“Con le mie storie, mantengo il mio Paese vivo nei cuori della nuova generazione”.
Foto di copertina: Hamza Aqrabawi al Tamer Institute
di Maria Correia – 30 luglio 2018
La pratica del narratore ricopre un ruolo importante nella vita e nell’identità palestinese. Quest’arte performativa ha una lunga storia e una sua importanza, ed è oggi uno strumento per mantenere i giovani palestinesi connessi alla loro terra e alle loro radici. Parlando con un narratore ed una narratrice, entramb* affermat*, questo è quello che hanno detto.
Diventare un narratore
Denes Assad è una narratrice palestinese del villaggio di Cesarea. Il villaggio fu distrutto nella guerra arabo israeliana del 1948, quindi ora vive ad Haifa. È stata una narratrice professionista per 15 anni.
Hamzeh Aqrabawi proviene dal villaggio di Aqraba vicino a Nablus. Ha iniziato a raccontare storie in modo professionale nel 2016 e da allora ha partecipato a iniziative e a raduni di narratori a livello globale.
Entramb* hanno enfatizzato che narrare storie non è un lavoro facile.
Secondo Assad, la narrazione è come il cantare o il recitare; puoi esercitarti per migliorare, ma hai bisogno di un dono o di un talento innato per farlo. E’ una professione che richiede un lavoro costante e una guida per l’auto-miglioramento. Il padre di Assad era un insegnante, ma in seguito si rese conto di avere il dono della narrazione; Assad dice di aver ereditato il suo talento da lui.
Ha spiegato al “Palestine Monitor” che deve la sua carriera di narratrice a Katrice Horsley, una recitatrice di storie inglese che ha incontrato a Ramallah. Dopo l’incontro, Horsley ha portato Assad a Birmingham per partecipare a un festival. Era la prima volta che raccontava storie al di fuori del suo ambiente familiare. Ha poi continuato a farlo e ha partecipato a numerosi workshop e festival in tutto il mondo, per saperne di più sulla pratica.
Aqrabawi ha detto che i primi anni non si considerava un narratore. Pensava fosse strano definirsi tale quando tutto quello che stava facendo era qualcosa che tutti, nel villaggio da cui proveniva, facevano usualmente. La considerava più una passione che un lavoro.
“Mi piacevano davvero le storie e mi piaceva raccontarle, ma non mi consideravo un narratore e continuavo a insistere su questo.” Si è presentato come narratore solo nel 2016, nonostante avesse raccontato storie per anni.
“ Nel mio villaggio, ognuno racconta storie. Mia madre racconta storie 24 ore al giorno. Mio padre raccontava storie nella fattoria. E non si definivano narratori; quindi perché dovrei farlo io? ”
Scegliere una storia
Assad ha fatto riferimento alla responsabilità del narratore nella scelta di una storia e di come viene raccontata; il narratore deve sempre adattare la presentazione in base al proprio pubblico. Attualmente, è normale scegliere vecchie storie popolari ma implementarle con un contesto moderno e con eventi contemporanei.
Sia Aqrabawi che Assad hanno sottolineato come a causa della varietà del pubblico, sia necessario diversificare l’esposizione ed il contenuto delle loro storie.
Aqrabawi ha detto di unire storie di avvenimenti storici e immaginazione; per lui una forma di narrazione creativa consiste nel combinare aneddoti veri della Nakba per trasformarli in un’opera artistica.
Secondo Assad, con gli adulti è più facile mescolare gli argomenti. Si possono per esempio utilizzare temi che si sviluppano attorno al divorzio, alla violenza o alla gravidanza. Con i bambini la scelta è più limitata. Assad ha riferito di un’occasione in cui aveva 300 storie potenziali nel suo repertorio, ma solo 15 erano adatte al suo pubblico.
La chiave nella scelta delle storie è l’essere sensibile ai valori, alla cultura e alla religione del pubblico. Quindi, mentre i narratori e le narratrici ricercano le storie, la loro identità può essere utile per capire cosa è appropriato per quel tipo di pubblico. L’essere donna rende più facile ad Assad narrare storie sull’ingiustizia contro le donne, e scegliere questo tipo di storie adattandole al tipo di pubblico presente.
Storia e significato della narrazione palestinese
Sia Aqrabawi che Assad hanno sottolineato l’importanza della narrazione all’interno del contesto palestinese. Una parola che ricorreva frequentemente era comunicazione; comunicazione tra individui, culture e generazioni.
La narrazione è importante perché funge da collegamento tra gli ascoltatori e l’identità palestinese. È un elemento significativo del patrimonio palestinese.
Storicamente, in Palestina il raccontare storie si svolgeva in due forme principali; una era più femminile, aveva luogo per lo più in spazi privati e consisteva in racconti popolari. L’altra era più dominata dagli uomini, e le storie narrate si concentravano principalmente sugli eventi storici. Alcune di queste storie impiegavano mesi o addirittura anni per essere completate.
La forma pubblica della narrazione è sempre stata molto dominata dagli uomini. Assad è stata la prima donna a diventare narratrice ufficiale.
Un terzo tipo di narrazione è più informale e di solito consiste in uomini di uno stesso villaggio che la notte, durante il periodo del raccolto, si riuniscono in una casa ad ascoltare le storie narrate da alcuni di loro. Ma gli uomini che raccontano queste storie non assumono il titolo di narratori.
Con il progredire e l’espandersi della tecnologia, le persone sono diventate sempre più dipendenti dalle narrazioni televisive e radiofoniche, rendendo quasi invisibile la narrazione nella sua forma tradizionale. Ci si riunisce ancora, ma non per ascoltare un narratore o una narratrice e le sue storie, ma per seguire un canale radio o guardare uno show televisivo sui beduini.
Oggi, quando un narratore o una narratrice recitano un racconto sulla storia, sul patrimonio e sulla cultura della Palestina, aiutano le giovani generazioni che non hanno mai vissuto in un paese libero a connettersi con le loro radici. Si tratta di assicurarsi che i Palestinesi conoscano e conservino le loro storie e le loro tradizioni, impedendo a Israele di impossessarsene. Assad lo ha paragonato al dibattito in corso sulle origini di hummus e falafel.
Per Aqrabawi, il ruolo di un narratore è suscitare la speranza nel suo pubblico. Scegliendo un finale positivo, e facendo sempre vincere il bene, il narratore è in grado di aumentare l’immaginazione delle persone e di guidarle verso la speranza.
Assad ha recitato in arabo una storia; in essa abbiamo riconosciuto nomi di villaggi, città e corsi d’acqua che ora si trovano dall’altra parte del muro. “Questa è la Palestina prima del muro. I bambini di oggi non hanno tutta la Palestina nel loro cuore, io attraverso le storie sono in grado di portargliela. Questo è il mio messaggio.”
Per Assad, le storie sono un modo per mantenere la Palestina nel cuore di chi ha vissuto l’intera vita sotto l’occupazione Israeliana. A causa dell’occupazione, i Palestinesi possono trovarsi a vivere a 30 minuti dal mare, ma non vederlo mai. Raccontando storie sulle valli, sui fiumi e sul mare della Palestina, Assad mantiene il suo Paese vivo nei cuori della nuova generazione.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù”Invictapalestina.org
Fonte: http://www.palestinemonitor.org/details.php?id=o94czla19624yhkfps5gx4