Ricordando la rivolta del Bahrein

Ispirati dagli eventi in Tunisia e in Egitto nell’ambito della cosiddetta Primavera araba,il 14 febbraio 2011 diversi cittadini del Bahrein tennero una manifestazione di solidarietà davanti all’ambasciata egiziana a Manama. Ciò  innescò gli eventi storici successivi.

Fonte: English Version

Omar Ahmed – 14 febbraio 2021

Immagine di copertina: Manifestanti antigovernativi del Bahrein  sistemano blocchi stradali di cemento sull’autostrada che porta a Pearl Square a Manama il 14 marzo 2011. [JAMES LAWLER DUGGAN / AFP via Getty Images]

Conosciuta come la “Rivoluzione Dimenticata”, le proteste in gran parte pacifiche a favore della democrazia scoppiarono nella minuscola isola del Regno del Bahrain dieci anni fa, solo per essere affrontate con una brutale repressione da parte della polizia e infine essere represse settimane dopo con l’intervento militare dei vicini sauditi. Sulla sua scia, la repressione ha provocato la morte di 122 bahreiniti e migliaia di arrestati. Ventisei di loro sono  ancora nel braccio della morte. Non ci sono praticamente partiti di opposizione, poiché sono stati sciolti dalle autorità del Bahrein.

Cosa  accadde?

Ispirati dagli eventi in Tunisia e in Egitto nell’ambito della cosiddetta Primavera araba che  investì la regione dieci anni fa, il 14 febbraio 2011 diversi cittadini del Bahrein tennero una manifestazione di solidarietà davanti all’ambasciata egiziana a Manama. Ciò  innescò gli eventi storici successivi.

Spinti da questo piccolo atto di sfida, i giovani del Bahrein, un paese dalla popolazione prevalentemente sciita, si mobilitarono  sui social media per scendere in piazza in un “Giorno della rabbia” in diversi villaggi sciiti vicino alla capitale. Le proteste antigovernative erano contro  la discriminazione sistemica, la corruzione e le ingiustizie da parte della famiglia sunnita Al-Khalifa, al potere dal XVIII secolo in seguito ai trattati con gli inglesi. Il clan proviene da quella che è ora  la regione saudita di Najd.

La prima protesta si svolse, simbolicamente, nel decimo anniversario del National Action Charter  (NAC), un referendum inteso a inaugurare la riforma politica e lo stato di diritto che  avrebbe portato alla modifica della costituzione. Le riforme erano state spinte da simili disordini popolari nel corso degli anni ’90. “La famiglia Al-Khalifa ha fatto ricorso alla tortura, all’esilio forzato, alla detenzione arbitraria e ai processi segreti per contenere i disordini”,  dichiarò Human Rights Watch dopo la redazione del NAC.

Nonostante la proposta  del re Hamad Bin Isa di offrire 1.000 dinari (2.650 dollari) a ciascuna famiglia, circa 6.000 manifestanti presero parte al “Giorno della rabbia”.  Furono accolti dalle forze di sicurezza che spararono proiettili rivestiti di gomma e gas lacrimogeni. Ali Abdulhadi Mushaima, 21 anni, rimase ucciso e molti altri furono feriti durante i disordini avvenuti durante il suo corteo funebre il giorno successivo, provocando la morte di un altro manifestante, Fadhel Ali Matrook, 31 anni.

Fu dopo questo incidente che migliaia di manifestanti si  riunirono al “Pearl Roundabout “ a Manama, che  divenne il punto simbolico del movimento, come era stata la piazza Tahrir del Cairo in Egitto, con una tendopoli e strutture improvvisate. Tuttavia, il 17 febbraio, prima dell’alba , le autorità  effettuarono un raid per sgomberare l’accampamento, uccidendo quattro manifestanti e ferendone oltre 200; la giornata divenne nota come “Bloody Thursday”, il giovedì insanguinato

Imperterrito, il numero dei manifestanti crebbe nei giorni successivi, raggiungendo circa 200.000 persone, la più grande manifestazione nella storia del Bahrain. Circa una persona su tre della popolazione  chiedeva riforme e le dimissioni dell’allora Primo Ministro Sheikh Khalifa Bin Salman, a causa del suo ruolo di supervisione nella brutale risposta del governo. Alcuni manifestanti  chiedevano anche il rovesciamento del re Hamad. Alla fine, il dialogo tra il principe ereditario Salman Bin Hamad e il principale partito di opposizione, Al-Wefaq, si  interruppe poiché i manifestanti si  rifiutarono di avviare colloqui formali a meno che non fosse proposta una nuova costituzione.

A metà marzo, l’Arabia Saudita cominciò a temere  che gli Al-Khalifas perdessero il controllo del paese e che una rivoluzione avrebbe potuto  sfociare in una teocrazia di stampo iraniano. In particolare le  autorità saudite  si sentiva minacciata da vicino dalla provincia orientale, ricca di petrolio, che ospita la significativa minoranza sciita del regno, in particolare Qatif e Al-Hasa, che storicamente facevano parte di un regno chiamato Grande Bahrain.

Come membri principali della Peninsula Shield Force, Riyadh  schierò 1.000 truppe della Guardia Nazionale insieme a 500 poliziotti degli Emirati Arabi Uniti per supportare la Bahrain Defense Force.  Furono inoltre inviati circa 2.500 membri delle forze armate pakistane per schiacciare il movimento pro-democrazia e ogni forma di dissenso. Ciò incluse la detenzione di medici e avvocati che durante le proteste avevano messo le loro competenze al servizio dei manifestanti. Alcuni giorni dopo la violenta dispersione dei manifestanti dalla Pearl Roundabout, il cuore del movimento  fu distrutto, ponendo formalmente fine  ai disordini politici durati un mese e alle aspirazioni democratiche del popolo del Bahrein.

 Cosa successe dopo?

Rispetto ad altri movimenti di protesta nella regione, la reazione e la condanna  dei leader mondiali  fu più moderata . L’allora segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon espresse la sua “più profonda preoccupazione” per la risposta del governo mentre gli Stati Uniti, che erano stati espliciti sul sostegno alla democrazia in Libia e Siria, scelsero di non appoggiare i manifestanti chiedendo invece moderazione. All’epoca la quinta flotta della Marina degli Stati Uniti aveva la sua  base in Bahrain.

Il Bahrein ei suoi alleati  incolparono l’Iran per i disordini. Teheran  respinse le accuse, nonostante avesse offerto sostegno tramite “Hezbollah Al-Hejaz” durante la disobbedienza civile degli anni ’90 e nonostante le sue storiche rivendicazioni di sovranità sul Bahrein.

Dal 2011 il Bahrain ha sciolto i principali partiti di opposizione sciiti, tra cui Al-Wefaq, il cui capo spirituale, il grande ayatollah Sheikh Isa Qassim, vive in esilio in Iran, così come il gruppo più moderato e laico Waad. Questa decisione è stata criticata da Amnesty International come “l’ultima  dimostrazione di come le autorità abbiano fatto ricorso a tutti i mezzi, inclusa la magistratura, per reprimere ogni forma di dissenso nel paese”.

L’ultimo rapporto di Amnesty in vista dell’anniversario descrive una situazione  in cui si sono intensificate le ingiustizie e la repressione contro gli  attivisti per i diritti umani, i  religiosi e la società civile.

“Dal 2011, gli unici cambiamenti strutturali che il Bahrain ha visto sono stati in peggio, poiché i partiti di opposizione sono stati messi fuori legge, l’unico canale di informazione indipendente è stato chiuso e le nuove leggi hanno ulteriormente  ridotto lo spazio per la partecipazione politica”, ha detto Lynn Maalouf , Vicedirettore regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa. “I leader della protesta del 2011 continuano a languire in terribili condizioni carcerarie, e i diritti umani, compreso il diritto alla libertà di espressione, vengono regolarmente calpestati. Lo stato del Bahrein ha schiacciato le speranze e le aspettative sollevate dalle proteste di massa di 10 anni fa, reagendo con un brutale giro di vite nel decennio successivo , facilitato dal vergognoso silenzio degli alleati occidentali del Bahrain, in particolare del Regno Unito e degli Stati Uniti “.

Nel suo Rapporto del 2021, Human Rights Watch ha evidenziato la mancanza di miglioramenti in Bahrein negli anni successivi alle rivolte. Le condanne a morte sono state confermate dopo processi iniqui segnati da accuse di tortura.

All’inizio di questa settimana è stata rilasciata una dichiarazione dalla Coalizione della Gioventù del 14 febbraio che ha chiesto l’unità nel portare “cambiamenti fondamentali” nel sistema politico del paese e ha ribadito che non accetterà mai la legittimità della famiglia al potere, gli Al-Khalifa. Nonostante la fallita rivoluzione  e il complice rifiuto da parte dei più accesi sostenitori della democrazia di sostenerla, il movimento non è stato del tutto sconfitto, né le speranze del popolo bahreiniano sono finite. Tuttavia, secondo quanto riferito, con l’avvicinarsi del decimo anniversario la polizia sarà schierata  in forze, quindi è improbabile che la rivolta del 2011 possa ripetersi in tempi brevi.

 

Trad: Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali”  – Invictpalestina.org