Ho difeso la soluzione dei due stati come via dei palestinesi verso la liberazione. Ma dopo tre decenni dagli accordi di Oslo, la “pace” stessa deve ancora nascere.
Fonte English version
Bassem Tamimi – 27 gennaio 2021
Immagine di copertina: Truppe israeliane lanciano gas lacrimogeni durante una protesta per chiedere il rilascio di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane – villaggio di Nabi Saleh in Cisgiordania, 13 gennaio 2018 (Flash90).
Nel nome di Allah, il compassionevole, il misericordioso.
Al Sig. Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti d’America,
Saluti dalla Palestina,
Inizio dicendo salam, pace – come valore, identità e progetto comune per tutta l’umanità. Una pace che speriamo serva come manifestazione della nostra esistenza nazionale sulla nostra terra e come estensione per la nostra etica. Una pace che valorizza la vita umana e si incarna nell’interazione civile tra il nostro popolo e la terra, nella nostra patria di Palestina, con tutta la sua antica storia.
Questa è la pace su cui cerchiamo di costruire il nostro domani e il futuro dei nostri figli. La pace a cui il nemico vuole che rinunciamo per poter realizzare le sue fantasie bibliche, quel nemico che ha portato il mondo a credere che questa fosse una terra senza popolo.
Signor Presidente, mentre entra alla Casa Bianca, vorrei ricordarle i palestinesi che sono fuggiti dalle loro case – dai loro palazzi, nella loro memoria, – solo per diventare rifugiati; coloro i cui mezzi di sussistenza sono stati distrutti e che sono stati costretti a diventare degli sfollati. Io, ad esempio, appartengo alla generazione che ha vissuto la Naksa [la guerra del 1967], che seguì la Nakba [l’esodo palestinese dopo la guerra del 1948].
Sono stato imprigionato da Israele perché ho resistito all’occupazione. Sono stato brutalmente torturato nelle segrete degli interrogatori al punto che per un po’ di tempo non ho potuto camminare. Mia sorella è stata picchiata a sangue freddo presso la sede del cosiddetto “tribunale militare” di Israele, proprio davanti agli occhi del figlio dodicenne. La mia terra nel villaggio di Nabi Saleh è stata espropriata e degli estranei vi hanno costruito le loro case. La mia casa, costruita nel 1964, è stata minacciata di demolizione perché si trova nell’Area C, che secondo gli accordi di Oslo è sotto il pieno controllo militare e amministrativo di Israele.
Credevo nella pace e nella soluzione dei due Stati adottata dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina – la leadership del nostro popolo – come il nostro percorso verso la liberazione dall’occupazione. Ho difeso quella soluzione, ne ho discusso con altri e ho lottato per raggiungerla. Ho cantato per la pace e ho chiamato mio figlio “Salam” come presagio di un futuro diverso.
Ma dopo decenni di processo di pace, la “pace” stessa deve ancora nascere. L’equilibrio di potere è sbilanciato a favore del nostro avversario. I bulldozer impongono sul terreno una realtà che non può essere superata solo con le buone intenzioni dell’amore e della pace.
Signor Presidente, un giorno, quando Salam aveva cinque anni, venne da me piangendo e disse: “Cambia il mio nome, non voglio essere chiamato Salam!” Aveva sentito persone deridere e imprecare contro il processo di “pace”; mio figlio credeva di essere il “salam” di cui stavano parlando. Come ripristinerà il significato della parola, signor Presidente, in modo che mio figlio inizi ad amare il suo nome? In che modo il significato di libertà, giustizia e democrazia verrà ripristinato nella mente dei nostri figli? Come li proteggeremo dalla tentazione del terrorismo in agguato, di cui tutti noi oggi soffriamo?
Quasi tre decenni dopo la firma degli accordi di Oslo, ho avuto una discussione con mia figlia Ahed e i suoi amici dopo aver partecipato a una protesta contro l’annessione e gli insediamenti. In mezzo a una nuvola di lacrimogeni e proiettili, e con la forza del terrorismo di stato rivolto alla nuova generazione di combattenti per la libertà, ho tentato di mostrare la mia abilità intellettuale argomentando a favore di una soluzione a due stati. Ahed mi ha detto allora:
“Tu, la tua generazione e le generazioni precedenti avete combattuto e siete stati imprigionati, feriti e uccisi. La nostra leadership, con tutta la sua storia e il suo simbolismo e la fiducia che la nostra gente riponeva in essa, ha creduto in questa soluzione. Ti sei fidato del mondo, delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, e hai rinunciato al 78 per cento della terra di Palestina per questa soluzione, per la pace.
Cosa hai guadagnato? Cosa ti ha dato quel mondo che ti aveva promesso un paese? Non vedi gli insediamenti, padre? Non vedi il muro? Non vedi che il mondo non si preoccupa del nostro sangue e della nostra sofferenza? Questo mondo vuole che la nostra sofferenza continui, perché gli permette di sfuggire al peso del rimorso per un crimine che ha commesso contro l’umanità. Un crimine per il quale paghiamo il prezzo del dolore e della sofferenza, da quando la Dichiarazione Balfour ha affermato che il nostro paese sarebbe stato il luogo in cui si sarebbe stabilito lo Stato di Israele, per difendere gli interessi della colonizzazione.
Quindi, se dobbiamo essere uccisi, feriti e incarcerati per un esperimento che il mondo ha dimostrato di non poter realizzare, allora noi stessi dovremmo sacrificarci per la liberazione del nostro popolo e della nostra terra. Dovremmo stabilire uno Stato di Palestina in cui tutti vivano liberamente e pacificamente, senza discriminazioni basate su razza, religione o colore. Un paese libero per gente libera”.
Signor Presidente, ci rendiamo conto che il mondo crede ancora nella soluzione dei due stati. Se è rimasta una possibilità per la pace, il percorso che conduce ad essa può essere solo attraverso il popolo palestinese e i suoi leader legittimi. Né la normalizzazione araba, l ‘”accordo del secolo”, né le tiepide pressioni possono imporre una soluzione che trascuri i diritti del nostro popolo.
Signor Presidente, dalla Palestina la invitiamo a incarnare la promessa di libertà e a costruire un monumento alla giustizia e alla pace nel mondo. Questa pace inizia con la Palestina come fondamento su cui costruire, mentre ci sforziamo di superare gli ostacoli del passato e le esigenze del presente, e di attraversare il ponte della speranza con ottimismo e fiducia.
Tutto ciò che è rimasto è la pace.
La pace sia con lei e su di lei
Bassem Tamimi
Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” –Invictapalestina-org