Chi noterà il fatto che Airbnb ha appena dichiarato ufficialmente che continuerà a fare affari negli insediamenti israeliani illegali, annullando la sua decisione annunciata a novembre di ritirarsi dagli insediamenti nella Cisgiordania occupata?
di Jonathan Ofir, 10 aprile 2019
Copertina – La città di Wadi Fukin, in Cisgiordania, è dominata dal vicino insediamento di Beitar Illit. (Foto: Andrew Lichtenstein / Immagine: Mondoweiss)
Se volevi che una dichiarazione su una controversa questione riguardante Israele fosse oscurata dagli eventi, la data giusta da scegliere era il giorno delle elezioni israeliane. Tutti ora stanno guardando i risultati elettorali che indicano una vittoria importante per il Likud di Netanyahu. Chi noterà il fatto che Airbnb ha appena dichiarato ufficialmente che continuerà a fare affari negli insediamenti israeliani illegali, annullando la sua decisione annunciata a novembre di ritirarsi dagli insediamenti nella Cisgiordania occupata?
Airbnb ha fatto salti mortali retorici per avere la sua fetta di torta di insediamenti e mangiarsela. In un primo momento aveva annunciato la sua decisione di ritirarsi, battendo in anticipo un rapporto di Human Rights Watch su questa sporca attività (il rapporto cita anche Booking.com, che ha invocato il 5°). Poi Airbnb è sembrata tornare sulla sua decisione a seguito di incontri con funzionari del governo israeliano, definendo la questione “complessa ed emotiva”, offrendo dichiarazioni contraddittorie che non stavano né in cielo né in terra.
Nel frattempo, a gennaio, è uscito un rapporto di Amnesty International su questo modello di business, che mette in evidenza la complicità dei broker nei crimini di guerra, puntando anche il dito su altre società come TripAdvisor e Expedia.
Dopo l’annunciata decisione di ritirarsi fatta a novembre, gli avvocati israeliani hanno intentato una causa collettiva contro Airbnb. E ieri (martedì), Airbnb ha ceduto alle pressioni: “Airbnb non porterà avanti la rimozione degli annunci in Cisgiordania dalla piattaforma”, ha detto la società in un comunicato stampa, come riportato da Al Jazeera.
La società ha dichiarato che l’accordo ha risolto tutte le azioni legali portate dagli ospiti e potenziali ospiti che sono andati in tribunale.
Airbnb ora sta cercando di dare con la beneficenza una mano di bianco al suo crimine. Affermando che “non trarrà alcun profitto da questa attività nella regione”, la società sostiene che gli utili derivanti dai suoi annunci in Cisgiordania saranno donati a gruppi non-profit che si dedicano all’aiuto umanitario in varie parti del mondo.
E’ proprio come Pilato che ritualmente se ne lava le mani. Arvind Ganesan di Human Rights Watch:
“Donare utili provenienti da annunci negli insediamenti illegali, come hanno promesso di fare, non fa nulla per rimediare alla “sofferenza umana” che hanno riconosciuto essere causata dalle loro attività. Continuando a fare affari negli insediamenti, restano complici degli abusi innescati negli insediamenti.”
Airbnb ha avuto la sua occasione. Inizialmente ha tentato di evitare cattive pubbliche relazioni dichiarando la sua “buona intenzione” di ritirarsi da (alcuni) insediamenti, ma poi non le ha dato seguito. Ha ceduto alla pressione politica e – non dimentichiamolo – a quella economica, e ha deciso che non ne valeva la pena. Durante tutto il processo, fin dalla dichiarazione iniziale, ha dimostrato debolezza e codardia manifestate con dichiarazioni deboli e contraddittorie, fino a quando non ha ufficialmente dichiarato che non porterà a compimento la sua intenzione.
E lo ha fatto nel giorno in cui si sarebbe notato di meno, visto che tutti stanno seguendo le elezioni israeliane. Airbnb, con tutte le sue buone intenzioni dichiarate in precedenza, rimarrà consapevolmente complice di crimini di guerra, e questo processo la lascia come un simbolo di resa alla criminalità israeliana.
Se Airbnb non era un obiettivo importante per il boicottaggio popolare, questa catena di eventi la pone ora in prima linea e al centro. Nessuna azione benefica coprirà con una mano di bianco questo crimine.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org