L’arte del ricamo ha dato un po’ di gioia ai prigionieri e alle loro famiglie, ma le autorità israeliane hanno stretto il cappio sul passatempo
FOTO – Una borsa creata da Karam Maloukh nel carcere di Naqab nel 2008: è in seta, tessuto e cartone (MEE / Zena Tahhan)
Zena Tahhan, 29 novembre 2018
Nei suoi tre anni dietro le sbarre il curioso adolescente palestinese ha imparato il linguaggio di fili, perline e ricami.
Anche se nella regione il passatempo di cucito e ricamo è tradizionalmente associato alle donne, Maloukh, che è stato incarcerato tra il 2004 e il 2007, ha scoperto una pratica comune che non si aspettava di trovare in una cella piena di uomini.
“C’era un uomo che è stato imprigionato con me la stessa notte, eravamo in tende nella prigione di Ofer. Era già stato imprigionato diverse volte e aveva esperienza nel ricamo. Ha iniziato a sfilare fili dalla tenda e intrecciare braccialetti,” ricorda Maloukh, ora 31enne, seduto nel giardino di un museo in cui è esposto il suo lavoro e dove è impiegato come guardia di sicurezza.
“Ho iniziato a copiarlo e ho imparato a fabbricare braccialetti”, racconta a Middle East Eye al Palestinian Museum di Birzeit, città a nord di Ramallah nella Cisgiordania occupata.
Quando Maloukh fu trasferito nella prigione di Naqab, trovò una comunità di prigionieri politici – alcuni dei quali in prigione da oltre 25 anni – che erano esperti nell’arte del ricamo e ne facevano regali per i loro cari. Il passatempo si è sviluppato nel corso di decenni grazie a prigionieri che avevano deciso di utilizzare le loro capacità creative per combattere la difficile situazione della detenzione.
“Era come entrare in una fabbrica”, ricorda lo stupore provato, mentre descrive i cartamodelli per le borse, la Cupola della Roccia a Gerusalemme e la mappa della Palestina. I modelli erano ritagliati nelle dimensioni giuste per fare il regalo scelto.
Mentre a quel tempo molti dei materiali venivano portati dalle famiglie durante le visite e attraverso la Croce Rossa, le autorità carcerarie israeliane hanno poi impedito del tutto che tali oggetti entrassero in determinate prigioni, rendendo sempre più difficile per i prigionieri praticare quell’arte.
Secondo il gruppo dei diritti dei prigionieri palestinesi Addameer, non c’è stata una decisione specifica per vietare i materiali per l’artigianato, ma le autorità carcerarie hanno iniziato gradualmente a limitare l’ingresso di materiali per lavori artigianali a partire dalla metà degli anni ’90 – in particolare dopo l’Intifada di al-Aqsa, o la rivolta nel 2000 contro l’occupazione israeliana, quando molti uomini palestinesi furono arrestati.
Ihtiram Ghazawneh, coordinatore dell’unità di documentazione e ricerca di Addameer, ha detto a MEE: “Gli uomini avrebbero incoraggiato i nuovi prigionieri ad imparare come improvvisare e usare le poche risorse che avevamo.
Maloukh, ora padre di due ragazzi e una ragazza, dice: “Ho imparato a ricamare, usare perline, cucire su penne e fare rosari usando i semi di olive e collane di semi di avocado”.
Mentre era in prigione ha fatto libri, borse e braccialetti per la sua fidanzata. La sua opera è attualmente esposta alla mostra Lavoro d’amoredel Palestinian Museum fino alla fine di gennaio.
La mostra esamina aspetti del ricamo palestinese attraverso temi come genere e classe, offrendo prospettive alternative all’importanza di questa pratica nella storia e nella cultura. In mostra una varietà di abiti, accessori, poster, dipinti e video di grande impatto visivo.
Farsi forza l’un l’altro
“Il ricamo non è solo per le donne”, dice Maloukh con un sorriso.
“La gente mi chiedeva: ‘Non ti imbarazza fare questo tipo di lavoro?’ Vorrei dire loro: ‘Perché dovrei imbarazzarmi? Qual è il problema con gli uomini che creano lavori fatti a mano?’ Alla fine è un’abilità e ne abbiamo imparato la pazienza: è stata una sfida che ha richiesto molta perseveranza”, dice.
Il passatempo non solo richiedeva abilità motorie eccellenti, ma anche creatività nella ricerca di materiali non convenzionali per produrre le opere d’arte di loro scelta a causa della mancanza di materiali per artigianato.
Rachel Dedman, la curatrice indipendente della mostra di Beirut, ha dichiarato di aver scoperto durante i suoi quattro anni di ricerca per il progetto che il sentimento di “imbarazzo si dissolve e gli uomini ricamano con orgoglio” in prigione.
“Quando ho chiesto di questo alle donne che abbiamo intervistato, spesso mi hanno detto che i loro mariti e figli si sono divertiti a ricamare, ma che non ne avrebbero mai parlato in pubblico”, dice.
“Nello spazio indiscutibilmente maschile della prigione, il ricamo è diventato una pratica lecita, fatta per contrastare la noia, per resistere alla loro incarcerazione e per fare regali per i propri cari”, aggiunge Dedman.
Secondo Maloukh, c’era un effetto positivo non solo per i prigionieri impegnati nello sforzo creativo, ma anche per coloro che chiedevano qualcosa di fatto da loro.
“A volte portavamo sigarette e chi non fumava scambiava un pacchetto con un regalo.
“Le cose che abbiamo creato hanno sollevato le nostre famiglie”, dice.
Non un diritto
La situazione odierna, tuttavia, è marcatamente diversa perché l’attività extra-curriculare sta diventando superata.
Ghazawneh, il coordinatore dell’unità di documentazione e ricerca di Addameer, ha detto a MEE che negli ultimi dieci anni le autorità carcerarie hanno stretto il cappio su tali attività.
“La pratica era molto più diffusa di quanto non sia oggi: non c’è stata una chiara decisione di vietare l’ingresso di materiali, ma le autorità carcerarie hanno iniziato a considerare l’attività come una forma di trattamento speciale e non un diritto dei prigionieri” dice Ghazawneh.
Dice che Addameer, che ha avvocati che visitano regolarmente le prigioni, “erano soliti ricevere molti doni creativi”, ma che è diventato “molto raro in questi giorni”.
Hatem al-Araj – anche il suo lavoro è esposto al Palestinian Museum – è stato incarcerato nel 2003 quando aveva 18 anni, ed è ancora dietro le sbarre.
Sua madre, Nawal, dice che suo figlio non ha potuto regalarle nulla per anni.
“Erano soliti lasciare entrare velluto, seta e perline. Ora [le autorità carcerarie] a malapena lasciano che producano qualcosa”, dice a Middle East Eye dalla città di Walajeh, a nord-ovest di Betlemme nella Cisgiordania occupata.
I regali fatti per i membri della famiglia hanno un importante valore emotivo per chi lo riceve, dando un senso di vicinanza ai loro cari.
“I pezzi che ha fatto significano tutto per me, non li scambierei con tutto l’oro del mondo”, dice Nawal. “Li ho amati perché potevo sentire l’odore della sua pelle sui regali.
“Era molto personale.”
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org