“Viviamo come se fossimo a Sbeineh, soddisfacendo i bisogni l’uno dell’altro e cercando il conforto reciproco. Se qualcuno si lamenta, tutti nell’edificio cercano di aiutare a rendere le cose più facili.”
Fonte:English Version
Ahmad HwedI- 2 dicembre 2020
Immagine di copertina: L’immagine di Laila Khaled sull’edificio [Middle East Monitor]
Il 29 agosto 1969, il volo TWA 840 decollò da Los Angeles per Tel Aviv via Roma. A bordo c’erano 116 passeggeri, inclusa una giovane donna palestinese di nome Laila Khaled. Lei e il suo complice, Salim Al-Issawi, dirottarono l’aereo nell’ultima tappa del viaggio, costringendolo ad atterrare a Damasco. Dopo aver rilasciato i passeggeri e l’equipaggio incolumi, la coppia fece saltare in aria l’aereo.
Khaled disse all’epoca che l’intenzione era di ottenere il rilascio di un certo numero di prigionieri palestinesi e attirare l’attenzione del mondo sulla giustizia della causa palestinese. Un anno dopo tentò di dirottare un aereo israeliano, ma il piano fallì e venne arrestata a Londra.
Quella giovane donna divenne un eroe nazionale per i palestinesi e la sua immagine iconica adorna i muri di tutti i campi profughi della Palestina occupata e dei Paesi vicini. Rimane un forte simbolo di resistenza all’occupazione israeliana. In effetti, la sua immagine mi ha accolto sopra l’ingresso di un edificio a San Paolo, in Brasile; non è certo il primo posto in cui mi sarei mai aspettato di vederla.
Inoltre, sono rimasto altrettanto sorpreso di vedere “Handala”, il personaggio dei cartoni animati del fumettista palestinese Naji Al-Ali, sulle imposte del negozio al piano terra dello stesso edificio. Era intrigante, quindi ho chiesto in giro di scoprire chi possedesse l’edificio e chi ci vive o lavora.
L’edificio ha più di 20 piani ed è di proprietà di una banca brasiliana. Non ci sono uffici all’interno, ma ci abitano molte persone. Infatti, diverse famiglie vi abitano illegalmente da quasi sei anni, dopo aver suddiviso gli spazi in stanze con pannelli di legno non del tutto adeguati ma che garantiscono almeno un po’ di privacy. A quanto pare, non possono essere costretti a lasciare l’edificio contro la loro volontà. Me ne hanno parlato le tre persone che compongono la squadra amministrativa dell’edificio. Sono del movimento brasiliano “People Without Land”, che difende i senzatetto nei tribunali.
Nell’edificio ci sono famiglie provenienti da Brasile, Bolivia, Siria, Algeria, Libano, Iraq ed Egitto. La maggior parte dei residenti, però, sono palestinesi, almeno 15 famiglie. Sono arrivati in Brasile dal campo profughi di Sbeineh in Siria quando è iniziato il conflitto nel 2011. Ogni famiglia ha una media di quattro o cinque membri e c’è un solo uomo palestinese dall’Iraq. Tutti pagano circa 50 dollari al mese per le spese di gestione dell’edificio, elettricità e acqua.
I residenti affrontano molte difficoltà, poiché l’edificio è vecchio e non è destinato ad abitazioni. Inoltre, ci sono problemi con l’approvvigionamento idrico, con l’acqua che non è potabile e che ha causato alcuni problemi di salute.
Tutte le famiglie palestinesi vivono ai piani 9, 10 e 11 e l’edificio non dispone di ascensore. Invece, tutti devono scendere e salire 1.500 gradini ogni volta che vogliono lasciare l’edificio e tornarvi di nuovo.
Come tutti i luoghi in tutto il mondo in cui si riuniscono i rifugiati, le persone in questo edificio a San Paolo hanno storie strazianti da raccontare. Hassan, ad esempio, vive all’undicesimo piano con sua moglie e il figlio appena nato. Il suo difficile viaggio a San Paolo è iniziato nel campo di Sbeineh per poi proseguire al campo di Ain Al-Hilweh in Libano prima e partire quindi verso il Brasile. Ad Ain Al-Hilweh ha vissuto con i suoi genitori e altre cinque famiglie in una stanza singola. Ciò non è una situazione insolita per i palestinesi sfollati provenienti dalla Siria.
Ai rifugiati palestinesi in Libano è vietato lavorare in più di 70 occupazioni e sono trattati molto male dalla comunità “ospitante”, quindi Hassan ha cercato ogni opportunità per lasciare il Paese. Dopo essersi sposato con sua cugina, nel 2015 è stato aiutato da alcuni amici ad arrivare in Brasile. I suoi amici abitano nello stesso edificio, mi ha detto.
“Il popolo brasiliano ci ha accolto a braccia aperte”, ha spiegato. “Il loro trattamento nei nostri confronti è stato molto rispettoso e il governo ci permette di lavorare. Ho affittato una piccola bancarella per strada che ho chiamato “ Casa Palestina” e ho comprato e venduto tutto quello che potevo”. Non ha riscontrato razzismo dalla gente. “” In effetti, tutti i miei clienti erano brasiliani e il mio reddito mensile era di circa 300 dollari. Tuttavia, a causa della pandemia di coronavirus, non sono stato in grado di lavorare per più di 10 mesi “.
Vivere nell’edificio a San Paolo è come essere in un campo profughi, ha detto Hassan. “Viviamo come se fossimo a Sbeineh, soddisfacendo i bisogni l’uno dell’altro e cercando il conforto reciproco. Se qualcuno si lamenta, tutti nell’edificio cercano di aiutare a rendere le cose più facili. In Siria, eravamo abitanti di uno stesso campo; oggi siamo abitanti di uno stesso edificio e dobbiamo restare uniti “.
Hassan in realtà abita temporaneamente fuori dall’edificio fino a quando sua moglie non si riprenderà dal parto cesareo del figlio. Lei non riesce a salire le scale, quindi lui ha affittato una stanza nelle vicinanze a un costo molto più alto del solito a causa della pandemia. “Mia moglie è la mia forza in questo”, ha detto con le lacrime agli occhi. “Non posso continuare senza di lei, in questa vita non troverò mai un sostegno pari a quella che mi dà lei “.
Ho anche conosciuto un uomo che vive in una piccola stanza di meno di 10 metri quadrati. La stanza comprendeva il minimo, quindi è stato uno shock trovare lì il professor Issam Issa di 63 anni. Originario della Palestina, ha vissuto in Iraq, dove ha conseguito un dottorato presso l’Università di Baghdad. Ha anche un dottorato dalla Romania in genetica e allevamento di animali. È arrivato in Brasile dopo essere stato sfollato dal campo profughi di Al-Ruwaished nella terra di nessuno tra l’Iraq e la Giordania. Il campo è stato chiuso dopo che il Brasile ha accettato di ospitare i suoi residenti palestinesi.
Il professore vive nell’edificio da più di due anni e mi ha detto che si sente solo dopo essersi separato dalla moglie e dai figli a causa delle dure condizioni di esilio. Il Covid-19 gli ha anche impedito di trovare un lavoro.
Come può un professore di scienze non trovare lavoro? “Quando sono arrivato in Brasile, ho studiato portoghese e ho superato il test per qualificarmi per insegnare nelle università brasiliane”, ha spiegato. “Ho ottenuto un contratto di un anno in un’università nel sud del Brasile, ma qui viene data la priorità ai laureati locali. Quindi sono senza lavoro da cinque anni”.
Intisar è una donna palestinese di 60 anni che vive in questo edificio da cinque anni. In Siria era una designer di interni e di moda di successo prima di lasciare il campo di Sbeineh con suo fratello per fuggire dalla guerra. Attraversando il Libano, ha vissuto nel campo profughi di Shatila a Beirut, rimanendovi per un anno prima di trasferirsi in Brasile.
“Mio marito e i miei figli hanno cercato di lasciare la Siria e unirsi a me in Libano”, mi ha detto, “ma non hanno potuto perché hanno la nazionalità egiziana e avevano bisogno di un visto d’ingresso. Ciò non era possibile in circostanze di guerra, quindi sono andati in Egitto e io sono rimasta in Libano “.
In Egitto, i suoi figli non hanno potuto continuare gli studi a causa della sua nazionalità palestinese. Il piano era che sarebbe andata in Europa dal Brasile e li avrebbe incontrati lì, ma non è andata così.
“Qui in Brasile, ho lavorato cucendo vestiti con una donna brasiliana con cui ho fatto amicizia e mi ha assicurato un alloggio e ho lavorato finché non sono riuscita a risparmiare il costo dei biglietti per mio marito e i miei figli per venire in Brasile. Ora mio marito lavora in un’altra città per circa 200 dollari al mese. Non lo vedo molto spesso a causa della distanza e della pressione del suo lavoro “.
Anche lei trova le scale dell’edificio molto difficili da salire. “Salirle può richiedere fino a due ore. E poi sto male per tutto il giorno.” Tragicamente, ora ha il cancro e non è in grado di lavorare.
Ci sono molte storie simili tra i rifugiati di questo edificio, molti dei quali sono molto qualificati ed esperti nei loro campi. Tutto ciò che desiderano è vivere con dignità. Come molti profughi palestinesi in tutto il mondo, sono generosi e ospitali. La loro preoccupazione principale è non riuscire a trovare lavoro durante la pandemia in modo che possano prendersi cura delle loro famiglie e dei vicini.
Ho saputo dai residenti che c’erano molte più famiglie arabe e palestinesi nell’edificio, ma che si sono trasferite nella Guyana francese, un dipartimento d’oltremare della Francia sulla costa atlantica a nord del Brasile. Lì, aspettano fino a quando possono richiedere la cittadinanza e avere diritto al sostegno statale.
Dopodiché, in quanto cittadini francesi, potranno trasferirsi in Europa e possibilmente ricongiungersi ai familiari da cui si sono separati durante la guerra in Siria. Quando ho chiesto a chi è ancora nell’edificio di San Paolo cosa vogliono, la risposta è stata quasi unanime: “Vogliamo andare nella Guyana francese”.
Trad: Grazia Parolari “Contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina-org