Il proficuo commercio di schiavi nel Golfo Arabo, una copertura per le lotte coloniali

Per tutto il diciannovesimo secolo, la tratta degli schiavi nel Golfo Arabo fu più di un semplice tentativo redditizio di denaro contante. Piuttosto, era una copertura per un’agenda imperialista molto più ampia e per una lotta coloniale mirata a egemonizzare questa zona strategica.

Fonte: English Version

Mohamed Shaaban – 27 dicembre 2020

Nonostante operasse da  diversi centri nel Golfo Persico, il fulcro della tratta degli schiavi del Golfo era l’Oman.

Nel suo libro “Gran Bretagna e Golfo Persico -1795-1880 “ (tradotto in arabo da Mohammad Amin Abdullah), John Kelly  scrive che la maggior parte degli schiavi importati in Oman erano  venduti all’interno del paese, mentre alcuni finivano nelle mani di mercanti – pirata che operavano lungo le coste del Qatar fino all’Oman sul Golfo Persico.

Inoltre, gli al-Qawasim, una tribù stabilita a Ras al Khaimah, Sharjah e Bandar Lengeh, erano importanti commercianti di schiavi che compravano schiavi e li vendevano lungo le stesse zone costiere o nei mercati di Persia, Iraq, Bahrain, Kuwait e Najd.

Dai due porti di Muscat e Sur in Oman, gli schiavi venivano trasportati verso i porti di “Kathiawar” nel Sindh (una provincia dell’attuale Pakistan) e nella provincia indiana di Bombay (l’attuale Mumbai).

Abissini (“Ḥabashīs”) molto richiesti

La stagione della tratta degli schiavi raggiungeva spesso il picco nel periodo della raccolta dei datteri a Bassora. A partire dai primi di giugno / luglio, le navi provenienti dalla zona del Golfo inferiore iniziavano  il loro viaggio annuale  da Muscat, in Oman, alla regione del fiume Shatt al-Arab in Iraq in occasione della stagione del raccolto, facendo scalo in numerosi porti lungo il percorso per scaricare le loro forniture  di schiavi.

Dopo l’attracco, le navi  scaricavano il “carico” ridotto in schiavitù a Sharjah, Ras al Khaimah, Lengeh e nel porto di Bushehr,  così come in Kuwait e  in Bahrain. Gli schiavi diretti nella zona orientale della penisola arabica  venivano invece consegnati al porto di Al-Qatif. Il profitto e le somme raccolte da questo commercio venivano generalmente spese a Bassora per l’acquisto di datteri che poi venivano consumati nella regione del Sahel o  venduti a Muscat.

Sebbene l’Africa orientale fosse stata a lungo una fonte primaria di manodopera per la tratta degli schiavi, lo sfruttamento diffuso di questa terra iniziò ufficialmente alla fine del XVII secolo con l’occupazione da parte dell’Oman delle regioni di Zanzibar e dell’Isola Verde (nota anche come Isola di Pemba).

Kelly aggiunge che sotto il controllo della dinastia Ya’rubid (1624-1742) e successivamente della casa regnante yemenita di Al Bu Said (1744-1964), Zanzibar si trasformò in un affermato mercato di schiavi, crescendo fino a diventare il più grande centro della tratta in ​​Oriente sotto il governo di Sayyid Said Bin Sultan (1791-1856).

Kelly osserva che uomini e donne schiavizzati  venivano radunati dalle regioni più interne dell’Africa orientale: dall’estremo ovest sulle rive del lago Nyasa (nell’attuale Malawi) nell’Africa orientale e dal Tanganica (ora diviso tra le nazioni del Burundi , Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Zambia) al centro del continente. Venivano quindi spediti a Zanzibar per esservi venduti, sia per lavorare nelle piantagioni degli  arabi residenti sull’isola, sia ai commercianti di schiavi diretti più a nord.

Ogni anno, con i venti stagionali di novembre che soffiavano da nord-est, le navi arabe del nord iniziavano ad arrivare al porto di Zanzibar per imbarcare il loro carico di africani ridotti in schiavitù. Prontamente salpavano per tornare a nord prima che il picco dei venti stagionali nordoccidentali arrivasse sulle rive occidentali dell’Oceano Indiano in aprile o in maggio.

Durante i primi anni del 19 ° secolo, gli schiavi venivano raramente portati nella penisola arabica attraverso il Mar Rosso. Le navi partivano dai porti yemeniti di Hadhramaut per fare il loro viaggio annuale a Zanzibar, dove i traffianti avrebbero fatto scorta di schiavi da rivendere nei porti di al-Mukalla, Mocha e al-Hudaydah.

Nel XIX secolo la tratta degli schiavi nel Golfo fu l’aspetto di una furiosa lotta coloniale. In che modo fu stabilita la tratta degli schiavi nel Golfo Persico? E che ruolo avevano i francesi e gli inglesi prima dell’intervento dei portoghesi?

I mercanti di schiavi del Mar Rosso di solito salpavano per Zanzibar durante la stagione autunnale, tornando a casa prima dei venti stagionali da nord-est ,  più o meno nel periodo in cui i mercanti di schiavi del Golfo si imbarcavano nei loro viaggi annuali a Zanzibar.

Secondo Kelly, gli schiavi “Ḥabashī” (“abissini” o dell’Africa orientale) erano i più popolari e venduti a prezzi più alti rispetto ad altri africani, a causa della loro presunta intelligenza e fascino fisico. La maggior parte di questi schiavi furono catturati durante le guerre condotte dal ‘Sultanato di Shewa’ (il più antico sultanato di al-Habash, fondato dalla tribù nomade araba dei Bani Makhzum nell’896, prima di crollare per mano del Sultanato di Ifat nel 1289) contro il popolo “Gullah” (tribù etniche convertite all’Islam) lungo i confini Ḥabashī.

Gli schiavi Ḥabashī venivano spesso venduti ai commercianti del Golfo nel porto somalo di Berbera, dove si teneva un mercato annuale degli schiavi tra i mesi di ottobre e aprile dell’anno successivo.

Lotta coloniale

Questo commercio era un aspetto di una furiosa lotta coloniale tra le potenze mondiali che speravano di ottenere il controllo dell’area.

Nel suo studio “British Influence and Slave Trade in the Arabian Gulf in the 19th Century”, Jasim Mohammed Shatab mostra che la Gran Bretagna era altamente protettiva nei confronti dell’area che abbraccia il Golfo Arabico, il Mar Arabico e l’Oceano Indiano,  in quanto accesso strategico verso l’India. La Gran Bretagna era, quindi, irremovibile nel combattere qualsiasi altra influenza straniera nell’area. Mascherò questa sua  presenza con il pretesto di limitare la tratta degli schiavi di cui gli arabi erano diventati fornitori locali per i mercanti francesi.

Un mercante francese nell’Africa orientale, di nome Maurice, aveva chiesto al suo governo di creare una colonia francese nell’isola di Kilwa (appartenente all’attuale Tanzania). Questa colonia  sarebbe servita come centro di raccolta per gli schiavi che sarebbero poi stati esportati per lavorare in altre colonie francesi. La Gran Bretagna venne a sapere della proposta di Maurice e nel 1807 le sirene d’allarme suonarono nei corridoi della Camera dei Comuni britannica. La debacle tuttavia avvenne nel 1810, quando la Francia perse Mauritius a favore degli inglesi durante la loro guerra contro Napoleone Bonaparte. Secondo Shatab, questa perdita ebbe un impatto negativo sul movimento della tratta degli schiavi dall’Africa orientale e attraverso l’Oceano Indiano.

Quando la Gran Bretagna decise di abolire la tratta degli schiavi nell’Oceano Indiano, delegò il compito al governo britannico-indiano a Bombay. Il governo decise di emanare  misure contro il commercio degli schiavi in ​​tutto il Golfo. Il 3 marzo 1812, il governo britannico-indiano di Bombay notificò ufficialmente al sultano di Muscat e Zanzibar, Sayyid Said bin Sultan (1806-1856), le nuove leggi anti-schiavitù e nel 1814 il divieto entrò in vigore a Mauritius. Successivamente, nel 1839,  la schiavitù fu ufficialmente abolita in tutte le colonie britanniche.

 Il riconoscimento ufficiale della tratta degli schiavi nel Golfo Persico arrivò con il “Trattato Marittimo Generale”  firmato a Ras al Khaimah nel 1820. Il trattato fu  stipulato in seguito alle operazioni militari britanniche contro le tribù degli al Qawasim nel 1819.

Il primo riconoscimento ufficiale della tratta degli schiavi nell’area del Golfo  si ebbe con il Trattato Marittimo Generale (il trattato di pace costante) firmato a Ras al Khaimah nel 1820. Il trattato fu  stipulato dopo le operazioni militari britanniche contro le tribù degli  al Qawasim nel 1819 e nel 1820. Il nono articolo del trattato affermava  chiaramente che il rapimento di schiavi dalle coste dell’Africa orientale, o da qualsiasi altro luogo, costituiva  furto e pirateria. Tuttavia, nessun articolo dell’accordo metteva fuori legge la proprietà, la vendita o l’acquisto di schiavi. Inoltre, secondo Shatab, il governo britannico non specificava la punizione per la violazione della legge sul commercio degli schiavi.

Questo fu seguito da un impegno imposto dall’ammiraglio britannico Fairfax Moresby, capitano della nave reale “Minai”, a Sayyid Said bin Sultan, alleato della Gran Bretagna e sultano di Muscat e Zanzibar, nel 1822, il tutto sotto le istruzioni del governatore di Mauritius Sir Robert Farquhar.

Il pegno vietava ai sudditi del sultano di vendere schiavi a sudditi dei paesi cristiani.Da allora in poi, furono adottati diversi trattati con il presunto obiettivo di limitare la tratta degli schiavi e rafforzare l’egemonia britannica nell’area, senza però nemmeno una volta bandire apertamente il commercio.

Più lontano, verso Sur

La seconda metà del diciannovesimo secolo fu segnata da una intensa attività francese alla ricerca di schiavi da comprare e commerciare, soprattutto alla luce del crescente bisogno di forza lavoro nelle loro colonie tropicali. Secondo Shatab, queste colonie, che attraversavano il fiume Congo fino al Sahara (area che ora comprende quattro paesi: Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo e Gabon),  ponevano la Francia davanti alla Gran Bretagna.

Nel 1847, un politico britannico residente nel Golfo Persico di nome Samuel Hennell (1838-1852) redasse un nuovo accordo con una posizione più ferma e concisa sulla tratta degli schiavi rispetto ai suoi predecessori. Il sovrano di Ras al Khaimah e al Sharjah Saqr bin Sultan al Qasimi, l’allora sovrano di Dubai Sheikh Maktoum Bin Butti, il capo della provincia di Ajman Abdelaziz bin Rashid Al Nuaimi  e il sovrano di Umm Al Quwain Sheikh Abdullah bin Rashid, così come Said bin Tahnoon sceicco di Abu Dhabi,  furono obbligati a firmare il trattato che proibiva ufficialmente il commercio di schiavi e dava alle navi britanniche il diritto di perquisire le navi che si riteneva stessero violando questa clausola.

Gli sforzi britannici per abolire la tratta degli schiavi a Muscat e nei sultanati del Golfo portarono i trafficanti di schiavi al porto di Sur (a circa 150 chilometri da Muscat). Lontano dagli occhi indiscreti delle navi britanniche e sotto il radar di Sayyid Said, che la governava a distanza dalla lontana Zanzibar, la tratta degli schiavi continuò nella città marittima di Sur.

Secondo Shatab, gli schiavi venivano spostati nell’entroterra da Sur, raggiungendo dalla penisola arabica i sultanati della costa dei pirati o Bajjah.

Nonostante i numerosi trattati applicati dagli inglesi, gli sceicchi della zona non erano mai stati seriamente intenzionati a porre fine alla tratta degli schiavi, finanziariamente gratificante per loro. Sia attraverso le tasse di “transito” imposte sulle navi che movimentano gli schiavi o con le entrate finanziarie derivanti dalle discrepanze di prezzo in diverse aree, e anche attraverso l’impatto positivo che il lavoro degli schiavi aveva sul ciclo economico, la tratta degli schiavi era un’importante fonte di profitto per gli sceicchi. Gli schiavi  venivano utilizzati  in lavori come l’irrigazione e l’agricoltura, così come in attività marittime come la  pesca, compresa quella delle perle,  e in ambito militare come combattenti.

Anche la stessa Gran Bretagna non voleva seriamente limitare la tratta degli schiavi. In un’area di scarse risorse, non ci si aspettava che i governanti abolissero tale tratta se le loro perdite per aver aderito ai trattati  non fossero state rimborsate

In un’area di scarse risorse, non ci si aspettava che i governanti abolissero la tratta degli schiavi se le loro perdite per aver aderito ai trattati non fossero state rimborsate. Inoltre, con solo sette navi schierate per monitorare e reprimere il commercio degli schiavi nelle acque aperte che attraversano le coste dell’Africa orientale fino alle coste del subcontinente dell’India occidentale, passando attraverso diversi golfi e arcipelaghi, gli sforzi britannici non sembravano veramente impegnati.

 La stessa Gran Bretagna non voleva seriamente limitare la tratta degli schiavi. In un’area di scarse risorse, non ci si aspettava che i governanti abolissero tale tratta se le loro perdite per aver aderito ai trattati  non fossero state rimborsate

Inoltre, sebbene gli emirati più piccoli accettassero l’attività di contrasto  delle navi britanniche, i paesi relativamente più grandi – come la Persia e l’Impero Ottomano – resistettero all’intrusione britannica per ciò che ritenevano essere una violazione della sovranità delle nazioni.

Persistenza della protezione francese delle navi

Allo stesso tempo, la Francia era ancora coinvolta  nella tratta degli schiavi. Non solo i francesi concedevano l’uso della loro bandiera e promettevano la protezione delle navi, ma erano loro stessi esperti mercanti di schiavi. Con il pretesto di quello che divenne noto come il sistema dei “lavoratori liberi”, oltre 25.000 schiavi furono importati nelle colonie equatoriali francesi. Il sistema fu adottato nel 1848 dopo che la Francia  bandì la schiavitù nelle sue colonie, spingendo la Gran Bretagna a intervenire. Il governo britannico  inviò il suo Alto Commissario in Sud Africa, Bartle Frere, al centro della tratta degli schiavi di Zanzibar nel tentativo di sollecitare il suo sovrano Barghash bin Said a mettere fuori legge il commercio.  La flotta navale britannica stabilì un embargo intorno all’isola.

Il 14 marzo 1873, Frere riuscì a strappare un accordo dal sultano Barghash bin Said,  che avrebbe vietato il commercio di schiavi tra l’isola e altri paesi. Zanzibar avrebbe chiuso i suoi mercati ai  commercianti di schiavi, in particolare a quelli che vendevano schiavi provenienti dall’India, la cui gente la Gran Bretagna aveva promesso di tutelare. Inoltre, l’accordo prevedeva la confisca delle navi degli schiavisti e la protezione degli schiavi liberati.

Un trattato simile fu applicato anche a Turkey bin Said Sultan, sovrano di Muscat, nell’aprile dello stesso anno, in cambio di una promessa di risarcimento delle sue perdite da parte del governo britannico. Allo stesso modo, furono firmati trattati con i governanti di Sharjah, Salman bin Sultan al Qasimi e di Abu Dhabi, Zayed bin Khalifah al Nahyan.

I trattati contro il commercio degli schiavi  furono il modo britannico di combattere la concorrenza straniera nell’area, soprattutto da parte dei francesi. Ogni volta che l’influenza francese minacciava di espandersi nell’area, la Gran Bretagna rilanciava i suoi sforzi contro la pirateria e il commercio degli schiavi, che spesso culminavano in un rinnovato accordo con lo sceicco o il sovrano. Quando la concorrenza si placava, le autorità britanniche ignoravano del tutto la tratta degli schiavi o addirittura la indirizzavano verso i suoi territori in Africa.

Tuttavia, la Francia non  rimase a guardare di fronte alle tattiche britanniche. Nella Conferenza di Bruxelles del 1890, i francesi espressero preoccupazione per l’abolizione della tratta degli schiavi. La conferenza era stata richiesta dall’Impero Ottomano e dalla Gran Bretagna per discutere di questo problema. Nel frattempo, le spedizioni di schiavi continuarono a raggiungere la città di Sur fino all’ultimo decennio del XIX secolo. Da lì, venivano distribuiti in diverse aree del Golfo e della penisola arabica, trasformando di fatto Sur in un centro di approvvigionamento primario a causa del divieto del commercio di schiavi in ​​altre città.

Il colpo di grazia  portoghese

Ciò che è degno di nota in questa narrazione è che il colpo finale a questo commercio – sotto la protezione delle bandiere francesi – non arrivò dalla Gran Bretagna, ma dai portoghesi che nel 1902 occupavano  il Mozambico, quando vennero a sapere che una flotta di 12 navi aveva sospettosamente ancorato nella piccola baia di Samuko, sulla costa mozambicana. Si scoprì che  nella baia c’era una piccola colonia di marinai  omaniti  che  si dedicavano al commercio degli  schiavi lontano dagli occhi britannici, il tutto reso possibile dallo sceicco di Samuko Bay, Vampoita Mono.

I portoghesi attaccarono la baia, provocando la morte o la fuga di molti, mentre  i restanti furono arrestati insieme alle loro navi e alle armi  e lo sceicco di Samuko fu processato,  così come riferisce John Gordon Lorimer nel libro “The Gazetteer of the Persian Gulf ”(tradotto in arabo dal dipartimento di traduzione dell’Amiri Diwan dello Stato del Qatar).

Secondo Shatab, la posizione portoghese non era dettata da puro sentimento umanitario, poiché i portoghesi erano stati, fino ad allora, tra i colonizzatori più feroci e violenti in Africa e i più favorevoli alla continuazione di questo commercio.  Assunsero questa posizione nel timore  che la concorrenza franco-britannica si spostasse sulle loro colonie in Africa, e anche con l’intento di  sopprimere la concorrenza omanita in questo commercio.

La fine della tratta degli schiavi avvenne in periodi diversi. Nel 1937 il Bahrain emanò un decreto che la vietava; nel 1952, il Qatar annunciò l’abolizione della schiavitù; l’Arabia Saudita decretò l’abolizione assoluta della schiavitù nel 1962, lo Yemen  seguì nello stesso anno e nel 1970 fu la volta dell’Oman.

Per quanto riguarda l’Impero Ottomano e il governo persiano, entrambi stipularono due trattati con la Gran Bretagna nel 1881, in cui si impegnarono a non importare schiavi africani nei loro paesi. Il trattato riconobbe alla Gran Bretagna anche il diritto di ispezionare le loro navi mercantili nel Golfo Persico, nel Mar Rosso e lungo  costa dell’Africa.

I due trattati entrarono in vigore nel 1882, a seguito di una feroce competizione ottomano-britannica, insieme a un’intensa e simultanea competizione persiano-britannica per il controllo del Bahrain e della costa orientale del Golfo Persico che si estese per tutto l’ultimo quarto del XIX secolo.

Il destino degli schiavi liberati

Fino al 1889, era consuetudine  portare gli schiavi liberati a Bombay, se non volevano rimanere nel Golfo. Tuttavia, verso la fine di quell’anno, il governo di Bombay iniziò a lamentarsi del crescente numero di schiavi sul suo territorio, in quanto considerati un disturbo crescente, riferisce Lorimer.

Di conseguenza,  furono compiuti sforzi per trovare una via d’uscita definendo territori diversi, tra cui lo Stretto di Sarawak (in Malesia), le Fiji nel Pacifico meridionale e l’isola del Borneo (divisa tra Indonesia, Malesia e Brunei), ma i governi di queste regioni risposero di malavoglia e negativamente all’accoglienza di africani liberati.

Le cose rimasero le stesse fino al 1897, quando lo stesso governo indiano iniziò a opporsi all’importazione di schiavi liberati nel suo territorio, suggerendo di inviarli invece in Africa orientale, che in realtà è ciò che accadde. Secondo Lorimer, furono mandati a lavorare nelle piantagioni del Sultano di Zanzibar.

Sembra che  la tratta non si fosse completamente fermata ancora all’inizio del XX secolo. Il 5 novembre 1926, il quotidiano “Daily News” riferì che nel settembre dello stesso anno il governo britannico aveva firmato a Ginevra un patto con 30 governi per interrompere definitivamente questo commercio. Ciò avvenne in seguito a rapporti che riferivano di questa  pratica tra i pellegrini che andavano e tornavano dalla Mecca, poiché i pellegrini tornavano nei loro paesi con un certo numero di schiavi, così come menzionato da Shatab.

Shatab scrive che la Gran Bretagna  combattè la tratta degli schiavi attraverso il controllo delle navi nel Golfo. Li  trasportò in varie parti del mondo per tutto il XIX secolo, senza però prestare alcuna attenzione alla liberazione degli schiavi locali nativi della regione o alla loro riabilitazione dopo che furono licenziati a seguito del crollo dell’industria  delle perle durante gli anni Trenta del XX secolo. Improvvisamente si trovarono senza lavoro né famiglie per ospitarli, mentre la presenza degli schiavi  rimase  ben presente nella regione fino agli anni ’60 del XX secolo.

Nel Golfo la fine della tratta degli schiavi variò da un paese all’altro. Nel 1937, il sovrano del Bahrain Hamad bin Isa bin Ali Al Khalifa emanò un decreto che puniva coloro che praticavano la tratta degli schiavi. Nove anni dopo, cioè nel 1945, fu rilasciato e concesso agli emancipatori quello che divenne noto come “certificato di manomissione”.

Nell’aprile del 1952, il Qatar annunciò l’abolizione della schiavitù.  Gli schiavi divennero liberi, si integrarono nella società e nel 1961 ottennero la cittadinanza.

Nel Regno dell’Arabia Saudita, il principe Faisal bin Abdulaziz, principe ereditario e primo ministro, pubblicò il suo programma di riforma il 6 novembre 1962. Conosciuto come i “Dieci punti della riforma”, il suo decimo punto prevedeva l’abolizione assoluta della schiavitù , l’emancipazione di tutti gli schiavi e il risarcimento per i loro proprietari.

Lo stesso anno  ci fu la fine della schiavitù nello Yemen,  grazie allo scoppio della rivoluzione  e  con una costituzione e una  legge che criminalizzavano la pratica. Infine, la tratta degli schiavi  fu bandita nel Sultanato dell’Oman nel 1970.

 

Trad: Grazia Parolari “Tutti gli essere senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org

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