro attività? Quando siamo arrestati siamo sempre accusati di ostacolare gli ufficiali in servizio, anche quando non lo facciamo, ma è esattamente quello che dobbiamo fare.
Lungo l’autostrada 443 – conosciuta anche come “autostrada dell’apartheid” – c’è un segnale in ebraico che dice: “Per ordine del generale comandante, agli israeliani e vietato entrare nei villaggi lungo questa strada.” Quando gli attivisti visitano i villaggi per Protesta, sfidano questo comando. Ma ancora, lo scudo che il nostro documento di identità israeliano ci fornisce può essere utilizzato per interrompere la normalità dell’occupazione ovunque.
Gli israeliani, anche scrupolosi, animati da buone intenzioni, sono troppo deboli ad usare il proprio privilegio per sfidare e combattere l’ingiustizia inflitta ai palestinesi. La maggior parte degli attivisti israeliani non si rifiutano nemmeno di servire nell’esercito israeliano perché ritengono che ciò sia troppo radicale.
Nessuno ama essere arrestato, specialmente quando si tratta di una notte o due in carcere, condividendo una stanza piena di fumo senza ventilazione e nessuna compagnia, salvo scarafaggi e criminali da due soldi che odiano gli attivisti ancor più di quanto odiano gli arabi.
Se dobbiamo svolgere un ruolo nel rovesciare l’ingiustizia e se vogliamo un giorno vedere la fine dell’oppressione per più della metà delle persone con cui viviamo, allora dobbiamo usare il nostro privilegio e agire per porre fine alla normalizzazione e all’oppressione.
Miko Peled è uno scrittore e attivista israeliano che vive negli Stati Uniti. E‘ nato e cresciuto a Gerusalemme. Suo padre era il generale israeliano Matti Peled.
Guidato da una tragedia familiare personale ad esplorare la Palestina, la sua gente e la loro narrazione. Ha scritto un libro sul suo viaggio descrivendo i privilegi degli israeliani e l’oppressione dei palestinesi. Il suo libro si intitola “Il figlio del generale, Viaggio di un israeliano in Palestina”. Peled parla a livello nazionale e internazionale sulla questione della Palestina. Peled sostiene la creazione di un unico Stato democratico in tutta la Palestina, è anche un fermo sostenitore del BDS.
trad. Invictapalestina.org
Fonte: https://electronicintifada.net/content/why-israelis-must-disrupt-occupation/20731