Piuttosto che affrontare le radici del crimine e della violenza tra i cittadini palestinesi, Israele sta portando avanti piani per depoliticizzare la comunità.
Fonte: English Version
Shahrazad Odeh – 4 dicembre 2020
Immagine di copertina: cittadini palestinesi di Israele protestano davanti all’ufficio del Primo Ministro a Gerusalemme contro la violenza armata e la criminalità organizzata nelle loro comunità, 10 ottobre 2019 (Yonatan Sindel / Flash90)
Quattro anni fa, all’inizio di settembre, mi svegliai nel cuore della notte a Umm al-Fahem al suono di mitragliatrici. Impaurita e sconcertata, non sapendo da dove provenissero gli spari o contro chi fossero stati sparati, ho chiamato la polizia per denunciare il fatto. Gli agenti impiegarono due ore per arrivare dalla stazione di polizia, che si trovava a 15 minuti di auto. Quando finalmente arrivarono, raccolsero le munizioni in un sacchetto di plastica trasparente e lo sventolarono davanti ai bambini che osservavano la scena.
Questo tipo di incidenti sono continuati nel corso degli anni nonostante il governo israeliano abbia introdotto diversi programmi per aiutare a sradicare la criminalità in tutto il Paese. In molte città e paesi palestinesi in Israele, i cittadini continuano a dormire al suono degli spari.
In risposta a una richiesta di informazione ricevuta a novembre da Gun Free Kitchen Tables, una coalizione di organizzazioni che cercano di limitare la proliferazione di armi in Israele, la polizia israeliana ha dichiarato di non avere statistiche ufficiali su quanti cittadini siano stati uccisi o feriti da armi da fuoco, indicando che la questione non è una priorità assoluta per le forze dell’ordine. Ma sulla base dei dati raccolti dai gruppi della società civile palestinese e dalla stampa locale, solo quest’anno si stima che dagli 82 agli 89 cittadini palestinesi di Israele, 15 dei quali donne, siano stati uccisi in violenti incidenti criminali.
Sulla scia di queste uccisioni, i cittadini palestinesi e i leader della comunità hanno fatto pressioni sul governo affinché agisse. Successivamente, il Comitato Speciale per l’Eradicazione del Crimine nella Società Araba, presieduto dal parlamentare palestinese Mansour Abbas della Lista congiunta, è stato incaricato di promuovere un piano per diminuire i tassi di criminalità nella società palestinese.
In agosto una task force interministeriale, creata nell’ottobre 2019 dall’ufficio del Primo Ministro, ha presentato ad Abbas e al Consiglio nazionale dei sindaci arabi una proposta politica, che suggeriva di frenare l’attività criminale migliorando le relazioni dello Stato con i cittadini palestinesi. Comprendeva raccomandazioni su come aumentare la sorveglianza e reclutare più palestinesi musulmani nelle forze di polizia e nel servizio nazionale, un’alternativa al servizio militare.
Abbas si era espresso a sostegno del piano, descrivendolo come un “buon punto di partenza” e sollecitando il primo ministro Benjamin Netanyahu ad adottarlo. Ma nonostante gli elogi di Abbas, la proposta è, di fatto, gravemente viziata. Piuttosto che investire nei servizi sociali e offrire soluzioni originali che si focalizzino sulla riabilitazione nella società palestinese, il documento elenca raccomandazioni obsolete che sono semplicemente strumenti con cui lo Stato può stringere la presa sui cittadini palestinesi sotto il suo dominio coloniale.
Il documento nega il ruolo dello Stato nell’escalation di violenza e di criminalità nelle comunità palestinesi, ignorando le sue politiche economiche e sociali discriminatorie e i conseguenti meccanismi di applicazione. Invece, attribuisce la maggior parte della colpa alle vittime stesse, trattando il problema come intrinseco alla società araba.
Sebbene il rapporto affermi di essere innovativo, adotta metodi e raccomandazioni da piani precedenti che sia in Israele che a livello globale si sono rivelati un fallimento, come l’apertura di più stazioni di polizia e una sorveglianza crescente. Inoltre, prove dall’interno dello steso Israele mostrano che l’idea che più polizia porti a meno crimini, è un mito.
Nell’ultimo decennio, Israele ha istituito nelle municipalità arabe 14 stazioni di polizia e 13 postazioni, quattro dei quali dovrebbero essere ampliate in stazioni. Tuttavia, un recente rapporto dell’organizzazione giovanile palestinese Baladna mostra che il numero di omicidi all’anno nelle township palestinesi si è di fatto moltiplicato di circa 1,5 tra il 2011 e il 2019. Forse il risultato più sorprendente della ricerca Baladna è il tasso di omicidi irrisolti tra cittadini palestinesi: tra il 2014 e il 2017, all’interno della comunità è stato risolto meno di un terzo degli omicidi.
L’unico suggerimento “nuovo” introdotto dal piano governativo è quello di utilizzare le demolizioni di case come mezzo per scoraggiare le organizzazioni criminali – una misura controversa che Israele implementa anche nei territori occupati per cacciare con la forza i palestinesi. Questa pratica è già stata adottata dal comune di Lydd, che a ottobre ha annunciato che si adopererà per espellere dalla città le famiglie coinvolte in attività criminali. Secondo la sua dichiarazione, “la violenza armata nel settore arabo della città è uno dei motivi principali della migrazione negativa”. In altre parole, il comune è preoccupato per una diminuzione della popolazione ebraica della città e la sua soluzione per garantire il dominio ebraico è semplicemente rimuovere i “devianti” palestinesi.
Piani di controllo
Dopo l’istituzione di Israele nel 1948, i palestinesi che rimasero entro i suoi confini furono posti sotto il governo militare per quasi 20 anni. Sebbene fossero stati riconosciuti come cittadini, da allora lo stato li ha trattati come “nemici” interni. Questa classificazione si è intensificata nel 2000 durante la Seconda Intifada, quando la polizia uccise impunemente 13 palestinesi in Israele e ne ferì altre centinaia. Non un solo ufficiale è stato processato.
All’indomani di questa tragedia cruciale, il governo incaricò la Commissione Or di indagare sugli omicidi, noti come eventi dell’ottobre 2000. Il rapporto finale della Commissione, pubblicato nel settembre 2003, elenca una serie di raccomandazioni per migliorare le relazioni tra la polizia israeliana e i cittadini palestinesi.
Allo stesso tempo, scosso dalla Seconda Intifada, lo stato – e per estensione la polizia – rese prioritario reprimere le future rivolte politiche tra i cittadini palestinesi. Ciò ha portato le autorità a trascurare l’applicazione della legge contro i reati penali, il che a sua volta ha consentito a zone “senza legge” di manifestarsi nei municipi palestinesi. Sebbene alcune iniziative comunitarie abbiano cercato di colmare il vuoto creato da tale mancanza, i risultati sono stati infruttuosi.
Di conseguenza, la criminalità e la violenza sono aumentate nelle comunità palestinesi, in particolare quelle che coinvolgono armi da fuoco e commercio di armi senza licenza; secondo Aman, il Centro arabo per la società sicura, 1.466 cittadini palestinesi sono stati uccisi tra gennaio 2000 e luglio 2020. Ora, lo stato sta usando queste zone “senza legge” come scusa per espandere la presenza della polizia nelle township palestinesi.
Al posto degli obiettivi della Commissione Or, il governo ha promulgato vari piani per integrare i cittadini palestinesi nelle istituzioni di sicurezza israeliane. La risoluzione governativa 922, avviata nel 2015, ha lo scopo di ridurre la disuguaglianza tra le comunità ebraica e palestinese attraverso investimenti economici; il programma è stato recentemente esteso fino alla fine del 2021. Un altro programma chiamato “City Without Violence” si concentra specificamente sull’eliminazione della criminalità in tutto il paese ed è stato implementato in 10 località arabe, comprese grandi città come Umm al-Fahem, Nazareth, e Rahat. La risoluzione del governo 1402 del 2016 chiede di espandere e rafforzare la presenza della polizia nelle località palestinesi.
Come parte di questi sforzi, le autorità israeliane hanno tentato di incoraggiare il reclutamento volontario di cittadini palestinesi nelle forze dell’ordine come un modo per “integrarli” nella società israeliana. Poiché i cittadini palestinesi non vengono arruolati nell’esercito israeliano, il governo ha iniziato a incoraggiare i giovani arabi a unirsi al servizio nazionale. Oggi il programma è supervisionato dalla National Service Administration, un organo sotto l’ufficio del Primo Ministro. Il programma assegna le reclute a lavorare per 40 ore settimanali in ospedali, case di cura e altre istituzioni pubbliche, nonché in alcuni ruoli di sicurezza. Israele ha incoraggiato in particolare i cristiani palestinesi ad arruolarsi nelle forze armate e nella polizia – un palese tentativo di dividere la comunità palestinese creando una gerarchia di status basata sulla religione, piuttosto che sull’identità nazionale.
Le tattiche che Israele usa per reclutare cittadini palestinesi nel servizio nazionale ruotano attorno a due elementi chiave: sicurezza pubblica ed empowerment economico. La prima è stata particolarmente evidente nella risposta della polizia alla crisi del coronavirus, cercando di “imbiancare” la sua storia di autorità violenta e militarizzata per apparire come una forza amica che garantisce la sicurezza della comunità nelle città e nei paesi palestinesi.
In termini di guadagni economici, lo stato sta utilizzando il servizio nazionale come un modo per compensare la sua negligenza sistemica, offrendo opportunità di lavoro individuale ai giovani palestinesi per un massimo di 770,55 NIS al mese, con la promessa di benefici alla fine del loro servizio, mentre il salario mensile medio in Israele è di 11.459 NIS e il salario minimo è di 5.300 NIS. Secondo il ministero del Lavoro israeliano, i livelli di disoccupazione tra i cittadini palestinesi hanno raggiunto il 30 per cento dallo scoppio del coronavirus a marzo e il National Insurance Institute stima che la percentuale di famiglie arabe che vivono al di sotto della soglia di povertà sia passata dal 37 al 42 per cento sotto COVID- 19 (questo dopo aver considerato il reddito da indennità di disoccupazione e altri contributi pubblici dovuti alla pandemia).
Un gioco perdente
Il tasso di criminalità tra i cittadini palestinesi di Israele è circa 8 volte superiore a quello degli ebrei israeliani e 5 volte superiore a quello tra i palestinesi in Cisgiordania. Nonostante l’aumento della criminalità e della violenza armata nelle township palestinesi, sembra che le autorità non siano interessate a combattere questo tipo di crimini.
Tra i cittadini palestinesi, c’è una percentuale più alta di condanne per reati di natura politica, come lanciare pietre contro le forze dell’ordine e commettere reati contro la sicurezza dello stato, rispetto a crimini potenzialmente letali. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio centrale di statistica, i cittadini palestinesi costituiscono in Israele il 79,7 per cento degli adulti condannati per reati contro lo Stato; 28,6 per cento degli adulti condannati per reati contro l’ordine pubblico; 45,6 per cento delle condanne per reati contro la vita di una persona; e il 34 per cento delle condanne per reati di lesioni personali.
A parte alcuni consulenti esterni, l’ultima proposta presentata al governo non includeva alcun contributo da parte di professionisti palestinesi. E sebbene la stesura della proposta abbia richiesto circa un anno, ai rappresentanti politici palestinesi sono stati concessi solo pochi mesi per discutere le sue raccomandazioni. Questa esclusione della comunità palestinese da un piano che incide principalmente sulla loro vita quotidiana è solo un altro esempio di come lo stato respinga la legittimità e il libero arbitrio dei suoi sudditi palestinesi.
Due decenni fa, la Commissione Or cercò di depoliticizzare i cittadini palestinesi integrandoli nelle forze dell’ordine e nei servizi governativi. Oggi, quando cerca di combattere la violenza criminale, lo stato sta operando con la stessa agenda politica in mente. Piuttosto che affrontare l’ingiustizia alla radice investendo nelle comunità palestinesi, smilitarizzando la società e ponendo fine alla violenza della polizia, Israele sta semplicemente tentando di sradicare la criminalità armata attraverso l’uso legale e autorizzato della violenza.
Shahrazad Odeh è un avvocato e ricercatrice per i diritti umani il cui lavoro si concentra sulle ramificazioni di genere all’interno dei sistemi legali. È coinvolta in vari gruppi di ricerca e attivisti incentrati sulla smilitarizzazione e l’eradicazione della violenza armata nelle township palestinesi.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù”- Invictapalestina.org